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Spese militari, quanto investe l’Italia

di Salvatore Baldari

Sta suscitando tante e diverse reazioni nel mondo della politica e nell’opinione pubblica, l’annuncio che il Governo italiano si adopererà per rispettare gli impegni presi con gli alleati della Nato, di portare le spese militari al 2% del Pil.

La questione “spese militari” è da sempre oggetto di polemiche e di strumentalizzazioni e andrebbe inquadrata in una analisi storica e geografica più approfondita e razionale.

Per farlo, ci aiutiamo con uno studio dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano.

Nella graduatoria mondiale, svettano i Paesi del Medio Oriente e dell’Africa.

Tra le economie avanzate, al primo posto ci sono gli Stati Uniti con 3,74 per cento del Pil. Cina e Brasile si attestano su valori molto più bassi, rispettivamente 1,75 e 1,44 per cento del Pil, sebbene in termini di valori assoluti la Cina investa undici volte di più oggi rispetto all’inizio del secolo.

Spesa militare della Russia e dell’Ucraina

Se ci si focalizza sulle nazioni attualmente in conflitto, la Russia ha incrementato di quasi dieci volte le proprie spese militari tra il 1999 e il 2020, accompagnata da una altrettanta crescita economica, portando il rapporto rispetto al Pil al 4,26.

Sul fronte ucraino, i 6 miliardi impegnati negli armamenti sono imparagonabili ai 62 miliardi dei propri invasori, ma comunque il dato sul Pil si attesta al 4,13%.

Con questi dati, Russia e Ucraina sono i primi paesi dell’Europa (geografica) per spesa militare in rapporto al Pil.

Per quanto riguarda i paesi dell’Unione Europea, è la Grecia, con il 2,8 per cento del Pil a far registrare il valore più alto, quasi il doppio della media dei “27” che è dell’1,6 per cento. Persino negli anni dell’austerity fra 2010 e il 2015, la Grecia ridusse la spesa militare solo dello 0,8 per cento del Pil. La Francia è sopra il 2 per cento, mentre la Germania, che proprio come l’Italia ha recentemente deciso di portarsi al 2 per cento del Pil, è ben al di sotto di questo valore.

La spesa militare dell’Italia

Il nostro Paese, con il suo 1,17%, si classifica al centoduesimo posto, sotto tutte le medie G7, Ue e Nato.

La spesa militare italiana, dopo l’aumento all’inizio degli anni Ottanta, è tendenzialmente diminuita a partire dalla caduta del muro di Berlino, raggiungendo l’1,09 per cento del Pil nel 1995. Sul finire del secolo, la spesa si è rilanciata, stabilizzandosi attorno all’1,29 per cento, fino a toccare il minimo storico nel 2006.

Prima dell’evento pandemico, il rapporto si è consolidato su valori più bassi di quelli dei trent’anni precedenti.Gli incrementi degli stanziamenti sono diventati costanti, di anno in anno, a partire dal 2019.

Per agevolare la comprensione dei numeri degli ultimi anni, andrebbe considerato il valore assoluto delle risorse destinate e non il rapporto col Pil, in quanto notevolmente alterato dai lockdown e dalla crisi provocati dal Covid19, con un inevitabile e drastico crollo del prodotto interno lordo.

Cosa prevedeva la riforma Di Paola

Nel 2012 era stata la riforma Di Paola a fissare tre obiettivi destinati a revisionare la spesa militare italiana.

Il primo obiettivo era il riequilibrio della composizione della spesa secondo i seguenti target: 50 per cento per il personale, 25 per cento per l’investimento militare e 25 per cento per l’esercizio.

Secondo i dati a disposizione, nel 2021, la quota di spesa per il personale è calata al 62 per cento; le risorse per l’investimento hanno quasi centrato l’obbiettivo del 25%, mentre la spesa per l’esercizio è ancora al 14 per cento.

Il secondo obbiettivo della riforma Di Paola, prevedeva la riduzione del personale militare delle tre Forze armate (Esercito, Marina e Aeronautica) entro il 2024 a 150.000 unità. Attualmente il personale conta più di 162 mila unità.

Terzo obbiettivo, quasi raggiunto, era la riduzione del personale civile della Difesa a 20.000 unità entro il 2024.

Insieme agli altri membri della Nato, inoltre, l’Italia si è impegnata a rispettare i seguenti punti del Defence Investment Pledge, entro il 2024: spesa per la difesa rispetto al Pil del 2 per cento, partecipazione a missioni e altre attività di sicurezza internazionale e investimenti militari del 20 per cento.

Anche in questo caso, i dati ci permettono di osservare come il primo impegno sia ancora lontano dall’essere raggiunto. Per gli altri due, invece, con il contributo italiano a ben nove missioni Nato nel 2021 e la quota di investimenti rispettata, la spunta è verde.

Nonostante l’obiettivo sulla quota di investimenti sia stato centrato, tuttavia, la composizione della spesa resta irregolare. L’Italia è il secondo paese membro per quota di spesa destinata al personale, dopo il Portogallo, ma spende molto meno degli altri Paesi per addestramento.

Ecco le principali misure urgenti sulla crisi in Ucraina 

Venendo ai giorni nostri, nel corso della seduta del 17 marzo la Camera ha approvato, il disegno di legge di conversione del decreto-legge, recante “disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina”. Il provvedimento, in queste ore all’esame del Senato, dispone la partecipazione di personale militare italiano al consolidamento di operazioni della Nato sul fronte orientale dell’Alleanza, con la partecipazione fino al 30 settembre 2022, alle iniziative per l’impiego della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), una brigata multinazionale di sei mila unità, in grado di entrare in azione in sole 48 ore.

La misura prevede, inoltre, fino al 31 dicembre 2022 la prosecuzione della partecipazione di personale militare alle attività dell’Alleanza per la sorveglianza dello spazio aereo, per la sorveglianza navale nell’area sud e per la presenza in Lettonia.

Inoltre, il 23 marzo il Consiglio dell’UE ha approvato il raddoppio a 1 miliardo di euro dello stanziamento dello Strumento europeo per la pace (EPF), con la proroga di un anno dell’assistenza all’Ucraina, attraverso il finanziamento di forniture di strumenti di protezione individuale, kit di pronto soccorso e carburante, attrezzature e equipaggiamenti militari.