Afghanistan e Pakistan, che cosa sta succedendo?

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Afghanistan e Pakistan, che cosa sta succedendo?

La cortina di fumo degli annunci diplomatici e delle smentite ufficiali non può più nascondere la cruda verità: la storica e artificiosa linea di confine tra Afghanistan e Pakistan, tracciata a tavolino dall’Impero coloniale e nota come Linea Durand, è tornata a essere la cicatrice infetta e pulsante del subcontinente. 

Linea Durand, che cosa succede tra Afghanistan e Pakistan?

Un confine poroso, che per decenni è stato il teatro del doppio gioco di Islamabad, si è trasformato, negli ultimissimi giorni, in una vera e propria polveriera geopolitica.

Ciò che sta accadendo è l’ennesima riedizione di un dramma che in quell’angolo di Asia non trova mai il suo epilogo, ma con una inversione di ruoli che ha il sapore amaro del contrappasso. Per anni, il potente apparato militare e l’intelligence pakistana hanno coltivato con cinismo i Talebani afghani (l’Emirato Islamico) come un figlio prediletto, una leva strategica contro l’influenza indiana e un argine per i propri interessi. Oggi, quello stesso Emirato, insofferente e ideologicamente rigido, si rifiuta di fare il lavoro sporco per il suo antico protettore.

Chi sono i Talebani pakistani?

Il cuore dell’escalation è il Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), i Talebani pakistani, che Islamabad accusa Kabul di ospitare e tollerare. La TTP non è solo una sigla; è il boomerang che torna indietro, intensificando gli attacchi sul suolo pakistano e minacciando la fragile stabilità interna del Paese.  Le rappresaglie di Islamabad, fatte di raid aerei che hanno colpito presunti rifugi TTP oltre confine, non sono una semplice misura antiterrorismo, ma il segnale della disperazione di una leadership che vede il proprio territorio destabilizzato e i propri interessi strategici, in primis il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), messi a repentaglio.

Ma la tensione non si è giocata solo con i missili. 

Esodo forzato di profughi afghani

Il Pakistan ha scelto una strada di teatralizzazione della crudeltà e di ricatto diplomatico senza precedenti: l’esodo forzato di centinaia di migliaia di profughi afghani senza documenti. Quella che viene presentata al mondo come una misura di sicurezza, è in realtà un cinico tentativo di scaricare la responsabilità della crisi e punire Kabul. Interi campi profughi, intere esistenze costruite in trent’anni di esilio, vengono smantellate in un girone dantesco di autobus e valichi blindati. Donne, bambini, anziani, molti dei quali nati sul suolo pakistano e ignari di altra patria, sono costretti a ritornare in una satrapia teocratica, dominata dall’odio misogino e dalla repressione.

Il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC) rischia il caos 

In questo quadro di caos e tradimento politico, l’approccio zoom-out rivela l’ombra lunga di attori più grandi. La stabilità del confine è vitale per Pechino, che vede i suoi investimenti lungo il CPEC minacciati dall’instabilità. 

La Cina, che aveva scommesso sui Talebani per la sicurezza dei suoi confini occidentali, è ora costretta a osservare con il fiato sospeso il collasso della deterrenza. Lo stesso vale per Mosca, interessata a evitare che il jihadismo si diffonda nelle ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale.L’escalation tra i due fratelli-nemici asiatici è dunque la prova definitiva del fallimento dell’uscita di scena occidentale, che ha lasciato dietro di sé un vuoto riempito non dalla pace ma dalla logica implacabile e spietata della realpolitik. La crisi umanitaria che ne deriva, con centinaia di migliaia di persone sradicate e indifese, si consuma nel silenzio assordante di una comunità internazionale ormai abituata a considerare il dramma afghano come un capitolo chiuso.

Il Pakistan, un tempo rifugio, è diventato il carnefice, mentre l’Afghanistan, la tomba degli imperi, conferma la sua condanna: un’eterna fornace di instabilità, pronta a infiammare l’intera regione