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In Puglia la migrazione degli ebrei, “Dalla terra ferma alla terra promessa: Aliya Bet dall’Italia a Israele, 1945-48” in mostra

L’intervista ad Emiliano sui flussi migratori di oggi e di allora

di Simone Cataldo

“Dalla terra ferma alla terra promessa: Aliya Bet dall’Italia a Israele, 1945-48” arriva nel Museo Ebraico di Lecce. La mostra, inaugurata nel 2016 presso il Museo Eretz Israel di Tel Aviv in Israele, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è stata già ospitata a Milano, Roma e La Spezia. Pensata per narrare uno dei più importanti periodi della storia ebraica successivo alla Shoah e il processo che ha poi portato alla costituzione dello Stato d’Israele, quest’anno è stata portata nel Sud Italia, una delle zone più importanti per il fenomeno narrato. All’allestimento della struttura e al suo componimento ha lavorato il professore Fabrizio Lelli, docente di ebraico dell’Università del Salento e direttore del museo, attivando anche diversi discendenti dei profughi che hanno poi donato materiali provenienti da collezioni private in Israele, Stati Uniti ed Australia. 

La Puglia come emblema di accoglienza e solidarietà

Oltre settanta sono le illustrazioni emblematiche che compongono la mostra che sarà possibile visitare fino al prossimo 28 febbraio. Tutte in bianco e nero le immagini che raccontano la permanenza dei profughi ebrei nei campi di transito che furono organizzati in Italia all’indomani della loro liberazione. Il fatto che gran parte dei DP camps (campi Displaced Persons o campi di raccolta) furono dislocati in Puglia, partendo da Barletta e Trani, passando per Bari fino ad arrivare nel Salento, ha fatto sì che la regione in questione divenisse una terra simbolo dell’odissea dei profughi ebrei.

La migrazione clandestina degli ebrei 

Le foto rappresentano scene quotidiane tra il 1945 e il 1948. Si può assistere con qualche decennio di distanza alla complessa macchina dell’epopea che segue diverse tappe: dal tentativo di passare il valico delle Alpi innevato, all’incontro con la Brigata Ebraica, dall’acquisto delle navi, al loro sostentamento fino ai porti d’imbarco, dal tormentato viaggio in mare per concludere con l’arrivo a destinazione cercando di sfuggire alla vigilanza britannica con il rischio di esser rispediti nei campi profughi di Cipro. Gli artefici di questa impresa furono Ada Ascarelli Sereni, che aveva fatto Aliya in Palestina nel 1927 e Yehuda Arazi, entrambi capi del Mossad LeAliyaBet dell’operazione in Italia. E non solo loro, oltre 21 mila profughi sopravvissuti nei campi di concentramento salirono su 34 navi e approdarono nella terra promessa. Circa dieci navi partirono proprio dalla Puglia, e una di queste fu la prima in assoluto che partendo da Monopoli ospitò Enrico Levi.

Per oltre settant’anni i sopravvissuti e le varie persone che hanno imbastito l’impresa hanno taciuto, perché appunto si trattò di un fenomeno migratorio clandestino. Fu tale perché, nonostante le pressioni dello Stato italiano, quello britannico che ai tempi controllava la Palestina spesso ignorava le richieste di sbarco e di aiuto che arrivavano dall’Italia.

Limmigrazione clandestina, ieri e oggi

Hanno sfaccettature e tratti storico-culturali differenti, ma cosa differenzia realmente le navi con i profughi ebrei da quelle con profughi provenienti dal continente africano e non? Ne abbiamo parlato con Michele Emiliano, Presidente della Regione Puglia, e Fiammetta Martegani, curatrice del museo Eretz Israel di Tel Aviv. “Questa nostra vocazione (l’accoglienza) è motivo d’orgoglio, ma non solo per noi, bensì per l’intero Paese che era reduce dai macabri accaduti scaturiti dalla dittatura fascista e dalla collaborazione con la Germania nazista – spiega Michele Emiliano. Se l’Italia ha recuperato stima nel mondo intero è grazie anche ai cittadini salentini che, seppur in un momento di grande povertà, hanno accolto e fatto sopravvivere i profughi ebrei per mesi, a volte addirittura anni, prima che potessero tornare in Israele. Si può dire che fu un gesto di resistenza alla nostra stessa politica, dunque paragonabile a quanto fatto dai partigiani poco prima”.

Ci siamo poi spostati sul tema migrazione attualizzata, al processo su Open Arms a Matteo Salvini, alla tratta del Mediterraneo e soprattutto alle richieste di fondi per la costruzione di muri da parte di 12 Paesi facenti parte dell’Unione europea. 

Quanto sta accadendo può incutere paura e, soprattutto, quanto è importante leducazione scolastica per evitare di fare significativi passi allindietro? “È vergognoso credere che si possano fermare i flussi migratori costruendo dei muri, e preoccupa il fatto che dietro a tutto ciò ci sia intento di consenso; dietro a questa credenza c’è vera e propria stupidità – risponde Emiliano. Si cerca di cavalcare l’onda della paura per ottenere consenso, ma una democrazia xenofoba non la si può definire tale, e ciò copre di vergogna gli Stati che hanno avanzato questa richiesta. Quanto sta accadendo non è comunque paragonabile al fenomeno della shoah, ma c’è il concreto rischio che qualcuno infilandosi nella macchina della paura, insensata perché non si conoscono le reali dinamiche di questi fenomeni, possa dar vita a scene deliranti. È dunque giusto ricordare quanto accaduto attraverso simili mostre ed eventi”.

E i fatti di Roma, con l’assalto alla sede Cgil, e lampio consenso della popolazione salentina per i valori di estrema destra, quindi, sono un altro fattore preoccupante? “Anzitutto nessuno mai ha tenuto a specificare l’importanza di flussi migratori regolari che gioverebbero al nostro Paese, alla macchina pensionistica ma anche a quella lavorativa e culturale grazie al buon funzionamento del comparto agricolo, intellettuale e non solo – conclude il Presidente della regione Puglia. Noi stessi siamo frutto di flussi migratori andati in scena nel corso dei secoli, essere consapevoli di tutto ciò potrebbe sventare il consenso verso alcuni maestri che cercano di apparire con questo giochetto. Approfittare della paura, discriminando anche altre religioni non fa certamente piacere, ed evitare che questo accada è fondamentale, perché la storia ci ricorda come alcuni regimi divennero tali grazie a campagne di odio che vennero accolte positivamente dalla maggior parte della popolazione cristiana ed europea che covava odio verso altri ranghi della società. Solo con l’educazione e l’insegnamento di storie simili a quella odierna si può evitare di innescare un fenomeno molto simile”.

Degli stessi temi abbiamo voluto parlare anche con Fiammetta Martegani. “Ancora oggi questa epopea ricorda dell’ottimo rapporto che c’è tra l’Israele e Puglia. La mostra odierna evidenzia come sia fondamentale il rapporto tra due civiltà per evitare il ripetersi di eventi tragici e inviare un messaggio di speranza a chi affronta le traversate nel Mediterraneo”, esordisce la curatrice del museo di Eretz Israel di Tel Aviv. “È buffo il fatto che il termine Aliya Bet nelle sue radici più profonde significhi “salita illegale verso la terra promessa”, noi siamo stati costretti a recuperare notizie ed archivi di un qualcosa che per oltre settant’anni è stato considerato illegale e per cui dunque la gente ha taciuto onde evitare il peggio. Certamente senza la collaborazione di diversi Paesi molte persone, anche oggi, non potrebbero avere diritto a rinascere, quindi, questa mostra è anche un esempio su come l’Italia, oggi come allora, può ridare vita e costruire qualcosa di concreto per individui che arrivano da condizioni peggiori rispetto alle nostre. L’Italia trovandosi al centro del Mediterraneo è e sarà sempre terra di tratte migratorie”. “Le manifestazioni contro l’immigrazione sono frutto di ignoranza – conclude Fiammetta Martegani -, pertanto l’evento odierno è fondamentale per evitare che anche la nuova classe dirigente si ritrovi in una situazione di arretratezza, in quanto non c’è arma più importante della cultura per formare i giovani”.