Il Trinity Boxing Club: il cuore di New York batte ancora sul ring

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Il Trinity Boxing Club: il cuore di New York batte ancora sul ring

Proprio a pochi passi da dove un tempo svettavano le Torri Gemelle, il Trinity Boxing Club continua a battere con un cuore antico: ha resistito ai colpi della storia, caduto e rinato più volte dalle sue ceneri. Non è solo una palestra, si tratta di un vero e proprio museo vivente, una cattedrale laica dedicata alla boxe, alla fatica, alla fede, alla famiglia.

Trinity Boxing Club, come nasce

Tutto cominciò oltre un secolo fa, con Lorenzo Snow, emigrato irlandese, dodicesimo figlio di un contadino e affetto da ipoglicemia. “Era troppo fragile per zappare la terra,” racconta Martin Snow, suo pronipote e attuale proprietario del centro. “Ma dentro di lui c’era un fuoco che nessuno poteva spegnere”. Lorenzo salpò per l’America spinto dalla fame e dalla derisione, trovando impiego come barista a Nantucket, un’isola situata al largo della costa del Massachusetts. Un giorno nel locale entrò il celebre campione dei pesi massimi John L. Sullivan, proclamando con arroganza di poter stendere chiunque avesse provato a sfidarlo. Il giovane, confuso e allo stesso tempo coraggioso, lo colpì con un gancio che fece crollare lo sventurato a terra. Era l’inizio di qualcosa di imprevedibile.

La boxe come forma di riscatto

La boxe si trasformò brevemente in una forma di riscatto. Per il ragazzo non era solo violenza, era anche etica, una sfida tra spiritualità e sopravvivenza. Questo conflitto si acuì fino all’incontro con Maggie McEldowney, una performer e boxer che si esibiva in spettacoli teatrali. I due si innamorarono e si sposarono e Lorenzo, che, nel frattempo, era divenuto un pugile professionista decise di trasformare il ring in scuola e rifugio.

Fu così che nacque il Trinity Boxing Club, chiamato con il nome del primogenito. In breve divenne un ritrovo, un centro pulsante per outsider, immigrati, artisti, pugili e uomini di potere. Lì si allenavano nomi leggendari: Jake Kilrain, Paddy Ryan, Joe Choynski, James Corbett e, persino, Ernest Hemingway. La coppia ebbe 21 figli ed alcuni si dedicarono attivamente al pugilato. Uno, a soli sette anni, aveva già all’attivo 168 vittorie, di cui 156 per KO. Un altro, durante un match, colpì così forte che l’occhio dell’avversario schizzò fuori dall’orbita. Un trauma che segnò la famiglia e aggravò il disagio che aveva ripreso ad affliggere Lorenzo che cadde vittima dell’alcol. La sua morte avvenne nel 1919 a causa dell’influenza spagnola.

Durante il proibizionismo, il Trinity diventò anche speak-easy, un bar clandestino. Maggie, donna indomita, continuava a insegnare boxe mentre serviva whisky ai clienti. Tra loro: Al Capone, Al Jolson, Charlie Chaplin, Charles Lindbergh, Rudolph Valentino e persino Joseph Kennedy. Il 28 ottobre 1929, giorno del crollo di Wall Street, mentre la donna si recava in borsa per vendere delle azioni, venne travolta da un broker, disperato. Dopo un lancio da un tetto l’uomo le cadde addosso uccidendola. Al funerale parteciparono oltre 2.000 persone.

Il Trinity chiuse i battenti il 31 dicembre dello stesso anno. Ma dopo decenni, Martin, ha deciso di far rinascere il club, riscrivendo una pagina di storia nella stessa città che aveva visto il trisavolo cadere e risorgere. Martin, allenatore e narratore appassionato, ha riportato ilClub agli antichi splendori Ma non si tratta di una palestra vintage, di un luogo nostalgico. È un luogo vivo, dove i sacchi pendono dai soffitti come promesse mantenute, e dove si allena una nuova generazione di pugili: uomini e donne, professionisti e amatori, ragazzi fragili e manager stressati.

Il Trinity Boxing Club oggi

“La boxe qui a New York resiste – spiega Martin –  Non è solo uno sport. È un linguaggio universale, una scuola di carattere. E oggi, sempre più donne salgono sul ring. Cercano qualcosa che va oltre i muscoli: cercano la forza dentro”. Nel mondo ipertecnologico di oggi, il pugilato potrebbe sembrare obsoleto. Eppure, proprio per questo, attira. È ruvido, vero, senza filtri. “In Italia e in altri paesi – osserva – la boxe è ancora vista come sport marginale. Ma qui no. Qui c’è fame di autenticità. Di coraggio. Di riscatto e la boxe è tutto questo”. Il Trinity Boxing Club oggi è anche luogo di inclusione, formazione, terapia. Un posto dove si combatte contro se stessi prima che contro l’avversario. Un luogo dove la storia passata pulsa sotto ogni graffio del pavimento, in ogni fotografia in bianco e nero appesa al muro.