Calcio, la Serie A riparte a metà agosto
25 Maggio 2022
Le frontiere delle città smart: tra videosorveglianza e patente digitale per i cittadini
27 Maggio 2022
Calcio, la Serie A riparte a metà agosto
25 Maggio 2022
Le frontiere delle città smart: tra videosorveglianza e patente digitale per i cittadini
27 Maggio 2022

Elezioni politiche 2023, con quale legge elettorale si voterà 

Ecco le preferenze dei vari partiti politici 

di Salvatore Baldari 

Abbiamo ancora tutti nella memoria i giorni frenetici che hanno portato alla rielezione di Sergio Mattarella al Colle più alto.

Tensioni fra i partiti e le coalizioni, fughe in avanti, riscoperta di vecchi amori gialloverdi.

Una vicenda che nelle ore immediatamente successive fece tornare all’ordine del giorno la necessità di modificare l’attuale legge elettorale, giudicata quasi unanimemente poco funzionale.

Una convulsione tipica dell’Italia degli ultimi trent’anni quella di mettere mano alla legge elettorale con frequenza, senza mai trovare il modello più rispondente alle esigenze del Paese e partorendo sistemi elettorali né mai troppo maggioritari, né mai troppo proporzionali. Degli ibridi tutti italiani che servono soltanto ad esaltare i difetti di ciascuno dei due. Questo perché ciascun partito tende a preferire il sistema che possa favorirlo, in quel determinato momento storico, quello delle elezioni più imminenti.

Rosatellum, l’attuale legge elettorale

La legge elettorale attualmente in vigore è del 2017, ribattezzata Rosatellum dal nome del suo principale promotore Ettore Rosato. Aveva sostituito la precedente, nota come Porcellum, dichiarata incostituzionale in alcuni suoi aspetti, alcuni anni prima.

Il Rosatellum prevede un sistema misto, secondo cui un terzo dei seggi tra Camera e Senato viene eletto in collegi uninominali, ovvero con sistema maggioritario; i restanti due terzi attraverso un sistema proporzionale, che ripartisce i seggi tra i partiti rispettando i risultati percentuali, ottenuti alle elezioni.

Proprio il Rosalletum viene indicato come la causa dell’aver eletto nel 2018 un Parlamento frammentato in cui è difficile formare una maggioranza, come si è rivisto pochi mesi fa proprio nelle trattative fallite per il Quirinale.

A ragion del vero ci sarebbe da dire che con i deputati eletti nei collegi uninominali con i voti dell’intera coalizione, a suo tempo la Lega ha governato con il Movimento 5 Stelle, pur lasciando all’opposizione i partiti alleati.

Con lo spauracchio delle elezioni anticipate ormai sempre più in dissolvenza, il momento delle urne dovrebbe essere a primavera del 2023, a scadenza naturale delle Camere.

Quali sono gli scenari 2023, tra proporzionale e maggioritario

Le forze politiche, ormai da tempo, già analizzano i possibili scenari con un occhio ai sondaggi. C’è da premettere che con il taglio dei parlamentari sancito dal referendum del 2020, sicuramente entro i prossimi sei mesi si dovranno ridisegnare i collegi elettorali e che la legge elettorale venga toccata non è poi così scontato. Se volessimo semplificare, la scelta è fra un sistema proporzionale che fotografi il voto popolare e lo riporti fedelmente in Parlamento e il modello maggioritario, attraverso cui viene assegnato un “premio” consistente in un numero di seggi sufficiente a garantire la maggioranza.

In questo contesto le forze più radicate sui territori sono quelle favorevoli ad un modello maggioritario e, in questo senso, si inquadrano anche gli sforzi di entrambi gli schieramenti di preservare a tutti i costi le alleanze, così da potersi presentare in coalizioni, in grado di vincere nei singoli collegi. Tuttavia questi che prima ho chiamato sforzi, a volte, sono delle vere e proprie otturazioni di naso, per entrambi i fronti.

E l’invasione di Putin in territorio ucraino sta contribuendo non poco, con ambiguità non troppo nascoste su elementi diciamo non così trascurabili della storia della nostra Repubblica, a far emergere divergenze sostanziali all’interno delle coalizioni.

Così, nessuno vuol disdegnare il sistema proporzionale che consente di fare campagna elettorale senza convivere con alleati ingombranti, garantendo una migliore rappresentanza sia a partiti che non vantano particolari “roccaforti” geografiche, sia a quelli più piccoli.

Del resto, per tutta la prima Repubblica, dal 1948 al 1994, si è votato con un proporzionale puro. Era sufficiente che un piccolo partito riuscisse ad eleggere un solo deputato in una circoscrizione, per ottenere l’elezione di un modesto gruppetto di parlamentari. Spesso, con il proporzionale, i partiti più piccoli diventano determinanti nella formazione delle maggioranze, ritagliandosi un notevole potere contrattuale.

In Parlamento dal Gennaio 2020 è incardinato un progetto di proporzionale, firmato dai deputati Fiano (Pd) e Brescia (M5S), per questo già ribattezzato Brescellum, che prevede una soglia di sbarramento del 5%, ispirato al modello tedesco.

Un proporzionale di questo genere consentirebbe a solo 5 o 6 partiti di entrare in Parlamento, paradossalmente meno di quanti ne entrerebbero con alcuni sistemi maggioritari.

D’altro canto, non è così scontato che un maggioritario garantisca maggiore governabilità, basti ricordare cartelli elettorali come l’Ulivo o il puzzle del ‘94 fra Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord che, dopo le elezioni, possono comunque sfilacciarsi.

Questo perché in realtà non è soltanto la legge elettorale a garantire la governabilità e la credibilità di un Paese, ma sarà un insieme di riforme istituzionali, organiche e coordinate fra loro, dalla revisione del bicameralismo, all’introduzione della sfiducia costruttiva, sino a un nuovo rapporto fra Stato ed enti locali a farci fare davvero un salto di qualità.

Ma, prima di salutarci, proviamo ad avventurarci in quelli che dovrebbero essere gli orientamenti delle principali forze politiche, allo stato attuale.

Fratelli dItalia

Giorgia Meloni è senza dubbio la principale sostenitrice del maggioritario e, per non lasciar spazio ad interpretazioni, ha definito il proporzionale “un sistema per turlupinare gli italiani.” Da diverse settimane ormai i sondaggi piazzano il suo partito più in alto e di tutti e, con questi numeri, ambisce a guidare la coalizione di centro-destra, la quale a sua volta sarebbe la più votata.

Partito Democratico

Dalle parti del Nazareno la direzione è quella del proporzionale, condivisa con Leu e con gli alleati del 5 Stelle, tanto che come già detto c’è anche la mano del Pd nel sopracitato Brescellum. Tuttavia, era stato proprio il Segretario Enrico Letta, ospite di Atreju sul finire dello scorso anno a dichiarare: ‹‹Sono sempre stato per il maggioritario e non cambio idea adesso››. Una dichiarazione, dopo tutto, coerente con la vocazione maggioritario del Pd sin dalle sue origini.

Lega

Fino a quando era il partito più votato in assoluto e della coalizione era nettamente per il maggioritario, tuttavia dopo il sorpasso consolidato di Fratelli d’Italia, qualcuno nel Carroccio inizia a immaginare un proporzionale, anche perché capace di aggiudicarsi molti collegi del Nord Italia, da sola.

I leghisti intanto rilanciano spesso l’idea della federazione con Forza Italia, per arginare proprio gli alleati di Fratelli d’Italia.

Movimento 5 Stelle

Detto del testo di legge a firma Giuseppe Brescia, qui c’è da capire il sentiment delle correnti interne e quale Movimento si presenterà alle elezioni del 2023.  

Forza Italia

Il Presidente Berlusconi tornato alla ribalta dei riflettori ha ribadito di essere sempre a favore del maggioritario, del resto lui sa bene che il proporzionale sancirebbe la fine del centro-destra così come lo conosciamo.

Tuttavia, nel partito c’è voglia di proporzionale, per sganciarsi dalla simbiosi ingombrante con la Lega.

Centristi

Il movimento di Giovanni Toti auspica un proporzionale per agglomerare un “Grande Centro” e un matrimonio con Italia Viva. Ma Renzi è da sempre un sostenitore del maggioritario, sin dai tempi del mai entrato in vigore “Italicum” e recentemente ha organizzato un evento con ospiti illustri per ribadirlo. Diversi osservatori in questo suo atteggiamento ci vedono la ritrovata sintonia con il segretario del Pd, Enrico Letta e l’ambizione di formare una coalizione, immaginando la dissoluzione del Movimento 5 Stelle. Ci sono poi Azione e +Europa che si sono portate avanti e sono oramai da considerare un unico partito e hanno l’obbiettivo-auspicio, mai tenuto nascosto, di mantenere Draghi a Palazzo Chigi, anche con il nuovo Parlamento