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Energia rinnovabile, è il doppio del nostro fabbisogno ma non parte

Nove anni di burocrazia per avviare un piccolo impianto

di Salvatore Baldari

C’è una buona notizia ed è che l’Italia potrebbe essere a un passo dal raggiungere gli obbiettivi di neutralità climatica.

Gli impianti di energia rinnovabile in attesa del disco verde sarebbero sufficienti, infatti a soddisfare il doppio dell’energia di cui abbiamo bisogno.

La cattiva notizia è che il disco verde non arriva.

Eolico e fotovoltaico, secondo i dati Terna, gestore della rete di trasmissione italiana, coprono poco più del 13% della domanda elettrica del Paese.

Un dato che, sommato alle altre fonti rinnovabili, fra cui soprattutto l’idroelettrico e poi anche il geotermico e le biomasse, arriva comunque ad appena un terzo del fabbisogno.

Per raggiungere gli obbiettivi di riduzione delle emissioni di Co2 entro il 2030, l’Italia dovrà installare 80 Gw di rinnovabili, ovvero la media di 8 Gw ogni anno.

Il problema è, che stando ai ritmi odierni, installiamo appena 0,8 Gw ogni dodici mesi. Dal 2014 sono stati messi in funzione solo l’ 1,3% degli impianti che hanno fatto richiesta. Nello stesso periodo, il nostro Paese ha visto sorgere meno di 2 Gw di eolico e 3 Gw di solare.

Pare buffo, ma questa volta i soldi non sono il problema. La Commissione Europea ha messo sul piatto oltre mille miliardi da spendere entro il prossimo decennio. Quello che ci ostacola è innanzitutto la nostra burocrazia che interpreta in modo pretestuoso alcune norme.

Per mettere su un impianto di energia-pulita si deve passare attraverso un iter che prevede undici passaggi, fra autorizzazione unica, licenza di officina elettrica, valutazione di impatto ambientale articolata a sua volta in cinque fasi, valutazione di connessione alla rete, a sua volta fatta di sei fasi. Nel mezzo, i pareri di tutti gli enti coinvolti e quindi Regioni, Comuni, Province, Comunità montane, Città metropolitane, Sovrintendenze, dove ognuno di questi ha la capacità di bloccare il progetto.

Un pellegrinaggio di cui non si sa mai quando e come si arriverà alla meta.

Sempre che ci si arrivi.

L’iter autorizzativo è in grado di toccare i 1980 giorni di ritardo, cinque anni e mezzo in media per ogni impianto. Se poi consideriamo anche l’allacciamento alla rete elettrica, si arriva a 109 mesi. Nove anni.

Per non citare quelli bloccati. Solo in Puglia 396 impianti piccoli e grandi sono fermi da otto anni; nel Lazio, sono 126 per oltre due miliardi di investimenti.

Proprio il caso della Regione Lazio è emblematico, dopo aver deliberato una moratoria di ulteriori otto mesi alle nuove installazioni di fonti rinnovabili, in attesa di individuare della aree idonee. Nel 2019 e 2020 le Regioni italiane hanno fornito 41 pareri negativi su 42 totali ricevuti. Il Ministero della Cultura ne ha impediti 35 su 45.

E quando gli impianti vengono approvati, con sei o otto anni di ritardo, probabilmente le tecnologie risulteranno già obsolete e quindi sarà necessario richiedere una autorizzazione per una variante di progetto, così da vedere allungati ancora i tempi.

La tutela del paesaggio è il nocciolo della discussione.

Quando le comunità, magari rappresentate da comitati spontanei o da associazioni di categoria si impuntano, gli enti locali di riferimento le assecondano e nessun investitore può farci niente.

La tutela del paesaggio non va sminuita, è chiaro, ma deve anche convivere con l’esigenza di costruire un mondo più eco-sostenibile.

Del resto, la tutela dell’ambiente è da poche settimane entrata nei principi della nostra carta costituzionale. Sarà curioso vedere come verrà bilanciata dal punto di vista giuridico con la tutela del paesaggio.

Il paesaggio non va considerato come una situazione statica e definitiva, ma deve contribuire all’evoluzione del mondo e dell’uomo, deve essere parte integrante dei momenti storici che esso attraversa.

In base a questi ragionamenti, il paesaggio prima della costruzione degli acquedotti era più importante del problema-sete che alcuni luminari dicevano si sarebbe potuto risolvere con una transizione dell’acqua piovana ai pozzi di raccolta?

Per poter dissetare intere generazioni, prendo in causa la storia dell’Acquedotto Pugliese. Fu spostata la foce del fiume Sele, e furono scavati chilometri di canali, in mezzo a boschi e macchie, realizzando così un nuovo paesaggio.

Un paesaggio che ai tempi qualcuno reputava uno scempio e di cui oggi se ne preserva la bellezza e, addirittura, viene messo in mostra, in percorsi turistici.

Chi oggi ritiene che rispetto alla crisi ambientale del presente e del futuro sia più importante poter vedere i monti dell’Albania dalla costa del Salento o più importante fare le gite fuoriporta affacciandosi su una grotta rupestre della Ciociaria, è un alleato dei combustibili fossili e dell’inquinamento.

Morale della favola, mentre in Italia ci impegnavamo a mettere il bastone fra le ruote ad eolico o solare, gli investitori sono fuggiti.

Nello stesso periodo, in Spagna le richieste hanno superato il 300% dell’offerta disponibile e, per la sana legge del mercato, quando c’è competizione, i costi per  i cittadini si abbassano.

Le energie rinnovabili non sono solo più convenienti rispetto ai combustibili fossili, ma sono anche meno impattanti per quanto riguarda i processi di fabbricazione e smantellamento degli impianti.

Si può riciclare il novanta percento di una turbina eolica e l’ottanta percento dei materiali contenuti all’interno dei pannelli solari.

Nella maggior parte dei casi, il suolo può anche essere restituito al termine della vita dell’impianto.

Anche per questi motivi, pochi giorni fa, con il decreto-legge 17/2022 del 1 Marzo, il Governo è intervenuto per semplificare l’installazione di impianti fotovoltaici sugli edifici già esistenti e nelle aree agricole, declassandoli a interventi di manutenzione ordinaria, con un esonero quasi totale dalle autorizzazioni e atti amministrativi di assenso, estendendo il Modello Unico Semplificato fino a 200Kw di potenza.

Lo stesso decreto si occupa anche di sonde geotermiche e dell’eolico in mare, il cosiddetto offshore.

Purtroppo, questo è solo una piccola ed iniziale misura per provare a correggere la rotta, perché l’energia rinnovabile si compone per lo più di piccoli e parcellizzati impianti, sempre in mezzo a noi, sempre visibili ai nostri occhi, mentre andiamo a passeggio o al lavoro.

Non si può trovare una produzione di energia-pulita, concentrata in una unica grande centrale, come funziona invece per quelle a carbone.

Di quelle sì che ne bastano poche.

Poche e lontane dai nostri occhi, sia per produrre energia, sia per inquinare il nostro pianeta.