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‘Io non sono il mio tumore’: la petizione AIOM per garantire il diritto all’oblio ontologico

di Coraline Gangai

In Italia sono 3,6 milioni le persone a cui è stato diagnosticato un tumore. Di questi si stima che il 27% sia guarito. Un dato importante se sommato all’aumento del tasso di sopravvivenza dopo la diagnosi di tumore maligno che, come segnalato dall’AIRC, oggi si attesta intorno al 59,4% per gli uomini e al 65% per le donne.

Sebbene vengano riconosciute “guarite” dal punto di vista clinico, ciò non accade dal punto di vista sociale, perché lo Stato continua a etichettarle come malate e a impedirgli di adottare figli o di avere accesso a servizi come polizze assicurative, richiedere mutui o prestiti.

È come se l’ombra della malattia continuasse a ‘perseguitare’ chi è riuscito a sconfiggere quel terribile male, impedendogli di fatto di tornare a fare progetti o a vivere la vita di prima liberandosi da quello stigma. Pertanto è, a fronte di ciò, che diventa necessario riconoscere quello che viene definito il ‘diritto all’oblio oncologico’, ossia la legge che permette di non dichiarare di essere stato un paziente oncologico, pratica oggi obbligatoria per la stipula di contratti o per fare richiesta di alcuni servizi.

Mentre in Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda e Portogallo il provvedimento è diventato legge, il nostro Paese rimane indietro. Un’inversione di tendenza è però arrivata a gennaio di quest’anno grazie all’iniziativa messa in campo dalla Fondazione AIOM (l’Associazione Italiana di Oncologia Medica), che ha dato vita alla petizione ‘Io non sono il mio tumore’.

Com’è nata la campagna AIOM

Si tratta della prima campagna nazionale nata con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sul tema e per far sì che l’Italia si adeguasse alla normativa riconosciuta ed entrata in vigore già in cinque Paesi europei.

Come si legge sul sito AIOM: “Un paziente viene considerato guarito quando raggiunge la stessa attesa di vita della popolazione generale. Le tempistiche variano in relazione alle diverse neoplasie. Meno di 5 anni per il cancro della tiroide, meno di 10 per il cancro del colon e il melanoma, oltre 15 per i tumori della vescica e del rene, linfomi non Hodgkin (in particolare i linfomi a grandi cellule B o follicolari), mielomi e leucemie, soprattutto per le varianti croniche, intorno ai 20 anni per alcuni tumori frequenti, come quelli della mammella e della prostata, perché il rischio che la malattia si ripresenti, sebbene esiguo, si mantiene molto a lungo”.

Ogni tumore richiede terapie di cura specifiche e i tempi di guarigione variano a seconda del suo stadio ma oggi, grazie ai progressi della ricerca scientifica, il tasso di sopravvivenza delle persone affette da neoplasie è molto più elevato rispetto al passato.

Una volta intrapreso il percorso di guarigione, il paziente dovrà poi reinserirsi gradualmente nella società. Attualmente il ritorno alla normalità è ostacolato dallo Stato e dalla burocrazia. Approvare il diritto all’oblio diventa quindi imprescindibile, perché permetterebbe di non considerare più paziente oncologico chi ha avuto un tumore solido in età pediatrica, dopo 5 anni dal termine delle cure, e chi ha avuto un tumore solido in età adulta, dopo 10 anni dal termine delle cure.

L’importanza del riconoscimento di questo strumento emerge soprattutto dalle testimonianze di persone come Francesco, che non ha potuto adottare insieme alla sua compagna un figlio nonostante fosse guarito da un tumore alla tiroide, Laura che non ha potuto stipulare un mutuo per aprire la sua scuola di danza a causa di un tumore al seno che l’aveva colpita ma da cui è guarita dopo cinque anni e tante altre. Storie diverse le une dalle altre, ma con un desiderio comune: liberarsi dallo stigma di malati con cui lo Stato continua ad etichettarli e non subire più discriminazioni.

Ad oggi sono più di 72.000 le persone che hanno deciso di aderire a questa campagna.

Un numero che fa ben sperare e che è sempre più vicino all’obietto finale: raggiungere le 100.000 firme da portare in Parlamento per far sì che la legge venga approvata.