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La catena di Sant’Antonio dei roghi: dalla pineta alla fabbrica di plastica e alla discarica materana

di Antonella Testini

Brucia la Puglia e tutto il sud Italia. E nel resto del Mondo le cose non vanno meglio.

In quello che è già stato ribattezzato l’Annus horribilis dell’ambiente, sono migliaia gli ettari di bosco e macchia mediterranea andati in fumo. Nell’intero Paese, dal 15 giugno all’8 agosto sono 44.442 gli interventi dei Vigili del fuoco, contro 26.158 dello stesso periodo 2020 e sullo stesso livello del 2017, quando furono 45.704. Colpa del gran caldo, della siccità. Di un territorio sempre più abbandonato.

Secondo i dati resi pubblici nei giorni scorsi dall’European forest fire information system (Effis) della Commissione europea, nel nostro Paese, dall’inizio dell’anno, sono andati in fumo 102.933 ettari di terreno: il quadruplo rispetto ai 28.479 ettari arsi, in media, ogni anno dal 2008 al 2020.

Finora nella Penisola sono scoppiati 393 incendi di grandi dimensioni (oltre i 30 ettari), contro una media di 224 nel periodo 2008-2020. Secondo la Commissione Europea, il Vecchio Continente sta bruciando a un ritmo doppio rispetto agli anni scorsi e l’Italia detiene il triste primato per numero di roghi divampati quest’anno. Il nostro Paese detiene il primato per il totale degli ettari divorati dalle fiamme ed è secondo solo per il numero di animali uccisi dal fuoco. Una strage silenziosa che ha particolarmente scosso le coscienze in luoghi dove uomo e natura convivono da secoli in un ecosistema ben collaudato, ma pur sempre fragile.

Tra le regioni martoriate dal fuoco in queste ultime settimane ci sono Calabria, Sicilia e Puglia dove dall’inizio dell’estate gli interventi della macchina operativa anti incendio sono raddoppiati.

In una intervista rilasciata recentemente a Repubblica, il dirigente della Protezione civile regionale, Mario Lerario, ha quantificato in 4.073 gli interventi antincendio nel 2021, ricorda che lo scorso anno nello stesso periodo sono state 2.920. Bruciano i boschi ma soprattutto bruciano sterpaglia, terreni incolti, stoppie. E nel 60% dei casi c’è la mano dell’uomo a provocarne uno.

Due gli episodi più gravi. Il primo in Salento ad Otranto e il secondo nel barese, a Gravina in Puglia dove il fuoco ha percorso violentemente il Bosco Difesa Grane, il secondo polmone di Puglia, bruciando un’area di circa 500 ettari. Un ecosistema già duramente colpito nel 2012 e nel 2017, che nelle scorse settimane ha bruciato ininterrottamente per sei giorni trasformando in cenere alberi antichissimi, specie autoctone e uccidendo centinaia di animali sino ad arrivare a minacciare le case.

Un’ecatombe a cui si è aggiunto l’incendio nella storica pineta comunale dove le fiamme hanno raggiunto il parco archeologico, seminando non poca preoccupazione per i residenti. E mentre le forze della macchina operativa regionale erano concentrate su Gravina, nella vicina Altamura le fiamme di un campo di sterpaglia, spinte dal forte vento,  hanno raggiunto una fabbrica di materiale plastico, sollevando una nube tossica sulla città di Altamura. Risultato: divieto di uscire e invito a tenere le finestre chiuse. Poi, a ventiquattro ore dall’incendio di Altamura, il fuoco è divampato nella vicina discarica materana di Borgo la Martella, spingendo la nube tossica ancora su Altamura e Gravina. Tre episodi, tre incidenti, finiti tutti sotto la lente della Magistratura, e non per stabilire se l’evento sia stato “naturale” o se sia stato provocato dall’uomo.

Piuttosto per dimostrare se la natura dei due incendi che hanno messo a rischio la salute dei residenti siano stati di natura dolosa o colposa. Un capitolo a parte merita la discarica materana su cui sono ancora in corso le operazioni di messa in sicurezza, oltre alle verifiche dell’Arpab per stabilire la salubrità dell’area e i danni a medio lungo termine.

Tre episodi, in 48 ore di tempo, in un raggio che non supera i 20 chilometri.