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Mongolia, La terra del vuoto apparente

Il viaggio nel Paese dal color arancio, raccontato da Dania Ceragioli

Nell’incessante intercedere degli anni, dei mesi, dei giorni, arriva un momento in cui si sente l’esigenza di fermarsi, di creare il vuoto. Si è stanchi di osservare la vita come una sequenza di attimi, in cui a fatica cerchiamo di incastrarci, di accomodarci. Si avverte primaria la necessità di recuperare quel piccolo spazio dimenticato all’interno di noi, dove ancora sorgono i nostri più antichi desideri e si intraprende un viaggio anche solo immaginario per attraversarlo. Un viaggio che porti in una terra, dove inevitabilmente veniamo a contatto con nuove energie, dove attraverso la pazienza e la volontà tutto si dilata, lasciando che resti ciò che è veramente importante.

L’incontro con la Mongolia ha origine da questa ricerca. Nella pianificazione di questo viaggio, sono andata a immaginare un oceano di steppe sterminate, un luogo ideale per potersi riconnettere alla natura. Ho immaginato di poter camminare senza una meta, in solitudine e silenzio, come unico spettatore il vento. Ho immaginato cieli infiniti in cui poter proiettare senza giudizio tutte le paure anche quelle più inconfessabili. In realtà avevo solo immaginato. L’impatto con questa terra è stato diverso, in realtà il vuoto che ho incontrato è stato solo apparente. Nelle infinite praterie percorse, un paesaggio non era mai uguale all’altro: un continuo rincorrersi di colori, di forme, di armonie. Quel gran silenzio a cui avevo anelato era in realtà un assordante insieme di suoni, vibrazioni, a cui le nostre orecchie, infastidite dai rumori cittadini, non sono più abituate.

Si fa fatica a ascoltare, a rimanere da soli con noi stessi in una piccola ger dove tutto attorno è lo sprigionarsi degli elementi, dove anche il colore di queste abitazioni itineranti è di uno straripante color arancio, che per la popolazione mongola rappresenta il colore del sole e dell’abbondanza. Uscendo nel cuore della notte ho creduto di incontrare le tenebre, invece ho trovato sopra di me un’infinità di stelle luminose.

Come dimenticare inoltre la luce del giorno, una luce avvolgente, caleidoscopica, in un alternarsi di espressioni che imprimevano, come in un gioco costante, al tuo alter ego la propria ombra. Ho incontrato tante strade, in cui è stato facile perdersi e allo stesso tempo ritrovarsi, strade di fango battute da motociclisti solitari, che sanno di poter dare ancora un senso alla parola ospitalità.

Ospitalità che trovi negli sguardi, nei sorrisi e in chi, pur non conoscendoti, è disposto a invitarti alla condivisione di una capra appena cucinata. Andavo cercando il vuoto e invece ho trovato la pienezza di un luogo incontaminato, che mi resterà dentro a lungo e mi permetterà di dimenticare lo scopo stesso del viaggio.