Si può giocare a calcio con 3 portieri e 15 attaccanti? A Firenze lo fanno da 500 anni
15 Giugno 2022
Viaggi in treno e sicurezza: c’è ancora molto da fare
20 Giugno 2022
Si può giocare a calcio con 3 portieri e 15 attaccanti? A Firenze lo fanno da 500 anni
15 Giugno 2022
Viaggi in treno e sicurezza: c’è ancora molto da fare
20 Giugno 2022

Pasolini e l’omologazione

di Alessio Torelli

«Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e non esisterà mai più. 

Ecco perché buona parte dell’antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede: perché da battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura nessuno. E’ insomma, un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo. 

Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologhi hanno troppo bonariamente chiamato “la società dei consumi”».

Questo è un estratto di un’intervista di Massimo Fini a Pier Paolo Pasolini da “l’Europeo” del 26 dicembre 1974.

Queste poche righe rappresentano probabilmente una delle più tragiche profezie del poeta, una profonda analisi del cambiamento della società in corso negli anni ’70 che, secondo il poeta, stava portando a compimento il nuovo e vero fascismo, omologando totalmente la cultura del nostro paese. Il fascismo mussoliniano, con gli innegabili crimini di cui si era reso protagonista, aveva sottomesso il popolo italiano, ma non era sostanzialmente riuscito a scalfire e a modificare nel profondo l’intimo, i diversi stili di vita, i “diversi modi di essere uomini”, un fascismo scenografico che non era riuscito ad essere veramente totalitario. Invece la società dei consumi in modo subdolo e senza violenza fisica stava raggiungendo l’obiettivo.

Siamo di fronte ad un nuovo Potere, ancora senza volto, scrive Pasolini.

Il nuovo capitalismo, col suo consumo di massa, aveva creato un nuovo potere con tratti moderni, dovuti ad una nuova ideologia edonistica e ad una apparente tolleranza, ma in realtà il potere è totalmente repressivo. 

«La tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e consumista come il consumatore».

I giovani erano cambiati e con essi le periferie.

Seppur caratterizzate da un’oggettiva povertà dal punto di vista economico, dal “degrado”, le periferie sono sempre rappresentate da Pasolini come viva espressione della cultura particolare del sottoproletariato, in grado di esprimere una cultura e dei valori a sé stanti e un senso di solidarietà proprio.

I personaggi di “Accattone”, tendenti alla vita criminale o al vivere alla giornata, considerati tutto sommato “simpatici” ladruncoli, poetici rappresentanti delle borgate romane, coi loro dialetti ed i loro tratti fisici ben definiti, sono scomparsi.

Sono bastati pochi anni per distruggere definitivamente questa cultura, un genocidio culturale, secondo il poeta. I giovani, smarriti e senza valori sono divenuti l’embrione del piccolo borghese. Si vergognano ormai di essere figli di proletari, si affannano ad aderire ai nuovi modelli consumistici, ad omologarsi allo stile di vita pariolino.

I nuovi giovani sono divenuti dei “mostri”: ambigui, senza valori, stereotipi della nuova società. 

«Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare».

Le culture particolari periferiche erano riuscite a sopravvivere anche durante il fascismo, la nuova civiltà invece ha raggiunto una totale adesione alla cultura del “centro”, attraverso la rivoluzione delle infrastrutture che hanno unito la periferia al centro ma soprattutto grazie all’informazione. La televisione ha portato avanti un’opera di appiattimento culturale senza eguali, l’imposizione del modello del perfetto consumatore, del borghese. I sottoproletari cercano con ansia di adeguarsi al nuovo stile di vita generando fenomeni di vera e propria nevrosi. La strada da seguire è l’edonismo e i classici valori popolari sono da considerarsi obsoleti, inutili, perché non funzionali al nuovo potere.

Pasolini analizza anche la criminalità, considera omicidi tristemente noti commessi da giovani pariolini di estrema destra come quelli del cosiddetto mostro del Circeo assimilabili, per origine sociale e culturale, a omicidi commessi da giovani romani di borgata. Essi derivano dallo stesso ambiente di massa, la perdita di vecchi valori e la mancata acquisizione di nuovi ha trasformato i giovani in esseri umani incapaci di scegliere tra bene e male e di provare un sentimento di pietà.

Ma com’è avvenuto tutto questo?

In un articolo dal titolo “Il vuoto del potere in Italia” del 1975 Pasolini accosta il fenomeno della scomparsa delle lucciole, iniziate a scomparire nei primi anni sessanta a causa dell’inquinamento, alle fasi del governo democristiano e quindi del “fascismo democratico” che hanno il loro culmine finale nell’avvento della civiltà dei consumi.

Prima della scomparsa delle lucciole, quindi dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni sessanta, c’è un’assoluta continuità tra il fascismo e il governo democristiano. I democristiani, secondo Pasolini opponevano solo formalmente una opposizione o un’alterità nei confronti del fascismo mussoliniano. I valori popolari interiorizzati durante il fascismo erano sostanzialmente gli stessi: Chiesa, Patria, famiglia, disciplina, ordine, risparmio, moralità. Il tutto si reggeva sui voti dei ceti medi e dei contadini, gestiti dal Vaticano.

Durante la scomparsa delle lucciole, sostanzialmente nessuno, nemmeno i migliori intellettuali né le masse operaie e contadine aderenti al PCI, si era ancora reso conto di quello che sarebbe avvenuto di lì a pochi anni, del genocidio culturale e dell’omologazione di Stato. 

Dopo la scomparsa delle lucciole, assistiamo ad un totale abbandono dei vecchi valori che divengono inutili, non servono più al nuovo potere. I nuovi modi di produzione, la nuova civiltà basata sul consumo di massa ha modificato profondamente le coscienze degli italiani, che in pochi anni sono divenuti “un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale”.

Tutto ciò ha creato un vuoto di potere, poiché i governanti DC non si sono accorti di quello che stava accadendo, non si sono resi conto che la nuova società non ha più bisogno dei valori propugnati dal Vaticano, né di un esercito nazionale, tantomeno della famiglia tradizionale intesa come centro della vita contadina.

La nuova civiltà si impadronisce “laicamente” anche della sessualità.

Parlando di aborto, all’interno di un dialogo con Pannella e i radicali che accompagnerà gli ultimi anni della sua vita, Pasolini sentenzia che anche l’aborto legalizzato sarebbe funzionale al nuovo potere, “regalerebbe” la libertà sessuale impadronendosi delle istanze progressiste di liberazione del corpo e della sessualità. 

Anche il sesso, il coito diviene secondo Pasolini un’ansia sociale, un obbligo a cui deve necessariamente aderire il nuovo consumatore. La società protegge solo la coppia eterosessuale, non come simbolo di felicità e libertà, ma come unione funzionale al consumo, e continua ad ignorare e respingere tutto ciò che è sessualmente diverso. 

Questa analisi del cambiamento politico, sociale e culturale in atto espressa da Pasolini è egregiamente racchiusa nelle opere “Scritti Corsari” e “Lettere Luterane”, da considerarsi letture indispensabili per la comprensione del contesto sociale, politico, economico e culturale di quegli anni; troviamo in tutto il suo straziante realismo l’urlo disperato del poeta di fronte a questi enormi sconvolgimenti: cambiamenti epocali nei modi di produzione, l’urbanizzazione selvaggia e la scomparsa dei paesaggi, il vuoto di valori, la falsa tolleranza sessuale funzionale al potere consumista. Potrebbe sembrare che Pasolini intendesse essere un “passatista” ma non è così. Certamente in parte guarda con nostalgia a un certo passato, ma Pasolini aveva capito e voleva con tutte le sue forze denunciare tutta l’artificiosità di questo sviluppo che, dietro ad un miglioramento dal punto di vista economico di determinate classi sociali, aveva crocifisso i valori che davano senso all’esistenza, aveva colonizzato violentemente le coscienze per consegnarle al capitalismo incontrollato, alla voglia di beni superflui, ai falsi bisogni. Pasolini sosteneva il progresso, nel senso ideale, sociale e politico del termine, non lo sviluppo portato avanti dagli industriali inteso come produzione illimitata di beni superflui.

Quello che stupisce, a cent’anni dalla sua nascita, è l’attualità del pensiero di Pasolini. La facilità con cui si sono imposti certi modelli e la loro quasi automatica interiorizzazione sono da considerarsi preziosi lasciti da cui ripartire per una vera riflessione sociologica sulla nostra società. 

La lettura dei cambiamenti geopolitici in corso, delle politiche del lavoro, della incontrollata proliferazione dei social media, dell’omologazione a determinati modelli, avrebbe bisogno di intellettuali come Pasolini. 

Come disse Moravia, concludendo l’orazione funebre ai funerali di Pasolini: «Tutto questo l’Italia l’ha perduto, ha perduto un uomo prezioso che era nel fiore degli anni. Ora io dico: quest’immagine che mi perseguita, di Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso, è un’immagine emblematica di questo Paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo Paese come Pasolini stesso avrebbe voluto»