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Rubli per i pagamenti, ecco il vero meccanismo: non cambia nulla e si sostiene la moneta russa

di Salvatore Baldari

La principale risposta di Putin alle sanzioni occidentali è stata la richiesta ai “Paesi ostili” del pagamento in rubli per le forniture di idrocarburi. Una pretesa immediatamente rispedita al mittente, appellandosi al fatto che gli acquisti sono contrattualizzati da pagamenti con valuta differente. Alla fine, però, dopo una settimana di provocazioni, l’autocrate russo ha messo la firma su un decreto che potrebbe chiudere i rubinetti di gas verso l’Europa o rivelarsi soltanto un modo di cambiare tutto perché tutto rimanga com’è. «La guerra economica contro la Russia va avanti da anni: l’obiettivo è minare il nostro sviluppo», ha detto. Un’accusa contro le sanzioni occidentali sancite a seguito dell’annessione della Crimea del 2014 e potenziate con l’invasione dell’Ucraina.

Andando a fondo, tuttavia, il meccanismo del decreto è ambiguo.

Ogni «compratore estero» dovrebbe aprire due conti presso Gazprombank, l’istituto di Stato, non colpito dalle sanzioni, che intermedia gli acquisti. L’acquirente europeo verserebbe euro sul proprio conto presso Gazprombank, la quale a sua volta li venderebbe in cambio di rubli sulla Borsa di Mosca, così poi da depositare la somma sul secondo conto. Solo allora, la transazione procederebbe dal conto in rubli dell’acquirente europeo al conto in rubli del venditore russo, in cambio delle forniture di gas pattuite.Un meccanismo insomma, immaginato per non cambiare niente, ma salvare la faccia a tutti: Putin si assicurerebbe i pagamenti in rubli, come aveva promesso, mentre gli europei potrebbero continuare a pagare in euro come previsto dai contratti.

Un meccanismo che probabilmente cela il vero obbiettivo del Cremlino, ovvero rallentare il più a lungo possibile la perdita di valore della moneta nazionale, una mossa difensiva di breve periodo, indispensabile per prendere tempo, fino a quando non si intensificheranno i tavoli di pace.

Non è un caso che alcuni commentatori abbiano persino parlato di aggiotaggio da parte del leader russo, diffondendo ipotesi operative inverosimili capaci di incidere sui corsi valutari.

Il lato più scivoloso del dispositivo ideato da Putin riguarda l’articolo 7 del decreto, secondo cui «l’obbligo di pagamento» da parte dell’importatore di gas «si considera compiuto» solo quando i rubli sono trasferiti al conto di Gazprom.

Pertanto, potrebbe accadere che mentre i fondi transitano da euro a rubli e poi dal compratore al venditore, la moneta si svaluti e allora la somma pagata dal compratore potrebbe diventare troppo bassa. O perché no, troppo alta, nel caso di rivalutazione dell’euro.

Qualora le eventuali perdite sul rischio di cambio fossero sul groppone di Gazprom, verrebbe confermata l’ipotesi secondo cui questo decreto sarebbe soltanto un colpo di teatro per salvare la faccia a Putin di fronte alla propria opinione pubblica.

Nel frattempo, però, il decreto russo ha dato un nuovo slancio al rublo, che dopo un tracollo del 45% sull’euro nella prima fase dell’invasione all’Ucraina, è recentemente tornato sopra ai livelli di partenza.

La decisione di legare in modo così appariscente il rublo alle forniture di gas, di cui la Russia detiene le più grandi riserve mondiali, è evidentemente orientata a frenare la spirale di svalutazione ed inflazione, che da quelle parti non si vedeva dai tempi dell’Unione Sovietica.

La mossa va nella direzione di rilanciare la narrazione di un Paese che non si piega alle sanzioni occidentali e, probabilmente, getta le basi per edificare una nuova area di influenza che faccia riferimento ai mercati asiatici. In questo senso, potrebbe anche interpretarsi l’invito di Mosca all’India di liberarsi dal sistema Swift.

Una zona di influenza geopolitica, commerciale e finanziaria, che avrebbe il suo perno nella Cina.

Una ipotesi non tanto celata da Putin, ma che non tiene conto delle visioni cinesi, una potenza manifatturiera che non può fare a meno della globalizzazione e dei rapporti con l’Occidente.

In questo contesto, gli Stati Uniti hanno annunciato, il 31 Marzo, il più massiccio rilascio della storia di riserve strategiche. Almeno 180 milioni di barili di greggio per 6 mesi, uno al giorno, così da farne scendere il prezzo. E già i primi effetti sul mercato si sono fatti vedere con un calo del 6,5% a 100 dollari da parte del petrolio-Wti.Tutte le premesse per una guerra energetica sono ormai sul campo, con sullo sfondo la transizione ecologica che tutti ci siamo dati come stella polare. Almeno a parole.