Vintage, l’abbigliamento second hand spinge l’economia di New York

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Vintage, l’abbigliamento second hand spinge l’economia di New York

Solo nella Grande Mela il comparto dell’usato vale oltre 5 miliardi di dollari l’anno.

In una città che cambia pelle ogni giorno, c’è una moda che non passa mai: il vintage. Dai magazzini industriali di Williamsburg ai vicoli bohémien del West Village, passando per le vetrine curate dell’East, l’abbigliamento second hand non è più solo una scelta di stile, ma una forza economica e culturale in piena espansione. In un’epoca in cui la sostenibilità si fa urgente, il fascino del “già vissuto” conquista le nuove generazioni e trasforma New York in una vera e propria capitale dell’usato globale.

Secondo il rapporto annuale di ThredUp Resale, nel 2024, il mercato americano in questo settore ha superato i 42 miliardi di dollari e si stima che entro il 2030 vada oltre i 72, raggiungendo la fast fashion per tasso di crescita. Solo nella Grande Mela, il comparto dell’usato, abbigliamento in testa, vale oggi oltre 5 miliardi di dollari l’anno, generando un indotto sempre più solido tra negozi fisici, e-commerce, eventi e micro-imprese creative.

Nel quartiere di Williamsburg, epicentro hipster per eccellenza, il vintage è uno stile di vita. Qui si trovano realtà affermate come Beacon’s Closet, Awoke Vintage, e mercati come il Brooklyn Flea, dove ogni weekend migliaia di persone si immergono tra giacche anni ’80, denim Levi’s sbiaditi, stivaletti texani e occhiali da sole retrò. Tra il 2019 e il 2024, i negozi dedicati in questa zona sono cresciuti del 37%, trainando anche caffetterie, laboratori sartoriali, concept store e showroom.

In coda per entrare nel negozio vintage

Ma il cuore pulsante del “riuso” resta Manhattan, tra i quartieri del West e East Village. Quest’ultimo, che è in passato è stato un ex rifugio punk, oggi ospita gemme come No Relation Vintage, L Train Vintage, e boutique indipendenti che attirano sia fashion blogger internazionali che studenti di moda. Il West Village, invece con le sue vie eleganti e l’anima intellettuale, offre una selezione più curata e di nicchia, come Cure Thrift Shop: spazio che unisce ricerca stilistica, sostenibilità e storytelling.

In queste aree, la cultura vintage è intrecciata all’identità dei distretti. I negozi diventano luoghi d’incontro, laboratori creativi, a volte anche palcoscenici per eventi, mostre o performance live. Non si tratta solo di acquistare un abito, ma di scoprire la sua storia.

Nel guardaroba di molti, l’usato ormai non è più una scelta di ripiego, ma un’opzione consapevole. Chi si rivolge al second-hand cerca innanzitutto valore: capi di qualità a prezzi più accessibili, spesso di marchi che nuovi sarebbero fuori budget. C’è poi la sostenibilità, con la soddisfazione di dare nuova vita a un indumento e ridurre l’impatto ambientale della moda. Per altri conta l’unicità: pezzi fuori produzione, storici o dal gusto retrò che non si trovano facilmente sul mercato. E non manca il lato emotivo: il piacere della caccia al tesoro, l’idea di scoprire un articolo con una storia alle spalle, magari carico di fascino e personalità.

Tuttavia dietro il romanticismo dell’usato si nasconde una macchina economica ben strutturata. Il vintage genera migliaia di posti di lavoro diretti e indiretti: venditori, curatori di stile, fotografi, sarti, social media manager, addetti alla logistica, restauratori tessili. Nella Big Apple, si stima che il comparto crei circa 6.000 occupazioni, con numeri in crescita grazie anche al boom delle vendite online.

Piattaforme come Depop, Poshmark, Vinted e Grailedhanno trasformato studenti universitari e appassionati di moda in micro-imprenditori capaci di guadagnare fino a 3.000 – 5.000 dollari al mese, rivendendo pezzi unici o curando capsule collection autoprodotte. A supporto, emergono anche coworking del vintage, laboratori di restyling e cooperative dedicate al riutilizzo dei tessuti.

Non è un caso se anche le grandi catene stanno cavalcando l’onda. Levi’s ha lanciato il programma Levi’s SecondHand, Urban Outfitters e ha aperto uno spazio dedicato al retrò chiamato Urban Renewal, e persino fast fashion come H&M e Zara stanno sperimentando corner per il pre-loved. Il passato, insomma, è diventato un business sempre più presente.