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Vita da pescatori

di Maurizio Benedettini

“Piccola in scala, grande in valore”: è la pesca. Così il 2022 è stato dichiarato dall’ONU l’Anno Internazionale della pesca e dell’acquacoltura artigianali. Secondo la FAO, i piccoli pescatori hanno le potenzialità per preservare gli equilibri degli ecosistemi e possono contribuire alla creazione di sistemi alimentari sostenibili.

Secondo una stima attendibile più di un miliardo di persone che vivono sul nostro Pianeta fanno i pescatori. Per le sacre scritture i primi quattro discepoli erano pescatori e Gesù, per convincerli a seguirlo, disse loro: “Venite dietro di me, vi farò pescatori di uomini”.

In questo reportage i protagonisti delle immagini praticano per lo più una pesca di sussistenza, compiendo gesti antichi che si tramandano da generazioni.

La loro è una vita dura, spesso solitaria; i rapporti familiari e sociali sono complicati da una serie di fattori come gli orari di lavoro, che non coincidono con quelli della maggior parte delle persone, e la precarietà dovuta all’incertezza del guadagno.

Forti sono la paura e il rispetto della Natura, in tutte le sue forme e manifestazioni, e grandi sono i sacrifici per pochi soldi.

Un mestiere praticato quasi esclusivamente da uomini, mentre le donne si occupano in genere della vendita del pescato o della manutenzione delle reti e ovviamente anche di tutto ciò che concerne la vita familiare.

In viaggio svegliarsi il mattino presto per vedere il rientro dei pescatori e visitare il locale mercato del pesce è un piccolo sacrificio in confronto a ciò che riesce a svelare questa esperienza: l’essenza del vivere di un popolo.

Esistono metodi di pesca caratteristici di un territorio, come quello praticato a Weligama, nel sud dello Sri Lanka, dove i pescatori restano per ore appollaiati su trampoli conficcati nel fondo sabbioso.

In Myanmar la bassa profondità del lago Inle rende efficace l’utilizzo di particolari nasse dalla forma conica.

Popoli come i Bajau, detti comunemente nomadi o zingari del mare, vivono da secoli su case erette su palafitte tra Indonesia, Malesia e Filippine, praticando la pesca subacquea come principale attività. Raramente si spingono sulla terraferma.

In Cambogia, non lontano da Siem Reap, c’è il più grande lago del sud-est asiatico, il Tonle Sap. Nei villaggi, lungo le sue rive, vivono circa tre milioni di persone e ogni attività viene svolta sull’acqua: scuole, officine, monasteri, luoghi di preghiera, pescherie, bar, palestre, in una totale simbiosi con l’ambiente circostante.

La pesca è un mestiere umile, nobile e pericoloso, in molte occasioni non è una libera scelta: o fai il pescatore o sei costretto a partire.

Da tempo si è aggiunto un ulteriore grande problema, ovvero l’inquinamento da plastica, riconosciuto come la questione ambientale più urgente da affrontare, soprattutto in molte zone dell’Asia e dell’Africa, dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono spesso inefficienti o inesistenti.

La cosa più grave è che mancano la cultura, la mentalità e la volontà.

Le materie plastiche che si trovano in mare, nel tempo si disgregano alla luce solare in particelle inferiori al mezzo centimetro, continuando poi a degradarsi in frammenti sempre più piccoli finendo così anche nell’acqua potabile o in sospensione nell’aria che respiriamo.

Un veleno per tutti gli esseri che popolano il nostro bellissimo e fragilissimo Pianeta.

Foto di Maurizio Benedettini