Stop al “Gioco del pollo”, l’invito di Dragni all’Europa

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Stop al “Gioco del pollo”, l’invito di Dragni all’Europa

C’è un’immagine che mi torna in mente quando ascolto Mario Draghi: non è quella del “Whatever it takes” a salvare l’euro, ma quella di un saggio autista che sa bene dove si trova la strada. L’ultima volta che lo abbiamo visto al volante, a bordo di un carro-attrezzi, ci ha salvato dal burrone. 

“L’inazione minaccia la sovranità”

Oggi, quel burrone non è una crisi finanziaria, ma uno scenario geopolitico ed economico sempre più precario. E il suo ultimo intervento alla Conferenza UE di alto livello è un promemoria per l’Europa, per spingerla a riprendere la guida e a cambiare rotta. Dal palcoscenico dell’evento, Draghi ha tracciato un quadro senza veli, mettendo in guardia l’Unione dall’inerzia. La sua analisi è un monito che suona familiare a chi ha già sentito la sua voce. Non è più tempo di “chicken-game”, di giochi al rialzo che mettono a rischio la sopravvivenza stessa del continente. La sua frase, “l’inazione minaccia la sovranità”, è il nucleo di un pensiero che collega la passività politica alla perdita di potere e di autonomia. Il significato è chiaro: se l’Europa non agisce, non decide, altri lo faranno al suo posto.

Draghi ha indicato chiaramente chi sono i protagonisti di questa nuova partita a scacchi globale: gli Stati Uniti e la Cina. Entrambi non giocano più secondo le regole del libero mercato, ma con logiche di potere e di protezione dei propri interessi. I dazi, le barriere commerciali e la competizione tecnologica sono le nuove armi di una guerra economica che non risparmia nessuno. In questo contesto, l’Europa rischia di ritrovarsi come un vaso di coccio tra vasi di ferro, schiacciata tra i due giganti. La “minaccia dell’inazione” si manifesta in vari modi. Economicamente, significa non avere una strategia comune per l’approvvigionamento energetico, per la produzione di microchip o per la difesa. Il costo dell’energia, per esempio, è un problema che ogni stato membro cerca di risolvere per conto proprio, senza un piano unitario, rendendo le imprese europee meno competitive a livello globale. Politicamente, significa non saper parlare con una sola voce sui grandi dossier internazionali, dalla crisi mediorientale alla guerra in Ucraina, dalle relazioni con l’Africa ai rapporti con l’India. L’Europa, secondo Draghi, deve smettere di essere un mero “terzo incomodo” o un “campo di battaglia” altrui. La sua vera sovranità si costruisce attraverso azioni coordinate e una politica estera e di difesa comune.

Draghi ha poi allargato la visuale, sottolineando come l’Unione Europea non possa più limitarsi a guardare ai mercati tradizionali. È giunto il momento di aprirsi a nuovi mercati e a nuovi partner strategici. Paesi come l’India, il Messico e il Vietnam, che fino a poco tempo fa erano considerati periferici, sono ora al centro delle dinamiche globali. L’Europa deve stringere accordi commerciali e cooperazioni tecnologiche con questi Paesi, diversificando le proprie catene di approvvigionamento e garantendosi nuove opportunità di crescita.

Se il problema è l’inazione, la soluzione è l’azione. Draghi non si è tirato indietro e ha elencato le riforme strutturali di cui l’Europa ha bisogno. Ha sottolineato la necessità di superare la lentezza burocratica che ostacola gli investimenti e la competitività. Ha parlato di una politica industriale comune per non perdere la sfida con USA e Cina, e ha rimarcato l’urgenza di una maggiore integrazione economica e finanziaria. Il messaggio è evidente: non possiamo più permetterci di giocare d’azzardo con il futuro. Anche il Green Deal, un progetto ambizioso e necessario, deve essere ripensato con pragmatismo. Non si tratta di abbandonare la transizione ecologica, ma di renderla economicamente sostenibile, evitando che diventi un freno per l’industria europea. Draghi ha suggerito di guardare a nuove tecnologie e soluzioni più efficienti, riconoscendo che la transizione è un processo complesso che richiede tempo e investimenti mirati. L’Europa ha a disposizione tutti gli strumenti per diventare una superpotenza globale, ma deve superare le proprie divisioni interne e le gelosie nazionali. Deve smettere di comportarsi come un insieme di singoli Stati che giocano al “chicken-game”, sperando che un “carro-attrezzi” arrivi sempre a salvarli. Il burrone, questa volta, è un mondo in rapida trasformazione dove la passività e l’assenza di visione strategica sono una condanna. Se l’Europa non vuole finire come l’auto di Buzz, con la manica della giacca impigliata, deve agire. Adesso.