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Cyberbullismo, perché online fa male uguale

In crescita tra i minori, con il lockdown il 61% degli intervistati confessa di esserne stato vittima

di Silvia Cegalin

Non sempre il nemico è visibile. Non sempre le aggressioni si incarnano in un atto fisico o in un gesto di violenza espresso esplicitamente, e non sempre le minacce sono esternate tramite la materialità della voce. Già, perché la tecnologia e la diffusione dei device elettronici ha permesso al fenomeno del bullismo di assumere un’altra forma, consentendo ai bulli di agire in modo nascosto, filtrato potremmo dire, e poter così compiere le violenze anche in quella parte di realtà che viene definita come virtuale, e che, esattamente come l’esistenza concreta, non è priva di pericoli e che necessita quindi di essere regolamentata.

Quando le persecuzioni e le aggressioni tra minori e adolescenti avvengono all’interno del mondo digitale non si parla più di bullismo, ma di cyberbullismo “bullismo online”, esattamente come fa intendere la parola cyberg, esplicando forme di violenza che si esprimono attraverso gli strumenti informatici; da non confondere con il cyber harassment che riguarda invece quando il molestatore e la vittima sono due adulti.

Il termine cyberbullismo fu coniato nel 2002 e la sua origine la si deve all’educatore canadese Bill Belsey, idea che successivamente, nel 2006, verrà ulteriormente sviluppata e ripresa da Peter K. Smith che insieme alla sua equipe di lavoro rintracciò le connessioni esistenti tra il cyberbullismo e il bullismo tradizionale.

A fronte di tale coincidenza, in Cyberbullying: its nature and impact in secondary school pupils del 2008, Smith rileva che sebbene il bullismo e il cyberbullismo siano accomunati dall’insorgere di comportamenti offensivi e prepotenti indirizzati verso una persona, spesso un coetaneo, incapace di difendersi, le due forme differiscono nella modalità con cui si manifesta la violenza.

Se il bullismo è caratterizzato da uno scontro faccia a faccia tra vittima e aggressore/i, che talvolta comporta anche l’emergere di evidenti ferite corporee, o permette la videoregistrazione dell’atto violento da parte dei sistemi di sorveglianza installati nei luoghi pubblici, con l’opportunità di identificare i bulli.

Nel cyberbullismo, dato che le prevaricazioni, le denigrazioni e le violenze avvengono nella sfera virtuale e prevalentemente attraverso i mezzi comunicativi, il cyberbullo, o il gruppo di cyberbulli, appaiono come figure onnipresenti in grado di materializzarsi in qualsiasi momento nella quotidianità della vittima. Per incontrare il cyberbullo non serve uscire di casa o recarsi a scuola, è sufficiente accendere il cellulare, il pc o collegarsi a qualche social. Il fatto, quindi, che si possa subire violenza anche da casa, violati nel proprio spazio intimo, in quel luogo considerato inviolabile, aumenta il senso di impotenza e disperazione delle vittime di cyberbullismo, che per scappare dal loro aggressore non possono materialmente rifugiarsi in nessun posto.

A sostegno di questo parlano i dati raccolti e pubblicati nel Febbraio 2020 dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps) che ha rilevato che tra chi possiede il cellulare (85,8%), ben il 22,2% di giovani tra i 13 e i 17 anni ha comunicato di essere stato vittima di cyberbullismo.

L’invio di messaggi insistenti e persecutori e/o immagini o video offensivi, o considerati tali, diffusi pubblicamente tramite smartphone o pubblicati in Internet, sono infatti tra le “armi” preferite dei cyberbulli per colpire le loro vittime; ignorare o difendersi dai cyberbulli diviene perciò molto complicato, specialmente in considerazione del fatto che i cyberbulli spesso operano tramite account fasulli, fattore di riservatezza che aumenta la percezione di potere dell’aggressore che si sente libero di agire indisturbato e impunito.

A questo punto è però importante distinguere tra due categorie di cyberbullismo: uno di tipo diretto e un altro indiretto.

In quello diretto il cyberbullo si relaziona esclusivamente con la propria vittima, molestandola via sms, mms o chiamate, un comportamento vessatorio, dunque, che si svolge in un rapporto chiuso ed “esclusivo” tra vittima e carnefice.

Diverso è il cyberbullismo indiretto, in cui il bullo agisce in rete pubblicando contenuti inerenti la vittima, condividendoli ad esempio in canali social, gruppi o siti, in questo caso lo scopo è diffamare pubblicamente la persona, crearle un danno, oltre che psicologico, anche sociale e relazionale, perché la maggior parte delle volte l’oggetto di condivisione si trasforma in virale. Sebbene entrambe queste due forme siano pericolosissime, proprio a causa della già menzionata componente di viralità, la seconda categoria resta comunque la più temibile: spesso non si fa in tempo a bloccare o a intervenire sul contenuto di un video o di un’immagine condivise perché la loro diffusione e visualizzazione nel web è già avvenuta, e anche quando successivamente, grazie all’intervento delle autorità competenti e del garante della privacy, si potrà eliminare la foto o il video incriminato, è probabile che già molti utenti ne abbiano preso visione.

Ma c’è di più. Sempre all’interno di queste due categorie emergono altre tipologie di cyberbullismo, tra le più comuni compaiono: il flaming, messaggi di natura volgare e offensiva contenenti insulti che servono per accendere discussioni su un forum o su un profilo social, la denigration, diffamare intenzionalmente un soggetto specifico nel web, il cyberbashing, quando si filma e divulga il video che riprende il maltrattamento o l’aggressione verso un coetaneo, e il cyberstalking.

Se ne deduce che il cyberbullismo porta con sé conseguenze tragiche, le vittime che subiscono tali violenze, anche dopo anni, rimangono segnate da forti traumi e scompensi emotivi e psicologici, aggravati dal fatto che le cyber violenze si sono verificate in età giovanile, e dunque in quella fase delicatissima che riguarda lo sviluppo psicofisico personale del soggetto che, qualora non vengano risolti, rischiano di spingere la vittima verso il suicidio.

È indubbio, poi, che anche il cyberbullo presenti un profilo psicologico alquanto compromesso. Da vari studi contenuti nel volume collettivo Bulli, cyberbulli e vittime: Dinamiche relazionali e azioni di prevenzione, responsabilità civili e risarcimento del danno a cura di Maria Grazia Foschino Barbaro e Paolo Russo, è emerso che i cyberbulli sono ragazzi/e che, a loro volta, sono stati vittime di maltrattamenti, o di scarsa attenzione famigliare e comunitaria, oltre che essere contraddistinti da un’elevata incapacità di adattarsi al tessuto sociale, mentre in altri casi essi possono anche essere affetti da problemi psichici e da una mancata empatia.

Bisogna, di conseguenza, allontanare l’idea che il cyberbullismo sia uno scherzo di cattivo gusto, il cyberbullismo è un vero e proprio reato, legiferato dalla Legge 71/17, “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, prima legge in Europa contro il cyberbullismo, legge dedicata a Carolina, la prima vittima riconosciuta di cyberbullismo in Italia, morta suicida nel 2013 a 14 anni in seguito alla diffusione in rete di alcuni filmati.

In memoria di Carolina il padre Paolo Picchio ha creato la Fondazione Carolina, associazione no profit che da anni svolge un contributo essenziale nella battaglia contro il cyberbullismo con l’obiettivo di sensibilizzare gli adolescenti e la comunità educante e collettiva sui rischi legati all’utilizzo deviato e inconsapevole delle tecnologie.

Per evitare il ripetersi di fatti tragici è perciò importantissimo lottare contro il cyberbullismo sia attraverso procedure preventive e informative, sia avviando strategie atte ad inserire i responsabili in percorsi educativi e disciplinari che li guidino verso la costruzione di una consapevolezza delle loro azioni.

Oltre la Fondazione Carolina, nel territorio italiano sono presenti molteplici associazioni e istituzioni a sostegno delle famiglie, della scuola e delle vittime stesse, come ad esempio Network Indifesa e la campagna informativa #OnlineFaMaleUguale promossa dal Csv di Torino, che ha inoltre ricevuto la Menzione d’onore agli Eurodesk Awards 2021.

Nonostante però le molte iniziative, da un sondaggio del 2020 condotto dall’Osservatorio Indifesa, si è riscontrato che il cyberbullismo è in forte crescita tra i minori, se poi lo si relaziona al periodo di isolamento provocato dal lockdown, è emerso che alla fine del 2020 il 61% degli intervistati ha confessato di essere stata vittima di bullismo o di cyberbullismo.

Ma dalle dichiarazioni dei ragazzi si evince un ulteriore dato preoccupante: gran parte di essi ha manifestato un profondo sentimento di paura nei riguardi dei social e dei dispositivi elettronici, connaturato al timore di subire ritorsioni a sfondo sessuale, cyberstalking o molestie online.

Per evitare che la rete diventi nemica dei giovani, risulta quindi doverosa una presa di responsabilità da parte di tutte le forze civili, e non, chiamate in causa, oltre che un aggiornamento costante sulle trasformazioni dei new media in modo tale da capire e gestire in tempo gli eventuali pericoli e cambiamenti, perché la lotta al cyberbullismo ha bisogno di tutti noi.

SEGNALA/ SITI UTILI

– https://anticyberbullismo.it/segnala/

– https://azzurro.it/cyberbullismo-2/

– https://www.generazioniconnesse.it/site/it/home-page/

– https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/6732688