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Da Facebook
All’età di 79 anni, Rodrigo Duterte si è ritrovato con le manette ai polsi, mentre scendeva da un aereo che lo aveva riportato a casa dopo un breve soggiorno a Hong Kong. Presidente delle Filippine, tra il 2016 e il 2022 era finito nel mirino della Corte Penale Internazionale, con l’accusa di crimini contro l’umanità e violazione dei diritti umani.
Le azioni contestate sono il prodotto delle sue politiche molto dure sul contrasto alla droga, che aveva portato all’uccisione di almeno seimila persone sospettate di spaccio o tossicodipendenza, molte di più secondo le associazioni internazionali per i diritti civili. Vere e proprie esecuzioni perpetrate dai suoi squadroni della morte. Lui stesso si era vantato di aver ucciso personalmente dei sospetti criminali e non mancava di farsi vedere in pubblico imbracciando fucili d’assalto. Il Times lo aveva soprannominato “Il Castigatore”.
L’inchiesta si è occupata dei crimini commessi sia quando era Sindaco di Davao che negli anni in cui sedeva al Palazzo presidenziale di Manila. Per tutelarsi, Duterte ritirò le Filippine dalla Corte Penale Internazionale, con un nulla di fatto in quanto i procuratori de L’Aia sostennero di godere comunque della giurisdizione sui crimini in questione, essendo stati commessi in un periodo precedente.
La svolta è stata possibile in realtà per via della faida familiare che monopolizza le dinamiche del potere filippine.
L’attuale Presidente Marcos, infatti, è figlio del dittatore che, per vent’anni, nella seconda metà dello scorso secolo, aveva dettato il buono e il cattivo tempo nel Paese.
Il rampollo Marcos aveva accettato Sara Duterte, figlia di Rodrigo come sua vicepresidente, con la reciproca promessa di una mutua difesa dalle inchieste che riguardavano le due casate: ovvero l’indagine della Corte penale internazionale su Duterte e le accuse di evasione fiscale milionaria e l’appropriazione di denaro pubblico per i Marcos.
I rapporti si sono deteriorati tuttavia, sin dai primi giorni del nuovo Governo, fra mancate promesse di distribuzione dei Ministeri, riforme costituzionali mal digerite e addirittura la minaccia della secessione della più grande isola del Paese. Fra le accuse e gli attacchi, non sono mancate le minacce di morte.
E così nel 2023 Marcos ha permesso ai delegati della Corte di indagare sull’ex presidente. La Corte non ha una propria forza di polizia e fa affidamento sui singoli Stati firmatari per arrestare le persone sottoposte a mandato di arresto. Migliaia di attivisti hanno tenuto una veglia nella notte di Manila, per sostenere l’arresto del Castigatore, accendendo candele in memoria delle vittime giustiziate dalla sua campagna anti-droga.
In un’altra fetta della popolazione, però, Duterte continua a godere di estrema popolarità, con molti cittadini che appoggiano il suo approccio duro contro la criminalità. Continua a essere una figura politica di rilievo e, di certo, la faida famigliare degna de “Il Trono di Spada” continuerà ad animare il destino di quell’arcipelago nel mezzo dell’Oceano Pacifico, così strategico nelle dinamiche di sicurezza regionali e nelle alleanze internazionali.
Altre personalità di Governo nell’ultimo periodo sono state raggiunte dal mandato di mandato d’arresto da parte della Cpi, su tutti Benjamin Netanyau e Vladimir Putin. Ciononostante, proprio nell’ultimo periodo è emerso ancora di più quanto questi mandati siano facilmente ignorabili, a seconda dei firmatari del Trattato di Roma, a seconda della convenienze. A suo tempo raccontato della visita di Stato dell’autocrate russo in Mongolia, accolto con il tappeto rosso anziché con le manette.
Più recentemente anche l’Italia si è resa protagonista di un episodio simile, con il caso legato al torturatore libico Almasri.