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Ancora fumata nera dall’Italia. Lunedì, come due anni fa, il Ministro Giorgetti spiega ai partner che in Italia non ci sono numeri in Parlamento per fare passare la ratifica. E così non si riesce a fornire una rete di sicurezza finanziaria al cosiddetto backstop
«Il Mes? No!» Scrive Matteo Salvini, con il punto esclamativo. «Anzi…» rincara la dose:«Visto che l’Europa insiste proponiamo di farci liquidare i 15 miliardi che l’Italia spende ogni anno».
L’acronimo che più di tutti infiamma la politica italiana, Meccanismo Europeo di Stabilità, il fondo salva-Stati, è rispuntato lunedì 12 maggio alla riunione dei Ministri delle Finanze europei. L’Italia ratifichi la riforma che ha bloccato a dicembre 2023, unico paese dei 19 dell’Area Euro. La richiesta unanime è arrivata dai partner, dal Commissario europeo per l’economia e la produttività Dombrovskis, dal Presidente dell’Eurogruppo Donohoe e dal N.1 del Mes Pierre Gramegna. Tutti a incalzare Giancarlo Giorgetti, il Ministro dell’Economia italiano seduto al tavolo con loro.
L’Eurogruppo ha avuto il suo focus sull’unione bancaria e proprio il Mes, per il completamento di quest’ultima, rappresenta un tassello fondamentale e ineludibile in quanto destinato a fornire una rete di sicurezza finanziaria al cosiddetto backstop, al fondo di risoluzione unico nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie. Si tratta di risorse pubbliche senza cui tale fondo rischia di essere inefficace e non possono essere messe a disposizione se tutti i Paesi non ratificano la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. Tanto è bastato, però, per riaprire a Roma lo scontro politico sul tema che divide gli schieramenti e i Governi, dai tempi di Mario Monti e anche prima, ma soprattutto dal 2019. Una avvincente serie a puntate, tutta in salsa italiana, che già sul nostro giornale avevamo raccontato in due approfondimenti e di cui oggi, a distanza di due anni, non possiamo certo perderci gli ultimi succosi risvolti.
Una storia travagliata con l’opposizione del fronte euroscettico, Lega, Fratelli d’Italia, Movimento 5 stelle, culminata proprio nel dicembre 2023, sotto l’attuale Governo, con una clamorosa bocciatura del Parlamento. Già in quell’occasione per il Ministro Giorgetti arrivò una vistosa sconfessione, poco dopo che lui stesso aveva assicurato ai partner europei un sì, con il contestuale impegno della premier e del Parlamento italiano a non utilizzare mai i fondi. La maggioranza si spaccò, Forza Italia si astenne. Ancora oggi, al riaccendersi del focolaio del dibattito, Antonio Tajani prende le distanze: «Siamo diversi da Fratelli d’Italia e Lega. Noi perplessi perché vogliamo il controllo democratico del Mes. Non è priorità, ma siamo pronti a votarlo».
Le pressioni non spostano la linea di Giorgia Meloni che a gennaio dello scorso anno definiva il Mes “uno strumento ormai obsoleto che andrebbe trasformato in qualcosa di più efficace”. Oggi, per il suo partito, si espone Marco Osnato, Presidente della Commissione Finanze della Camera: «No alla ratifica il Mes. È uno strumento inadeguato anche per le crisi bancarie». Per Meloni il passaggio di dicembre 2023 e la sospensione che ne derivò furono l’epilogo di un tentativo negoziale, fallito a metà: minacciare il blocco del Mes per ottenere un ammorbidimento del Patto di Stabilità che non ci fu e anche lo scorporo degli eventuali investimenti per la Difesa, oggi invece previsto dal Piano Von der Leyen, ma che adesso l’Italia non vuole utilizzare. Un nodo irrisolto insomma sul quale l’Italia è sola, venuto in momento difficile per la premier, fuori dalla foto di gruppo a Kiev del 9 maggio e in balìa dei cambi di umore di Donald Trump sulle dinamiche di politica estera.
Lunedì, come due anni fa, il Ministro Giorgetti ha utilizzato lo stesso argomento per spiegare ai partner perché l’Italia non approvi la ratifica del Mes: non ci sono numeri in Parlamento per farla passare. Se la riforma del trattato non viene approvata, anche da un solo Stato membro, non può essere applicata da nessuno e i fondi già disposizione non possono essere incrementati dai prestiti concessi. Inoltre, una unione bancaria svantaggiata rispetto ad altre giurisdizioni a causa della mancanza di un backstop comune indebolisce l’attrattiva delle banche europee. Ma, l’irritazione di Bruxelles cresce anche nella prospettiva di un Mes come possibile veicolo di finanziamento per le spese per la Difesa, una ipotesi che aggiunge un bestia nera all’altra: il Mes al riarmo, visto con gli occhi dei sedicenti pacifisti euroscettici.