Iran, il soft power in Medio Oriente

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Iran, il soft power in Medio Oriente

Un’influenza culturale che è costruita attraverso tante strategie, per esempio con le oltre 300 sedi dell’Università islamica Azad, ormai capisaldo per il Medio Oriente. Poi ci sono le Fondazioni.

La situazione critica in Medio Oriente, tra Israele e Palestina, sta rivelando il ruolo di attore attivo dell’Iran all’interno di questo conflitto (e non solo di questo, considerato che anche per la guerra in Ucraina, la Repubblica islamica dell’Iran ha giocato una funzione basilare, avendo fornito droni e sostegno alla Russia).

Oltre però che per questioni belliche e diplomatiche, l’Iran si è avvicinato a Paesi quali Libano, Iraq e Siria, per divulgare la sua cultura e i suoi valori.

Come già visto nell’ articolo sul soft power iraniano in Usa, la Repubblica islamica ambisce ad espandere le proprie ideologie per inserirsi all’interno di dibattiti internazionali; nel caso del Medio Oriente, tuttavia, il soft power che esercita appare di un raggio più ampio, non limitandosi a questioni diplomatiche e/o di politica estera, ma facendo leva sulla propria cultura, divenendo ispirazione e guida per gli altri Paesi mediorientali.

Il soft power iraniano, non a caso, agisce in territori del Medio Oriente di per sé instabili e attraversati da conflitti e guerriglie interne. Ponendosi come modello, già dopo la rivoluzione del 1979, l’obiettivo dell’Iran è aumentare la propria attrattiva e ammirazione, oltre che consolidare maggiormente la propria potenza in Medio Oriente.

Università e lingua persiana alle basi del soft power iraniano in Medio Oriente

1979 è la data in cui si possono rintracciare le prime pratiche di soft power dell’Iran in Medio Oriente; in quell’anno infatti la Repubblica islamica istituì numerosi centri culturali e religiosi in molti paesi limitrofi proprio per espandere la sua influenza e coniugarla alle sue attività di hard power. Il Libano, ad esempio, ha da sempre attratto il regime degli ayatollah. Nel 1987 fu fondato il Centro Culturale della Repubblica Islamica dell’Iran a Beirut con lo scopo di promuovere l’ideologia iraniana tra il popolo libanese. Ma c’è di più: il Middle East Institute (MEI) riporta che il centro culturale di Beirut supervisiona anche una catena di scuole, università e seminari religiosi finanziati dall’Iran, oltre che coordinarsi con i media statali iraniani per promuovere la propaganda di Teheran in Libano.

Non è solo comunque il Libano a subire l’influenza culturale iraniana. L’Università islamica Azad, e le sue numerosissime sedi, ha rappresentato e rappresenta uno dei capisaldi del soft power iraniano per quasi tutto il Medio Oriente. Azad non è un’università come le altre: istituita nel 1982 dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini, da allora dispone di oltre 300 sedi all’interno e all’esterno dell’Iran. Note sono le sedi a Beirut, Nabatiye e Kabul, ma recentemente, nel 2018, sono sorti distaccamenti anche in varie città della Siria e dell’Iraq, e la sua espansione non accenna ad affermarsi.

Azad è uno dei fulcri in cui il pensiero islamico e del regime si radica e si diffonde, al suo interno, non a caso, trova sede lo Student Basij Organization (SBO), un’organizzazione studentesca fondata nel 1988 per volontà di Khomeini per tutelare i principi dell’Islam, gli studenti basij inoltre sono violenti esecutori dell’IRGC, in quanto silenziano con ogni mezzo gli studenti oppositori al regime. È noto che durante le proteste universitarie sfociate nell’autunno del 2022 a seguito della morte di Jina Mahsa, le forze di sicurezza, tra cui anche l’SBO, hanno utilizzato proiettili e aperto il fuoco sugli studenti, non sono mancate poi segnalazioni di rapimenti e torture. E da Maggio è un’organizzazione sanzionata dall’Ue.

Un’altra strategia per promuovere la cultura iraniana in Medio Oriente è senza dubbio l’incentivazione dell’insegnamento del farsi. Per la diplomazia pubblica iraniana la diffusione della lingua persiana preserva gli interessi nazionali e strategici del Paese nella comunità internazionale e, per rendere concreto ciò, il governo iraniano sovvenziona corsi e incentiva lo scambio di studenti e insegnanti. Per questo Teheran finanzia gli studenti stranieri che frequentano corsi di lingua persiana e si laureano con voti alti per recarsi in Iran e poter accedere così a corsi gratuiti (ovviamente questo metodo aveva maggior successo prima della morte della giovane Jina Mahsa Amini e tutto ciò che ne è conseguito). La stessa tattica vale anche, ma all’inverso, per gli insegnanti, che vengono mandati all’estero per divulgare l’insegnamento del farsi e formare i docenti locali.

Ciò è possibile grazie ai numerosi istituti e fondazioni che l’Iran ha promosso dentro e fuori i suoi confini. Tra queste non si può non citare la Fondazione Sa’adi, tra le principali istituzioni iraniane cui missione principale è l’espansione della conoscenza del persiano. In un articolo apparso sul giornale affiliato al regime Irna, il presidente per gli affari internazionali della Fondazione, Shahrouz Falahatpisheh, ha dichiarato che il primo passo per far familiarizzare gli altri Paesi con l’Iran è il farsi, osservando che in Georgia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia, la lingua persiana è la seconda o terza lingua e frequentemente scelta nel piano di studi.

Il soft power iraniano in Libano, e in altri Paesi mediorientali

Dopo aver visto come centri culturali e la lingua farsi siano strumenti usati dalla Repubblica islamica per espandere la propria influenza negli altri Paesi. Analizziamo ora nel dettaglio in che modo viene praticato il soft power iraniano in Libano e in Iraq.

Nella lingua e nelle traduzioni di testi il rapporto tra Iran e Libano si rafforza. Come esaminato in Iran’s soft power in the Middle East via the promotion of the Persian language di Ali Akbar, le istituzioni iraniane presenti in Libano collaborano a stretto contatto con gli Hezbollah, quest’ultimi infatti sono promotori in Libano di eventi e fondazioni culturali con lo scopo di radicare ancor di più il pensiero e la fede islamica. Ad esempio gli Hezbollah svolgono una funzione significativa in quanto traducono in arabo libri scritti originariamente in persiano e inerenti la religione, la guerra tra Iran-Iraq e la cosiddetta “cultura della resistenza”; non mancano poi anche traduzioni dei discorsi e delle idee dello ayatollah Khamenei.

A fronte di questo appare ovvio che la lingua farsi serve per lanciare i valori fondanti dell’Iran degli ayatollah; e il medesimo meccanismo, ovviamente con l’intervento di attori differenti, si può riscontrare in altri Paesi quali l’Iraq e la Siria. Nel caso dell’Iraq è interessante citare l’esperimento della creazione, grazie alla collaborazione tra l’istituto Qalam e la già citata la Fondazione Sa’adi, di una rivista dedicata all’insegnamento persiano in Iraq, chiamata Mina.

Per quanto riguarda la Siria, invece, essendo considerata la porta del Medio Oriente verso il Mediterraneo occidentale viene vista come un paese strategico soprattutto per la possibilità di transito di armi iraniane in direzione degli Hezbollah, un fattore questo che fa mantenere un certo potere all’Iran, un potere che va ben oltre le iniziative culturali. Anche su quest’ultimo aspetto però, esattamente come negli altri Paesi, anche in Siria l’espansione della cultura persiana non accenna ad arrestarsi (compresa l’area Nord di Deir Ez-Zor): nel 2021 il centro culturale iraniano di al-Mayadin, appunto situato a Deir Ez-Zor ha avviato un corso gratuito di lingua persiana per bambini.

Ma attenzione: Ali Akbar nel suo testo ci svela qualcosa in più. Non solo le fondazioni e le associazioni culturali sponsorizzate dalla Repubblica islamica possono nascondere doppie finalità. Citando lo studio di Amin Saikal, Iran Rising: The Survival and Future of the Islamic Republic, Akbar scrive che il Comitato di soccorso dell’Imam Khomeini (IKRC), organizzazione di beneficenza cui scopo è la distribuzione di fondi per il welfare in Siria, in Libano, in Afghanistan, in Azerbaigian e in Tagikistan, in realtà è un’ente usato per espandere l’ideologia di Teheran ed “esaltare” i valori islamici. Ad esempio in Libano l’organizzazione correla le strategie di hard power, finanziando da 40 anni gli Hezbollah, il loro addestramento e i campi giovanili.

Da questo si evince che le fondazioni, di qualunque natura esse siano, possono provvedere a nascondere attività di gruppi estremisti, dell’IRGC e ai suoi agenti segreti della Forza Quds.