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Iran, la protesta delle donne contro l’obbligo del velo

di Silvia Cegalin 

«Concordo con tutti coloro che si vestono con ciò che il sistema proibisce loro di indossare», scriveva la femminista Flo Kennedy. Quanto avvenuto a Luglio per le strade di molte città iraniane potrebbe essere invece racchiuso nella frase: «concordo con tutte coloro che si svestono degli abiti che il sistema obbliga loro di indossare».

Senza velo”: la protesta del 12 Luglio

Il 12 Luglio molte donne iraniane si sono riunite per protestare contro l’obbligatorietà dell’uso dello hijab, con alcune di loro che, pubblicamente, si sono tolte il velo, filmandosi. Un giorno, questo della protesta, che non è stato scelto a caso: il 12 Luglio (21 Tir 1401 nel calendario persiano) infatti si celebra la giornata dell’hijab e della castità. Un giorno dal significato storico istituito con lo scopo di commemorare le vittime della ribellione avvenuta nell’estate del 1935 presso la moschea Goharshad a Mashhad, città a nord-est dell’Iran: la manifestazione allora era scaturita per opporsi alle politiche di occidentalizzazione e al divieto dell’uso del velo islamico ordinate dallo Scià di Persia, Reza Shah Pahlavi.

Durante la dinastia Pahlavi (1925-1979) l’emancipazione femminile, non a caso, fece molti progressi, non tutti però erano d’accordo con queste riforme che guardavano troppo ad Occidente.

Una giornata che quest’anno, grazie a queste manifestazioni, ha assunto però anche un altro significato.

La protesta di Luglio è partita da Twitter attraverso l’hashtag #hijab_without_hijab (حجاب_بی_حجاب#). Il Jerusalem Post, riporta che l’hashtag è stato utilizzato il lunedì precedente alla manifestazione e il martedì in oltre 76.000 tweet in tutto il mondo, mentre il sito iraniano TagMiner lo indica come il secondo tag più popolare nel paese a partire da martedì sera. Un fenomeno che da virtuale si è poi concretizzato nella realtà con le molte donne scese in strada.

Le proteste degli anni precedenti, tra hashtag ed azioni pubbliche

In Iran non sono comunque nuove le proteste contro l’uso del velo. Nel 2017 fu avviata una campagna, durata fino al 2019, denominata “Girls of Elkhebal Street” (o Revolution Street), rappresentata dal gesto simbolico, e pubblico, del legare il velo a un bastone rimanendo in piedi. Vida Movahed è il volto emblema di queste manifestazioni, e proprio per questo gesto fu arrestata, assieme ad un’altra dozzina di persone, per poi essere rilasciata su cauzione nel 2018.

Sempre nel 2017 venne lanciato il White Wednesdays (il mercoledì bianco) in cui le donne iraniane, contrarie all’obbligo del velo, si vestono di bianco in segno di protesta. Un movimento che è diventato molto popolare sui social. La promotrice dell’iniziativa, la giornalista e attivista Masih Alinejad, è inoltre fondatrice anche di un’altra importante campagna di disobbedienza civile: My Stealthy Freedom. Una mobilitazione nata nel 2014, dopo che una foto di Masih senza hijab a Londra aveva suscitato scalpore e invidia tra le sue connazionali, la stessa attivista invitò quindi a fare lo stesso in Iran. Una sfida partita da una semplice pagina Facebook ma diventata simbolo di lotta e coraggio, perché le donne che infrangono le regole islamiche, ovvero si tolgono o si presentano nei luoghi pubblici senza velo, possono essere condannate alla reclusione o al pagamento di una multa.

Interessante è anche il ruolo attivo degli uomini in queste proteste. Qualche anno fa Masih Alinejad ha lanciato l’iniziativa #meninhijab, un invito agli uomini di fotografarsi con addosso un velo o un foulard. Una chiamata che ha riscontrato la partecipazione di parecchi iraniani (mariti, padri, fratelli, zii) in sostegno della battaglia che stanno portando le donne, e che come vuole ricordare spesso l’attivista, non è una campagna contro luso del velo, ma contro lobbligatorietà imposta dalla legge, una donna deve essere infatti lasciata libera di scegliere se indossare lo hijab o meno.

1979: la data che in Iran cambiò tutto

Per comprendere le proteste che in questi anni si sono susseguite è fondamentale conoscere il contesto storico e sociale in cui esse sono avvenute e avvengono. L’obbligatorietà dell’uso dell’ hijab in Iran venne istituito nel 1979 dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini, che trasformò la monarchia del paese in una repubblica islamica sciita, introducendo l’osservanza di rigidi principi, tra cui l’obbligo del velo per le donne. Un decennio, quello di Khomeini, che mise sullo sfondo il ruolo sociale delle donne, donne che, al contrario, durante la dinastia Pahlavi avevano conquistato vari diritti e libertà.

Un ciclo che sembra ripetersi: con la fine dell’era di Khomeini, le presidenze successive di Akbar Hashemi Rafsanjani (1989.-1997) e di Mohammad Khatami (1997-2005) portarono un po’ di respiro alle  iraniane, tuttavia, nessuno dei due abolì la regola del velo introdotta da Khomeini.

Gli ultimi anni, quelli di Rouhani, si sono rivelati altalenanti, ultimamente però, con il nuovo governo, le restrizioni contro le donne sono diventate sempre più rigide. BBC Persian riporta che il sostituto procuratore della città di Mashhad ha ordinato a inizio Luglio che le donne che non indossano lo hijab non possono accedere alla metropolitana o entrare in uffici e banche, un’ordinanza a cui si è opposto il sindaco, ma che ha comunque acconsentito all’ordine.

Una linea simile è stata adottata dalla banca iraniana Mellat che ha ordinato di vietare alle dipendenti di indossare calze e tacchi alti e ai dirigenti maschi di avere donne come assistenti amministrativi.

Quel velo tolto simboleggia, oggi come ieri, un atto di libertà, una necessità di scelta.