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Lavoro, tra “camerieri cercasi” e reddito di cittadinanza

La “felicità lavorativa” sarà tra i temi della prossima campagna elettorale 

di Alessio Torelli 

Quando si parla di lavoro, nonostante i problemi non siano pochi, l’impressione spesso nel nostro Paese è che l’unico argomento sia la disputa, di solito fatta di slogan e non di temi concreti tra due opposte tifoserie: chi sostiene che i giovani siano nullafacenti e non disposti al sacrificio e chi sostiene che i giovani non abbiano possibilità di lavorare in condizioni decenti perché sottopagati. Tra un’affermazione e l’altra di Alessandro Borghese e colleghi del mondo della ristorazione con relative polemiche e accuse, Assoturismo stima che per questa stagione estiva manchino all’appello circa 300.000 camerieri. Acceso anche il dibattito attorno al reddito di cittadinanza, con proposte di modifica e di abolizione totale, sul piede di guerra contro la misura di sostegno soprattutto Fratelli d’Italia e Italia Viva. I contrari in genere affermano che i giovani non accettino più determinati lavori preferendo non lavorare e percepire il reddito di cittadinanza e che spesso il sussidio vada a finire nelle mani di qualche “furbetto”.

Ma cosa dicono i dati sul lavoro?

Dati Istat pubblicati il 13 giugno scorso evidenziano che nel primo trimestre 2022, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, è aumentato dell’1,5% rispetto al trimestre precedente e del 6,7% rispetto al primo trimestre 2021.

L’occupazione è aumentata del 4,1% in un anno (riguardo soprattutto contratti a termine). I disoccupati sono 415.000 in meno (16%) rispetto all’anno precedente e gli inattivi (non occupati e non in cerca di occupazione) tra i 15 e i 64 anni sono diminuiti di 846.000 unità (6,1%).

Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, la nota dell’ANPAL relativa ai dati aprile 2019-settembre 2021 presentata nel dicembre dello scorso anno, fa emergere che 1,8 milioni di percettori del reddito di cittadinanza sono stati indirizzati ai CPI (Centri per l’Impiego), una parte invece è indirizzata ai servizi sociali. A 1,5 milioni ammontano i posti di lavoro attivati per i percettori del reddito di cittadinanza, di cui 1,2 milioni nuovi rapporti di lavoro, circa il 40% (725.000) dei beneficiari ha avuto almeno un rapporto di lavoro durante il periodo della misura di sostegno, mentre il 30% circa ( 547.000) ha avuto un nuovo rapporto di lavoro successivo alla percezione della misura.

Per quanto riguarda al numero totale dei beneficiari di rdc, secondo l’INPS, i dati relativi ai primi tre mesi del 2022 riferiscono di 1.473.045 nuclei percettori di almeno una mensilità di RdC/PdC, con 3.267.007 persone coinvolte e un importo medio erogato a livello nazionale di 559,09 euro.

Come stanno i lavoratori italiani?

Questi sono solo alcuni dati relativi all’occupazione e all’efficacia delle misure di sostegno messe in campo negli scorsi anni, nel frattempo stanno però emergendo in maniera sempre più prepotente grandi insofferenze da parte di chi è già occupato nei confronti della propria condizione di lavoro. L’indagine svolta nella prima metà di giugno dalla Fondazione dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro e Swg evidenzia come il 55% desideri cambiare occupazione.

Complice il periodo pandemico, paradossalmente abbiamo assistito, insieme al peggioramento della situazione economica e lavorativa e quindi alla difficoltà nel trovare un impiego, all’aumento delle dimissioni volontarie. Il fenomeno è molto ampio negli Stati Uniti ma si assiste al fenomeno anche nel nostro paese.

La nota relativa ai rapporti di lavoro del secondo trimestre del 2021 pubblicata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali evidenzia un aumento importante di dimissioni volontarie, parliamo di quasi 500.000 rapporti di lavoro cessati tra aprile e giugno (37% in più rispetto al trimestre precedente e 85% in più rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente).

Il Global Workplace Report dell’agenzia americana Gallup mostra uno scenario non sicuramente roseo a livello di felicità e soddisfazione dei lavoratori italiani. Come riportato anche dal ilfattoquotidiano.it e dall’huffingtonpost.it, in Europa solo il 14% dei lavoratori si dichiara coinvolto nel lavoro e in Italia addirittura solo il 4%, i molto stressati sono il 49% rispetto ad una media europea del 37% e il 27% prova tristezza sul posto di lavoro.

A questi dati vanno aggiunte le pesanti notizie che arrivano dal XXI Rapporto annuale presentato dall’Inps che mette in evidenza come nel 2021 il 23% dei lavoratori italiani abbiano guadagnato meno di 780 euro al mese e che la retribuzione annuale media lorda pro capite risulti di 29.440 euro rispetto alla media dei Paesi dell’Eurozona di circa 37.380 euro.

La somma di questi dati ci presenta uno scenario non roseo.

Creazione di maggiori posti di lavoro, salari bassi e generale insoddisfazione sono nodi da dover affrontare al più presto. Le istanze di maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita privata, la riappropriazione del tempo libero passando per una maggiore estensione dello smart working figurano tra le richieste. Gli esempi di cambio di passo in questo senso ci arrivano per esempio da svariati Paesi che stanno sperimentando la settimana lavorativa di quattro giorni.

Mentre viviamo una situazione di estrema incertezza politica ed economica internazionale, l’Italia si avvia ad una infuocata campagna elettorale che ci porterà alle elezioni anticipate del 25 settembre.

Staremo a vedere se e in quale misura il tema lavoro e “felicità lavorativa” sarà preponderante all’interno dei programmi elettorali che ci prepariamo a vagliare.