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Le macerie del Silos sono quelle dell’agricoltura pugliese?

Si abbattono simboli e si mortifica la produzione di cereali

di Antonella Testini

Macerie. Questo ciò che resta dell’antico Silos Granaio. Inaugurato nel 1937 dal Principe Umberto di Savoia e considerato il più capiente silos d’Europa, capace di conservare fino a 450 mila quintali di cereali. Unica struttura perfettamente conservata nel Mezzogiorno d’Italia, dotata di un modernissimo impianto meccanico fornito dalle note OMI-Officine Meccaniche Italiane di Reggio Emilia, sino al mese scorso ancora ben visibili e perfettamente conservate.

Un immobile di grande pregio culturale con macchinari antichissimi che avrebbero meritato di essere recuperati e conservati  e che, purtroppo, sono recentemente caduti sotto i colpi dell’interesse privato.

In tanti negli anni passati hanno chiesto l’apposizione di un vincolo di tutela del Silos ma da Palazzo di città non è mai arrivato nessun cenno. Atteggiamento confermato anche nelle passate settimane quando si è scelto di restare inermi invece di chiedere il sequestro del cantiere, inizialmente autorizzato solo perché il progetto prevedeva la “ristrutturazione e valorizzazione” della struttura. Non di certo l’abbattimento.

E invece dopo il “crollo indotto” come è stato definito a chiare lettere da una relazione dei vigili del fuoco, in tanti sono rimasti in silenzio, compresa la Soprintendenza rea di non aver mai risposto alle tante richieste di vincolo avanzate da più parti.

Decorsi i termini della sospensione dei lavori da parte dell’ufficio Tecnico comunale (era il 17 maggio) e in forza di una variante con Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) presentata dalla società titolare, nell’area dell’antico silos sono tornate ruspe e operai per liberare la zona dalle macerie  e costruire in santa pace la nuovissima struttura che ospiterà 16 appartamenti e sei ville urbane dotate di tutti i confort. E pazienza se a pagare un prezzo saranno le nuove generazioni private di un pezzo importante della storia recente.

L’antico Silos Granaio, infatti, era considerato una delle testimonianze meglio conservate dell’antica Battaglia del Grano, voluta dal regime fascista per perseguire l’autosufficienza produttiva di frumento dell’Italia. Una campagna che contribuì all’aumento della produzione nazionale di grano e alla conseguente diminuzione del disavanzo della bilancia commerciale, seppure a discapito dell’armonico sviluppo dell’agricoltura nazionale.

Un esperimento certamente non replicabile oggi, se si considera che tra i tanti danni della politica economica fascista vanno annoverati anche quelli inferti alla salute della popolazione, indotta a preferire pane e pasta, a cibi più nutrienti quali carne, latte, pesce. L’obiettivo evidente era fornire calorie al più basso costo possibile per i cittadini.

Eppure di quella battaglia avremmo dovuto conservare l’orgoglio. La dignità di essere “produttori” di cereali ancor prima che consumatori. Un battaglia che, a parti inverse, i contadini italiani, e pugliesi in modo particolare, sono tornati a combattere contro le multinazionali.

Se da una parte l’Emilia Romagna può vantare un aumento della produzione nella campagna 2021 con un incremento medio del 20% circa e una crescita importante anche del prezzo, in Puglia c’è poco da festeggiare. Secondo Confagricoltura i raccolti saranno inferiori fino al 30% rispetto all’anno scorso, mentre Coldiretti Puglia stima un -45%. In tutta evidenza si materializza il danno delle gelate di aprile e della siccità da maggio in poi. Dati che peggiorano i già non facili numeri del 2020 quando le province pugliesi arrivarono a produrre 9,5 milioni di quintali del prezioso cereale, il 35% della produzione nazionale dello scorso anno, impiegando una superficie pari a 344.300 ettari.

“Negli ultimi anni, la redditività del grano duro pugliese non è stata all’altezza dei sacrifici, dei rischi assunti dai produttori e della qualità espressa dal prodotto” denuncia Felice Ardito, presidente di CIA Levante.

Danni derivanti dai cambiamenti climatici, danni provocati dal proliferare di animali selvatici, soprattutto cinghiali.  Ma a preoccupare gli agricoltori pugliesi è soprattutto la concorrenza dall’estero se si considera che le quantità di grano importata è aumentata di sette volte in pochissimi anni.

“Il mercato è libero e globalizzato, occorre tuttavia tutelare il futuro di una filiera strategica che troppo spesso è penalizzata dalle massicce importazioni dall’estero, con grano duro straniero che, per una serie di ragioni molto concrete, presenta diverse incognite dal punto di vista della qualità e della salubrità. Per limitare la tentazione di manovre speculative”, ha spiegato Raffaele Carrabba, presidente di CIA Agricoltori Italiani della Puglia, “bisognerebbe valutare bene la possibilità di sospendere temporaneamente le importazioni in determinati periodi dell’anno”.

Recentemente Coldiretti Puglia è tornata in piazza per chiedere maggiori tutele al comparto agricolo. Presenti all’ultima manifestazione regionale molti Comuni tra cui anche quello di Gravina. E pazienza se con una mano si rivendica la dignità degli agricoltori locali e con l’altra si consente l’abbattimento dell’ultimo baluardo dell’antica “Grana dat et vina”. Gravina la città del pane e del vino.