Lo strano caso del giocatore tesserato per infinite squadre
9 Giugno 2021
Farmaco contro l’Alzheimer arriva da Tricase, il primo dopo vent’anni
11 Giugno 2021
Lo strano caso del giocatore tesserato per infinite squadre
9 Giugno 2021
Farmaco contro l’Alzheimer arriva da Tricase, il primo dopo vent’anni
11 Giugno 2021

La battaglia per il granaio: il Silos più grande d’Europa a Gravina

A tutela della struttura inaugurata nel 1937 dal Principe Umberto di Savoia anche l’associazione per l’archeologia industriale

di Antonella Testini

“Lavori non conformi al progetto”. Poche parole, a firma del soprintendente Maria Piccarreta, per confermare quanto già chiesto dall’ufficio tecnico comunale e sentenziare lo stop ai lavori di “svuotamento, restauro e riutilizzo” dell’antico Silos Granaio di Gravina in Puglia.

L’immobile realizzato nel 1930 per conservare e trasformare i raccolti di cereali di cui la Puglia e, in modo particolare, Gravina e il suo circondario erano (e in parte sono ancora) grandi produttori, da diversi mesi è al centro del dibattito cittadino. Tutto ciò dopo l’acquisizione dell’immobile da parte di una società napoletana che vorrebbe rendere “residenziale” una zona destinata, dal Piano regolatore comunale, a “servizi” e vincolata da un lungo elenco di norme tra cui il recente Piano Paesaggistico regionale.

L’intenzione è quella di conservare il prospetto dell’antico granaio e di procedere allo svuotamento e al recupero dei 18mila metri cubi di immobile per realizzare trentadue appartamenti, locali commerciali, parcheggi interrati e un super attico con tanto di vista panoramica. Un intervento – secondo quanto sostenuto dai proponenti – “in linea con gli obiettivi contenuti nelle linee guida per il Patto città-campagna, in quanto promuove la qualità dell’ambiente urbano periferico contenendo il perimetro urbano da nuove espansioni edilizie e contrasta il consumo di suolo essendo un progetto di rigenerazione urbana rispettoso delle norme sull’abitare sostenibile”.

Stando a quanto riportato nella relazione tecnica “l’intervento ipotizzato prevede un progetto di restauro, di ristrutturazione edilizia e di rifunzionalizzazione senza consumare nuovo suolo. La struttura intelaiata in cemento armato che definisce e scandisce ritmicamente i prospetti principali del manufatto in disuso, sarà conservata, così come sarà conservata e recuperata l’intera scatola muraria che definisce il perimetro delle facciate”.

Inoltre, sempre secondo le buone intenzioni del progetto, saranno conservati tutti gli elementi decorativi esistenti e ogni altro elemento della facciata che assume valore storico e ambientale e parte integrante dell’immobile.

Dopo oltre un anno dall’avvio del procedimento autorizzativo, lo scorso aprile sono arrivate le ruspe e invece di procedere con lo “svuotamento” dell’immobile hanno prima abbattuto la pensilina del prospetto frontale e poi aperto due enormi squarci sul retro. Tagli, appunto, “non conformi al progetto” tanto da provocare il parziale crollo dell’edificio.

Sulla vicenda è intervenuta anche l’Associazione nazionale per l’archeologia industriale con una missiva indirizzata alla Regione Puglia e al primo cittadino di Gravina per chiedere la tutela del Granaio “edificio macchina nel quale è impossibile separare le componenti strutturali dai percorsi meccanici del grano”, precisando che “non si può in alcun modo procedere a demolizioni interne che sarebbero, tra l’altro, in evidente contrasto con il provvedimento autorizzativo concesso”.

In poche parole : il progetto autorizzato dal Comune non è realizzabile.

“Lo svuotamento dell’edificio – si legge nella missiva dell’Aipai, già firmataria nel 2019 di una nota a favore della tutela del Silos – comporta la inevitabile perdita delle macchine nella loro collocazione originale e la privazione del circuito industriale delle componenti fondamentali dei silos, così come la demolizione di gran parte delle strutture in cemento armato”.

E come se non bastasse “lo svuotamento delle importanti strutture in cemento armato dei silos, solidali alla intelaiatura delle facciate, può rendere estremamente difficoltoso e oneroso, se non impossibile, conservare le rimanenti strutture dell’edificio (come le strutture delle facciate e dei piani superiori), comportando il rischio che, in corso d’opera, si pervenga ad una richiesta di demolizione del bene nella sua totalità”.

L’appello dell’Aipai, oltre che di alcuni esponenti politici locali, è rimasto sostanzialmente inascoltato anche quando l’immobile, privato in parte delle strutture interne, è collassato provocando l’intervento dei vigili del fuoco per la messa in sicurezza e la sospensione dei lavori.

Recentemente l’ Aipai è tornata a prendere carta e penna per richiedere alle Istituzioni preposte la conservazione del Silos ribadendo che si tratta di “un esempio di paesaggio antropizzato di eccezionale interesse sotto il profilo paesistico-ambientale. La perdita di un elemento che oramai è parte del paesaggio di Gravina in Puglia e la sua sostituzione con un intervento moderno sarebbe solo un vago richiamo a quanto era presente un tempo e si configurerebbe come un falso storico”.

Un falso che vorrebbe sostituire il «Grande Silos Granario», inaugurato il 4 gennaio 1937 dal Principe Umberto di Savoia e considerato il più capiente silos d’Europa per l’ammasso del grano capace di conservare fino a 450 mila quintali; memoria della Battaglia del grano lanciata nel 1925 in periodo autarchico, il Silos oggi rappresenta una pregevole testimonianza dello sviluppo sociale, economico e industriale non solo della città, ma dell’intera regione.

La struttura è dotata di un modernissimo impianto meccanico fornito dalle note OMI-Officine Meccaniche Italiane di Reggio Emilia tra cui il gruppo distributore circolare per il riempimento delle celle, i nastri distributori e altre macchine che meriterebbero di essere recuperate e conservate. Macchine ancora ben visibili prima dell’avvio dei lavori di svuotamento

L’appello dell’associazione nazionale per l’archeologia industriale è caduto nel vuoto, mentre alcuni autorevoli esponenti del mondo politico locale si sono trincerati dietro la tutela del “legittimo interesse privato”, trascurando che la perdita di un pezzo così importante per la comunità provocherebbe un enorme danno all’interesse collettivo.

La parola ora passa a tecnici e giudici.