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21 Giugno 2025Pippo Fava, a cent’anni della nascita

Chi era Giuseppe Fava: ecco il ritratto tratteggiato da Mattia Lasio, a cent’anni dalla nascita del giornalista siciliano, ucciso dalla mafia.
Il coraggio di dire la verità, sempre e comunque. Il coraggio di esporsi e di prendere posizione davanti a chi si muove nell’ombra e trama con il favore delle tenebre. Giuseppe Fava detto ‘’Pippo’’ è stato questo e molto altro e a cento anni dalla sua nascita, ricorrenza che si celebra il 15 settembre 1925, il suo messaggio di giustizia e di impegno morale e civile tramite la scrittura è di estrema attualità, rappresentando un punto di riferimento prezioso a cui rivolgere lo sguardo.
L’omicidio di Pippo Fava
Fava fu ucciso verso le 21.30 del 5 gennaio del 1984 dai mafiosi Aldo Ercolano e Maurizio Avola, al servizio di uno dei boss più feroci di Cosa Nostra ovvero il catanese Nitto Santapaola – tra i principali mandanti anche della strage della circonvallazione a Palermo in via Ugo La Malfa il 16 giugno 1982 in cui venne ucciso il rivale Alfio Ferlito. Gli spararono sulla nuca cinque proiettili calibro 7,65, mentre era in procinto di scendere dalla macchina per andare a prendere la nipote impegnata nella recitazione della commedia di Luigi Pirandello ‘’Pensaci, Giacomino!’’, al Teatro Verga in via dello Stadio a Catania.
Un delitto feroce, cruento e meschino, a distanza di meno di un anno dalla strage di via Pipitone a Palermo in cui perse la vita l’ideatore del pool antimafia Rocco Chinnici, suo coetaneo, per cui ci vollero quasi vent’anni prima che saltasse fuori la verità. C’era chi, infatti, come l’allora sindaco di Catania ovvero il democristiano Angelo Munzone cercava di negare l’evidenza, sostenendo che la mafia a Catania non esistesse, preferendo credere che dietro la morte di Fava ci fossero motivi passionali o legati alle difficoltà economiche della sua rivista mensile ‘’I Siciliani’’. Chiaramente si sbagliava perché era palese, come rimarcato anche da Carlo Alberto Dalla Chiesa intervistato su ‘’Repubblica’’ da Giorgio Bocca il 10 agosto del 1982, che la mafia fosse forte anche a Catania e che proprio da Catania andasse alla conquista di Palermo.
Pippo Fava questo lo sapeva, così come lo sapevano i suoi ‘’carusi’’ ovvero quei giovani cronisti che con lui lavoravano e combattevano in prima linea la mafia, e non aveva certo timore di dirlo pubblicamente, sia nei suoi articoli, che nei propri libri e nelle proprie opere teatrali così come negli incontri con gli studenti che metteva in guardia su cosa fosse davvero Cosa Nostra.
Che cos’era il giornalismo per Pippo Fava
Cosa spingeva Fava a fare ciò? La spiegazione la offre lui stesso in uno dei suoi articoli più significativi ovvero ‘’Lo spirito di un giornale’’, pubblicato l’11 ottobre del 1981 sul ‘’Giornale del Sud’’ di cui era alla guida, in cui disse: «Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni». Parole che descrivono appieno cosa per Fava, che dopo quell’articolo venne licenziato dal Giornale del Sud, rappresentasse essere un cronista.
Nato a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, conseguì la laurea in Giurisprudenza e collaborò con varie testate di prestigio come la ”Domenica del Corriere’’, ‘’Tuttosport’’, ‘’Espresso sera’’ e altre ancora, occupandosi di tutti gli argomenti, dalla cultura e gli spettacoli – Fava fu grande amante del teatro ambito a cui si dedicò con dedizione e grande passione – passando per lo sport, la politica, la cronaca e chiaramente la mafia.
Fu uno dei primi cronisti a studiare il fenomeno mafioso nei minimi dettagli, andando oltre i luoghi comuni e le frasi fatte, riuscendo a inquadrare perfettamente cosa fosse realmente la mafia. Fava apparteneva a quella schiera di cronisti come Cosimo Cristina, Mauro De Mauro e Mario Francese che con il giornalismo volevano e sapevano davvero colpire coloro che avevano le proprie mani in una amalgama sporca fatta di bugie, raccomandazioni, verità celate che da sempre hanno tenuto legati i cosiddetti colletti bianchi al mondo mafioso.
Pippo Fava scrittore
Prolifica fu anche la sua attività di scrittore e proprio da alcuni suoi libri vennero tratti film destinati a lasciare il segno nella storia del cinema italiano: su tutti, nel 1975, spicca ‘’Gente di Rispetto’’, diretto da Luigi Zampa con Franco Nero, James Mason e Jennifer O’Neill mentre nel 1980 è la volta di ‘’Palermo or Wolfsburg’’, diretto di Werner Schroeter, il qualer vinse l’Orso d’Oro, tratto dal suo libro ‘’Passione di Michele’’. Come scrisse uno dei suoi principali allievi Riccardo Orioles, Fava fu prima di tutto un uomo: non solamente un intellettuale sopraffino e preparatissimo ma un uomo dotato di quella tempra morale che gli ha consentito di non arretrare mai e di non cedere mai alle false lusinghe di chi voleva metterlo a tacere.
L’ultima intervista a Pippo Fava fu quella di Enzo Biagi
Intervistato da Enzo Biagi, il 28 dicembre del 1983 durante la trasmissione ‘’Film Story’’, quando gli venne chiesto come fosse possibile sconfiggere la mafia ripose con risolutezza: «Tutto parte da un’assenza dello Stato e dal fallimento della società politica italiana. Bisogna ricominciare da qui. Forse è necessario creare una seconda repubblica in Italia, che abbia delle leggi e una struttura di democrazia che eliminino il pericolo che il politico possa diventare succube di se stesso e della propria avidità, della ferocia degli altri o della paura». Sempre durante quella intervista, l’ultima rilasciata da Fava che una settimana dopo venne ammazzato, si soffermò anche su altri argomenti: parlò del sindacalista Placido Rizzotto definito ‘’pazzo’’ nel senso più nobile del termine nonché un eroe dimenticato, attaccò il famigerato boss corleonese Luciano Liggio appellandolo come ‘’il Napoleone della mafia’’, si soffermò su vecchi mafiosi come Genco Russo, confrontò la mafia italiana con quella americana, parlò del mercato della droga, del dramma della tossicodipendenza, del traffico delle armi, rimarcando che è nelle banche che la magistratura doveva indagare perché è da lì che i soldi uscivano per confluire nel settore dell’edilizia. Non solo: sottolineò che se si voleva davvero sconfiggere la mafia bisognava partire prima dalla consapevolezza amara del fallimento della politica e degli uomini politici, per poi dire senza mezzi termini che ai funerali di Stato spesso gli assassini stavano proprio sul palco delle autorità, facendo buon viso e cattivo gioco. Sono frasi forti, al giorno d’oggi quasi utopiche visto il periodo storico nel quale viviamo dove battersi per la verità sembra una chimera, che rimangono impresse e colpiscono per la loro efficacia.
I figli Elena e Claudio Fava lo hanno definito un esempio di passione e generosità, elementi questi che traspaiono appieno dai suoi articoli pubblicati su ‘’I Siciliani’’, mensile antimafia che Fava fondò dopo essere stato licenziato dal ‘’Giornale del Sud’’. Un giornale che voleva essere, come puntualizzato da Fava nel pezzo ‘’I Siciliani perché?’’, il documento critico di una realtà meridionale che profondamente, nel bene e nel male, appartiene a tutti gli italiani. Sarà proprio su ‘’I Siciliani’’, nel gennaio del 1983, che pubblicherà una delle sue inchieste più significative intitolata ‘’I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa’’, in cui metterà l’accento sulle attività illecite degli imprenditori catanesi Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro, facendo presente i loro legami con il boss Nitto Santapaola e definendoli senza mezzi termini come «rapaci, temerari, prepotenti, aggressivi, qualcuno anche grossolano o ignorante». La scrittura di Fava era colta e al contempo diretta e priva di orpelli, dotata di un’ironia sferzante e decisa ma che non sfociava mai nell’aggressività o nell’attacco gratuito. Una scrittura che, come traspare da ogni suo articolo, era frutto di quella genuinità di chi credeva davvero a ciò che stava affermando e per cui era pronto a battersi tenacemente. E proprio a battersi con tenacia invitava i suoi conterranei per i quali scriveva nel maggio del 1983 in un articolo intitolato ‘’Industria il fallito sogno siciliano’’: «i siciliani, se vogliono essere veramente protagonisti dentro la storia, debbono conquistare da soli la speranza di una dignità sociale europea. Senza scappare, senza tradire, senza corruzioni o sottomissioni, a testa alta, orgogliosamente».
‘’I Siciliani’’
A testa alta, e orgogliosamente, Pippo Fava viveva la sua professione di giornalista come rimarcato in uno dei suoi articoli più significativi e accorati dal titolo ‘’A ciascuno il suo’’, risalente al 1983, in cui prendendo le difese del suo giornale ‘’I Siciliani’’ scrive: «Questo giornale fa paura ai corrotti, ai masnadieri, birbanti, dilapidatori, poiché temono che, da un mese all’altro, su queste pagine, compaia il racconto della loro ribalderia». Poche righe dopo rimarca con fermezza: «Per tutti coloro i quali credono di poter ammansire o sopraffare I Siciliani. Non ce la faranno mai. Ben vengano avanti. Chiunque voglia esserci nemico, pubblico o privato, che venga avanti!». Fava ha sempre affrontato a viso aperto la mafia, senza girare attorno alla questione e usando parole che in pochissimi altri hanno avuto il coraggio di pronunciare come quando, il 20 dicembre del 1983 durante un incontro a Palazzolo Acreide intitolato ‘’Violenza e mafia, i giovani e la scuole contro’’, disse: «La mafia è una bestia immane, una piovra oscura. È una tragedia che sconvolge l’umanità e che influisce profondamente sullo sviluppo della società. Gestisce tanto denaro da poter creare un esercito dieci volte più potente di quello italiano. Il mafioso è la cosa più laida e disonesta che esista sulla faccia della terra». Sono parole che tutti, dai più giovani agli adulti, devono fare proprie e tenere bene a mente: perché solo così sarà possibile non cedere alla tentazioni e agli inganni di un morbo quale la mafia è da sempre, che prolifera sin dalla nascita dello Stato italiano e che, soprattutto in un momento come questo dove sembra essere innocua, è pronta in realtà a colpire. Pippo Fava questo lo sapeva e non si è mai stancato di ripeterlo e di lottare affinché la verità potesse emergere. Perché, proprio come affermava lui stesso nel luglio del 1983 nell’articolo ‘’Mistero gaudioso dei democristiani’’, nascondere la verità significa interesse a celare un crimine, e significa perciò essere complici di quel crimine. L’Italia e gli italiani non devono permettere questo: lo devono a se stessi e a uomini come Pippo Fava che per la verità hanno sacrificato tutto, persino la propria vita senza mai chinare la testa e mostrarsi indifferente davanti alle ingiustizie.