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Rider e piattaforme digitali, cosa cambia

di Salvatore Baldari

Avete presente le persone che scorrazzano in bicicletta fra le strade, le piazze e i vicoletti delle nostre città per consegnare la pizza, l’hamburger o la spesa?

È una platea di oltre 4 milioni di persone in Europa che operano per conto di colossi digitali come Deliveroo, Glovo, ma ci comprendiamo anche gli autisti di Uber e impieghi assimilabili a questi.

In Italia sono quantificabili in un milione e mezzo di lavoratori, equivalenti al 3.2% della popolazione attiva, un numero raddoppiato da inizio pandemia.

Di questi, circa la metà lavora da 1 a 4 ore a settimana.

Gig Economy, che cos’è 

E, se fino a qualche anno fa, queste erano attività che impegnavano soprattutto giovani, magari studenti che vi dedicavano il fine settimana per arrotondare la paghetta, recentemente questo della cosiddetta Gig Economy sta diventando un fenomeno che riguarda classi d’età decisamente più mature e, molto spesso, con le caratteristiche dell’impiego principale. E, pertanto, accanto un’ampia porzione, fra questi, che sceglie di avere un lavoro saltuario, ce n’è una altrettanto corposa che invece patisce tale impostazione. E ad entrambe le parti vanno date le giuste risposte.

Il termine “Gig” che forma appunto la locuzione Gig Economy sopracitata, deriva dai lavoretti che, negli anni del Dopoguerra, i jazzisti statunitensi raccattavano per riuscire a suonare nei locali.

Novità piattaforme digitali, il lavoratore è dipendente fino a prova contraria

Per gran parte dei lavoratori della Gig Economy dei giorni nostri, all’orizzonte potrebbe esserci una svolta.

Con l’approvazione, avvenuta la scorsa settimana, del nuovo pacchetto della Commissione Europea, quello per le piattaforme digitali potrà essere considerato lavoro dipendente a tutti gli effetti. Una doccia fredda per i giganti del web che si sono sempre avvalsi dei cosiddetti “riders” come prestatori d’opera indipendenti, spesso con retribuzioni misere e senza alcun tipo di tutela.

Secondo la nuova Direttiva Europea, se un rider soddisfa determinati requisiti, non potrà essere ritenuto un autonomo. Fra questi, innanzitutto, se non è lui a correre il rischio di impresa, ossia non espone le proprie risorse al fallimento. O ancora, se non è lui a decidere il prezzo del prodotto.

Se dovessero verificarsi questi casi, la piattaforma dovrà assumerlo.

Da specificare, che la Direttiva opera una presunzione di subordinazione non solo per i riders ma per tutti i prestatori d’opera impegnati nel sistema della piattaforme e propone un apparato di protezione sociale per tutti loro, indipendente dalla qualificazione giuridica del lavoro svolto.

A questi aspetti, si introduce l’inversione dell’onere della prova, ovvero sarà il datore di lavoro a dover dimostrare in tribunale che si tratta di lavoro autonomo. E non il contrario. 

Cambia anche il rating/algoritmo per valutare il lavoratore

Ma non finisce qua, il nuovo pacchetto riguarda anche il sistema di rating dei lavoratori, ossia l’algoritmo che mette insieme le valutazioni degli utenti, i tempi e la quantità di consegne, senza alcun rapporto diretto tra dipendente e datore. Un’attività che per la Commissione europea dovrà diventare più trasparente. Nello specifico, dovranno essere resi pubblici con una comunicazione formale.

Il percorso di questa Direttiva è ancora alle primissime fasi. Adesso dovrà attendere il via libera del Parlamento europeo e del Consiglio, prima di diventare vincolante per gli Stati membri.

Tuttavia, indipendentemente dall’entrata in vigore di queste indicazioni e dai passaggi nelle varie istituzioni, questa impostazione della Commissione riaprirà una discussione, in tutti i Paesi, anche con le piattaforme. Ricordiamo che ad oggi JustEat è l’unica multinazionale che è passata al lavoro dipendente in tutta Europa.

In Italia, ad esempio, la nostra legislazione già dal 2015 cerca di andare nella direzione indicata da Bruxelles, con l’introduzione della presunzione di subordinazione non solo in caso di impiego etero-diretto, ma anche se etero-organizzato da parte di una piattaforma. Il punto debole della nostra normativa riguarda la necessità del riconoscimento della subordinazione in Tribunale. Un aspetto innovativo che la nostra legislazione non prevedeva, inoltre, è la trasparenza degli algoritmi nel controllo dei lavoratori, il cosiddetto rating.

Secondo alcune stime il nuovo impianto normativo potrebbe costare al settore sino a 4.5 miliardi di euro in più all’anno.

Senza dubbio, i giganti del web sono già pronti a trasformare la doccia fredda in una doccia tiepida, con un inevitabile riadattamento del settore che, in parte, sarà scaricato sui profitti e, in parte, sui costi dei servizi e, quindi, su tutti noi consumatori.

Un obolo che siamo pronti a pagare, purché avvenga un miglioramento della qualità del lavoro.

Del resto, quello che va ammorbidito il più possibile è che ci sia una parte della popolazione che goda al massimo di tutti i benefici derivanti dalla transizione tecnologica e un’altra parte della popolazione che la subisca.