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Venezuela e America: USA alle porte di Caracas, prove di Guerra Fredda

Le acque dei Caraibi tornano a essere palcoscenico geopolitico.

Da mesi la Casa Bianca ha avviato una nuova fase, durissima,della lotta contro quello che definisce il narcoterrorismo che affligge gli Stati Uniti. Nel mirino di Donald Trump c’è il Venezuela con il suo presidente Nicolàs Maduro e mentre i toni si alzano riecheggia nell’area caraibica uno scenario che sembra uscire dagli anni Sessanta, con i suoi delicati equilibri geopolitici da guerra fredda.

Navi e Marines dispiegati

L’amministrazione Trump lanciato una severa campagna che vede il dispiegamento di navi, portaerei e marines nella regione dando avvio a una serie pattugliamenti navali, attacchi militari contro imbarcazioni sospette di narcotraffico e operazioni di intelligence autorizzate anche all’interno del paese sudamericano.

L’ultimo episodio offensivo verso una imbarcazione venezuelana, nel quale sono stati uccisi tre presunti trafficanti, è stato confermato appena tre giorni fa dal Segretario della Guerra – questo il nuovo nome del Ministero della Difesa voluto dal Tycoon.

Ma non è un caso del tutto nuovo. Il “Presidente pacifista” – che non perde occasione per mostrare le guerre a cui ha posto fine – nel 2020, durante il suo primo mandato, aveva già messo una taglia da 15 milioni di dollari proprio sulla testa di Maduro, accusandolo di essere la guida del “Cartel de Los Soles”, uno dei principali cartelli della droga venezuelani. Quella denuncia viene oggi ripresa: un filo narrativo che ha l’obiettivo di delegittimare il presidente venezuelano, ponendolo al di fuori della legalità e giustificando, quindi, le azioni militari al largo delle coste di Caracas di queste ultime settimane.

L’arrivo di una delle portaerei più grandi al mondo, la USS George Washington, e le esercitazioni dei Marines degli scorsi giorni a Porto Rico hanno riaperto un immaginario che l’America Latina conosce bene. Questo ha comprensibilmente allarmato il governo venezuelano che denuncia “una provocazione ostile che minaccia la sovranità nazionale e che teme si tratti del preludio a un cambio di regine più in linea con Washington. Timore alimentato dallo stesso Presidente statunitense che recentemente ha dichiarato “Maduro ha i giorni contati”, presentando l’epilogo della transizione democratica come già scritto.

Il Venezuela è la nuova Cuba? La partita Trump – Putin

È in questo contesto che il Venezuela rischia di diventare la nuova Cuba del XXI secolo: un potenziale avamposto antiamericano la cui grande vicinanza alla Florida rende la sua posizione strategicamente più che rilevante in un’epoca in cui la competizione tra grandi potenze torna al centro delle relazioni internazionali e della geopolitica globale.

Non a caso Maduro cerca l’appoggio di Pechino, Teheran e Mosca. E proprio il legame con la Russia potrebbe giocare un ruolo centrale nella partita che si sta giocando e non solo in questa. Maduro spera che la Russia si erga a suo scudo politico, come fece in Siria con Assad. Ma, sebbene il Cremlino abbia denunciato le operazioni statunitensi e dimostri appoggio a Caracas, quest’ultima non rappresenta per Mosca una causa esistenziale.

L’appoggio russo è certamente reale ma calcolato: difficilmente Putin rischierà un coinvolgimento diretto contro Washington nel “cortile americano”. Piuttosto, e qui si apre un’altra delicata pagina della storia, il Venezuela potrebbe diventare una forte leva negoziale per il presidente russo il cui obiettivo primario è invece chiudere la partita in Ucraina alle proprie condizioni.

Così, due crisi distanti 9629 chilometri e apparentemente appartenenti a due mondi geopolitici distinti, si intrecciano divenendo due carte di una partita che si gioca allo stesso tavolo: quello della diplomazia tra grandi potenze. Trump potrebbe offrire alla Russia una favorevole via d’uscita in Ucraina al prezzo del non impegno russo nella questione caraibica.

L’UE osserva

L’Europa, ancora una volta, osserva. Finora l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, ha richiamato al rispetto del diritto internazionale violato da alcune delle recenti azioni militari USA, rifiutando scenari che evochino cambi di regime. Quello che ci si chiede, però, è se Bruxelles – e in generale l’alleanza occidentale – seguirebbe Washington qualora la situazione dovesse precipitare. 

Il narcotraffico negli USA

La narrativa dell’amministrazione Trump ruota attorno al tema del narcotraffico. Eppure, i dati dell’antidroga statunitense sembrano smentire o quanto meno far dubitare di questa stessa retorica: oltre il 90% della droga che entra negli Stati Uniti arriva attraverso il Messico e l’America Centrale. Questi dati non negano certamente flussi da altre rotte ma fanno insinuare in molti il dubbio che le azioni contro il Venezuela siano strumentali. 

Domande aperte

Quella in corso non è guerra aperta, per lo meno non ancora, masicuramente qualcosa che va oltre la diplomazia ordinaria. La storia americana offre precedenti troppo numerosi e importanti che, nello scenario delineatosi in queste settimane, tornano inevitabilmente alla mente. Gli Stati Uniti non sono certo nuovi ai cambi di regime e sono in molti a sentire l’eco di Panama o Santo Domingo. 

Le domande centrali, dunque, ruotano attorno a quale sia il futuro del Venezuela (e del suo presidente) e quanto questo futuro sarà usato come pedina per altri interessi geopolitici. D’altronde i conflitti non sempre rispettano il nostro immaginario fatto di bombe, spari ed esplosioni, in alcuni casi può bastare l’arrivo, lento, di una portaerei accompagnata da una specifica narrazione politica.

Crediti immagini: Photo: U.S. Navy, Wikimedia Commons, Public Domain