Big Bench, le grandi panchine sul bello del mondo
2 Settembre 2021
Mauro De Mauro, il ricordo del cronista a cento anni dalla nascita
6 Settembre 2021
Big Bench, le grandi panchine sul bello del mondo
2 Settembre 2021
Mauro De Mauro, il ricordo del cronista a cento anni dalla nascita
6 Settembre 2021

Architettura dello Stato, battiamo un colpo se ci siamo

di Salvatore Luigi Baldari

Quante volte negli ultimi decenni ci siamo lamentati del bicameralismo perfetto, noi unico Paese al mondo ancora ad adottarlo?

Quante volte negli ultimi decenni ci siamo detti che i poteri regionali sono sbilanciati, specie negli ultimi mesi durante i quali abbiamo dovuto fronteggiare l’impatto della pandemia?

Quante volte negli ultimi decenni abbiamo sentito ripetere che il nostro problema è la stabilità del Governo?

A tutti questi dilemmi abbiamo cercato di dare una svolta attraverso riforme caotiche come quella del 2001, o referendum costituzionali divisivi come quelli del 2006 e del 2016.

Abbiamo scavato fra le viscere di leggi elettorali sempre diverse, seppur tutte troppo simili fra loro, rievocando l’antica tradizione nostrana delle dispute fra guelfi e ghibellini, cosicché fra il modello alla francese e il modello alla tedesca, siamo andati a finire sempre su improbabili soluzioni che avessero un po’ di maggioritario e un po’ di proporzionale, degli ibridi tutti italiani che servissero soltanto a esaltare i difetti di ciascuno dei modelli.

Lo scorso settembre abbiamo sancito per volontà popolare, il taglio dei parlamentari, da 945 a 600, e, soltanto pochi mesi dopo, è stata assegnato il diritto di voto per il Senato anche ai diciottenni.

Nel 2023 avremo due Camere, con le stesse funzioni, votate dallo stesso e identico corpo elettorale.

È il momento di chiederci qual è la funzione oggi del bicameralismo, con voti di fiducia e provvedimenti blindati all’ordine del giorno che di fatto lo hanno abolito.

Il primo passo potrebbe essere quantomeno quello di unificare le due Camere, in una sola da 600 parlamentari. Una soluzione che permetterebbe anche di non drammatizzare il tema della legge elettorale: qualora non si potesse riscriverla non sarebbe una tragedia mantenere quella in vigore.

La presenza di una unica Camera potrebbe essere accompagnata da un istituto di civiltà, a volte evocato dai commentatori, ovvero la sfiducia costruttiva. Cosa significa? Si può far cadere un Governo, soltanto proponendone uno nuovo.

Questa unica Camera potrebbe essere integrata da una Assemblea, con funzione di richieste di riesame e di elaborazione di pareri, composta dai rappresentanti delle Regioni, delle Province Autonome, oltre a delegazioni dell’Anci e dell’Upi, potendo così finalmente costituzionalizzare la Conferenza Stato-Regioni.

Proprio sul rapporto fra Stato ed enti locali, sarebbe necessario uno sforzo in più, senza dover attendere, come troppo spesso accade, che sia la giurisprudenza della Corte Costituzionale a dipanare la matassa.

Serve mettere mano al Titolo V. Il federalismo tanto decantato si è rivelato una moltiplicazione dei centralismi. L’architettura dello Stato è conflittuale e non corrisponde all’iperterritorialismo che lo contraddistingue. Gli sprechi, le inadempienze e i conflitti sono tanti e troppi. Una revisione netta dell’attuale disegno dovrebbe superare la distinzione fra competenze esclusive e concorrenti; dovrebbe abolire statuti speciali, comunità montane e similari; dovrebbe accorpare gli enti molto piccoli; dovrebbe avere il coraggio di ripensare i confini regionali intorno a distretti omogenei di popolazione, il tutto conferendo responsabilità e poteri agli amministratori locali. Dovrebbe ripartire dai Comuni, incentivando la loro possibilità di stringere patti territoriali più ampi in grado di dare una prospettiva di sviluppo e di benessere ben definita.

Per andare in questo senso, occorre una definitiva assunzione di consapevolezza delle forze politiche, magari dopo le imminenti elezioni amministrative che avranno una funzione di svolta e di rimescolamento degli equilibri.

Altrimenti, dovrà essere compito del Governo, rompere questo patto silenziosamente offerto ai partiti, per compiere tale riflessione sugli assetti istituzionali e sancire così l’ennesima sconfitta della politica.