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Carmen, perché il suo vivere a perdifiato fu un fiasco totale

di Pierfrancesco Galati

“Ogni donna è fiele; non concede che due ore di letizia: una sul suo letto nuziale, e una sul suo letto di morte”.

Questa è l’epigrafe con cui Prosper Mérimée apre la sua Carmen scritta nel 1845; si tratta di un epigramma di Pallada, poeta e grammatico greco vissuto tra il IV e V secolo ad Alessandria d’Egitto.

Il musicista francese Georges Bizet, rimasto folgorato da questa novella, decise di musicarla e cominciò a lavorarci nel 1875, quando l’Opéra-Comique gli commissionò l’incarico di scrivere un’opera basata sulla novella di Mérimée. Il direttore artistico si aspettava dal compositore: “…una cosetta facile e allegra, secondo il gusto del nostro pubblico, e soprattutto con un lieto fine…”.

I librettisti Henri Meilhacand Ludovic Halévy, pur alleggerendo parecchio i toni della novella di Mérimée, ne trassero un libretto dal contenuto comunque troppo crudo rispetto a quelli che erano i canoni dell’Opéra-Comique che, a differenza del Grand Opéra, era un teatro per famiglie, e mai prima d’allora aveva affrontato temi come il contrabbando, l’illegalità, l’omicidio; tutto ciò avrebbe sbigottito il pubblico.

Prima di capire il senso del libretto di Carmen sarebbe fondamentale conoscere le analogie e le differenze tra l’opera lirica e la novella di Mérimée. Senza ciò sarebbe inutile andare a teatro.
La prima differenza è data dal genere, rispettivamente una novella e un libretto d’opera. Mérimée, per far risaltare la degenerazione di Don José, sceglie di fare raccontare la storia in prima persona al brigadiere stesso. I librettisti Meilhac e Halévy, per raggiungere gli stessi obiettivi, dovettero utilizzare una tecnica diversa, quella della contrapposizione.

La storia viene raccontata mettendo a confronto i personaggi principali: Don José/Escamillo e Carmen/Micaela. Don José, a livello di temperamento e personalità, è l’esatto opposto del torero Escamillo e la stessa cosa vale per Carmen e Micaela.

L’amore di Bizet per la novella di Mérimée


Bizet partecipò personalmente, con appunti e note a Meilhac e Halévy, alla stesura del libretto. Il compositore era un ammiratore di Mérimée, tanto che avrebbe musicato l’intera novella; furono i librettisti a frenare i facili entusiasmi del maestro, proponendo modifiche e tagli volti non solo a ridurre la storia, ma anche ad attenuarne alcuni degli aspetti più crudi.
I librettisti scelsero di eliminare alcuni personaggi (ad esempio il marito di Carmen) e dare risalto ad altri (Escamillo che nella novella si chiama Lucas ed è una figura assolutamente secondaria e incolore). Rispetto al testo di Mérimée cambia anche l’ambientazione del finale: nella novella una landa desolata tra le montagne dove José ha appena sepolto il cadavere di Carmen, mentre nell’opera di Bizet è la Plaza de Toros di Siviglia in un giorno di festa.
Le modifiche volute dai librettisti ebbero il merito di rendere la vicenda più chiara e fluida eliminando dettagli inutili che avrebbero appesantito inutilmente l’opera.
Se si possono rintracciare nel libretto degli elementi di continuità con Mérimée è solamente grazie a Bizet.

Fu il compositore a volere che, nel IV atto, i dialoghi di Mérimée fossero ripresi quasi per intero; Bizet fu l’unico a capire fino in fondo le peculiarità di Carmen come donna e a descriverne la vera essenza. 

La habanera e la scena delle carte (III atto) sono i momenti che delineano, più di ogni altro, il personaggio di Carmen: i testi di entrambe le arie furono scritti da Bizet stesso.

La partitura dell’opera, subì numerosi rimaneggiamenti da parte del compositore: i ripensamenti di Bizet sono imputabili primariamente all’esigenza di ridurre i tempi.

Anche dopo i tagli l’opera risultò comunque troppo lunga: la prima rappresentazione di Parigi durò quattro ore e mezza intervalli compresi! 
Bizet si trovò quindi costretto a fare delle scelte nette che implicarono anche il sacrificio di pezzi musicali davvero notevoli. Tra le scene accorciate si ricordano soprattutto la partenza della guardia uscente, il coro delle sigaraie, il lancio del fiore e il duello tra José ed Escamillo.

Il IV atto, il più breve, fu ridotto notevolmente rispetto alle intenzioni originarie; l’epilogo della vicenda, con la morte di Carmen, si esaurisce nel giro di una decina di minuti.

La prima fu un fiasco

Il 3 marzo 1875, giorno in cui Bizet fu insignito della Légion d’Honneur, Carmen andò in scena per la prima volta all’Opéra-Comique di Parigi. In sala erano presenti alcune delle più importanti personalità musicali francesi dell’epoca (Massenet, Offenbach, Gounod) nonché personaggi di spicco del mondo della letteratura tra cui Alexandre Dumas figlio. 
Il ruolo di Carmen era stato affidato a CelestineGalli-Marie, quello di don José a Paul Lherie. 
Come racconta Halevy in una lettera ad un amico, l’inizio fu positivo ed incoraggiante. Il primo atto fu ben accolto con tanti applausi per le arie principali e chiamate al proscenio per gli interpreti. L’entusiasmo fu palpabile fino alla canzone del toreador del II atto che segnò l’inizio della fine. Nel III atto ci furono applausi solo per l’aria di Micaela mentre il IV atto fu accompagnato dal silenzio glaciale di un pubblico scandalizzato e seccato.
Alla fine dell’opera Bizet fu consolato soltanto da pochi amici, addirittura Charles Gounod lo accusò di aver copiato da lui la musica dell’aria di Micaela del III atto.
Il giorno dopo la stampa non fu clemente: i critici più conservatori accusarono Bizet di wagnerismo, altri criticarono aspramente l’immoralità e lo spietato realismo della storia.

La sola voce favorevole fu quella di Theodore de Banville per il quotidiano “Le National” che lodò Bizet per aver creato un’opera con uomini e donne “reali” al posto delle abituali “marionette” dell’Opéra-Comique.
Le repliche di Carmen proseguirono per circa un anno ma l’interesse del pubblico fu alquanto scarso; l’opera di Bizet si guadagnò però i complimenti di Cajkovskij che assistette ad una delle repliche. Il famoso compositore russo scrisse: “Carmen è un capolavoro, in ogni senso della parola… una di quelle rare creazioni che esprimono gli sforzi di unintera epoca musicale”. 
A Parigi Carmen cadde nel dimenticatoio: non sarà più ripresa fino al 1883, ma il destino dell’opera era un altro.

A Vienna il successo di Carmen, poco prima della morte di Bizet


Poco prima di morire Bizet aveva firmato un contratto con il teatro dell’opera di Vienna.

Con le modifiche apportate da Ernest Guiraud Carmen andò in scena nella capitale austriaca, il 23 ottobre 1875; fu un successo clamoroso. 
WagnereBrahmslodarono Bizet per il suo straordinario lavoro.
Vienna segnò l’inizio del successo di Carmen, un successo che persiste tutt’ora e che ha reso l’opera di Bizet, uno dei capisaldi del repertorio operistico internazionale.

Carmen, è una donna come poche: zingara (e perciò un’outsider, una persona che vive ai margini della società e della legalità), bellissima, passionale, incantevole. Ma il suo fascino, più che da una sensualità sfacciata ed esibita, viene da quello slancio vitale fortissimo, dall’amore smisurato per la libertà e l’indipendenza personale; non bada alle regole e ai ruoli sociali, non ha alcuna soggezione verso l’autorità, anzi, spesso se ne fa apertamente beffe.

La musica di Bizet enfatizza il suo tagliente sbeffeggiare, il suo modo di fare irridente, il suo vivere nell’attimo, come se la vita fosse leggera, leggerissima, tanto da poterla passare così, di slancio, come in una corsa a perdifiato, senza esitazioni, senza compromessi e con tutti i rischi che ciò comporta.

Carmen è un personaggio femminile forte, anticonformista, attuale, moderno: il suo gesto estremo, quando alla fine, pur di non cedere alle minacce di don José, lo sfida anche se sa che ci rimetterà la vita, è una scelta di coerenza e di fedeltà prima di tutto verso se stessa. In questo senso alcuni l’hanno paragonata a Don Giovanni: anche lui, alla fine, preferisce sprofondare all’Inferno piuttosto che dichiararsi pentito.

Il fascino e la sensualità di Carmen derivano, più che da atteggiamenti provocanti, dalla libertà del suo essere, dall’indipendenza totale della sua persona.