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Bologna, “Psicologo online”: + 800% gli help! psicologici del primo lockdown

Abbiamo intervistato Doriana di Dio, Centro Dedalus APS

di Lorenza Cianci

800 per cento in più. Una cifra sola per quadrare la situazione che ha dovuto fronteggiare, alla data del primo lockdown, il servizio di “Psicologo online” dell’Ufficio Giovani del Comune di Bologna. Che, nel frangente dell’emergenza, è stato a disposizione non solo dei e delle più giovani dai 18 ai 35 anni, ma di tutta la popolazione, residente e non.

Eppure, quello sportello, è un ponte d’ascolto telematico per tutti i e le giovani 18-35 d’Italia che, nella Città metropolitana, c’è dal 2009. È nato, 12 anni fa, dalla collaborazione tra lInformagiovani multitasking, il pool, a Palazzo D’Accursio, di servizi dedicati ai e alle ragazze, e lAssociazione Dedalus APS, il centro di clinica psicoanalitica che è in via Indipendenza numero 16. 

Una «stanza dei segreti» virtuale, che è stata attiva pure nel marzo-aprile 2020: a colmare l’infattibilità, causa emergenza sanitaria, di accesso fisico agli sportelli d’ascolto. Ed il risultato è tutto in questa percentuale: l’800% in più di richieste. Non solo. Di e-mail di richieste supporto mentale, in quei giorni, lo “Psicologo online”, è stato, letteralmente, «subissato». Con la motivazione, pervasiva: «tantissima ansia e attacchi di panico». L’età media dei e delle giovani che si sono rivolte allo sportello è di 26 anni.

A darci questi dati è proprio la dottoressa Doriana Di Dio, attualmente responsabile del Centro Dedalus APS, che conduce, insieme a un team di “addette e addetti ai lavori”, anche lo “PsYinBo”, uno sportello d’ascolto psicologico in presenza, nato nel 2012 proprio come “costola dal vivo” dello “Psicologo online”. Da settembre scorso, ha ripreso a pieno regime le sue regolari attività, dopo l’apri e chiudi scandito dall’emergenza. Allo sportello, si può accedere a un percorso di tre incontri gratuiti con i e le professioniste di Dedalus. Non è una terapia: è «capire perché», come ci ha spiegato la psicoterapeuta.

Abbiamo raggiunto la dottoressa Doriana Di Dio per parlare di come stanno andando, su territorio, i servizi di sostegno psicologico ai e alle giovani adulte. E di come i e le giovani abbiano vissuto la pandemia, con le sue criticità; infine, quali sono le prospettive di ascolto psicologico giovani future.

Dottoressa Doriana Di Dio, parliamo dello sportello psicologico PsyinBO. Nasce dal coordinamento tra voi di Dedalus APS e lUfficio Giovani del Comune di Bologna. Come è nata questa collaborazione?

«La collaborazione con il Comune di Bologna e, in particolare, con Flash Giovani, l’Ufficio Giovani del Comune, dura da più di dieci anni. Insieme abbiamo iniziato a pensare, 10 anni fa, a quali potevano essere i servizi per avvicinarci maggiormente ai ragazzi. Siamo partiti con un servizio, che facciamo tutt’ora, lo “Psicologo online”. Non è una terapia: i ragazzi ci scrivevano e ci scrivono, ed è tutto in forma anonima. Anche il servizio di “Psicologo online” era nato per un massimo di tre volte: per poi dare, quando ce n’era bisogno, delle indicazioni sui servizi presenti sul territorio, al quale rivolgersi. Tutto questo era online, gratuito. I primi anni, i ragazzi che scrivevano non erano solo di Bologna, ma di tutt’Italia. Dieci anni fa, era un servizio super innovativo, perché ancora non c’erano le terapie online: all’inizio, c’è stato veramente un boom. Essendo un servizio anonimo, abbiamo visto che molti minori ci scrivevano e ci raccontavano situazioni familiari anche pesanti. Con il Comune di Bologna, ai tempi, avevamo una serie di collegamenti su territorio. Ci è capitato, in delle situazioni, di attivare la polizia postale, per cercare di capire se fosse tutto a posto. Dal successo dello “Psicologo online”, iniziamo a pensare che, forse, ci voleva uno spazio vero e proprio: reale, sul territorio. Nasce lo “Sportello d’ascolto”: uno sportello ancora molto attivo, dai 18 ai 35 anni. I ragazzi ci possono scrivere: basta una mail a info@dedalusbologna.it e prendere appuntamento. Possono venire, massimo, tre volte. Anche in questo caso, non è una terapia e ogni colloquio dura soltanto 30 minuti: si cerca di fare il punto della situazione, di capire perché. Arrivano dei ragazzi che non sanno dove andare, che sono smarriti, che non conoscono la città, non conoscono i servizi, non hanno soldi, ma stanno male. Arrivano e non sanno dove andare: hanno lo “Sportello d’ascolto”. In qualche modo, si cerca, in tre volte, di capire quello che non va, per quello che è possibile. E, quando c’è la necessità, si danno delle indicazioni sui servizi pubblici presenti sul territorio».

A proposito del dopo tre appuntamenti”. I servizi pubblici su territorio sono esclusivamente rivolti alla popolazione residente o anche alla domiciliata?

«No no no, è rivolto a tutti. Noi cerchiamo di fare il più possibile informazione. Per intenderci, la maggior parte dei ragazzi che vengono allo sportello, da sempre, è fuori sede. Sono ragazzi universitari fuori sede».

Perché? Si pensa che un lavoratore abbia i mezzi per procedere con un o unanalista privata?

«Questo non glielo so dire. Però le devo dire che la maggior parte dei ragazzi sono praticamente quasi tutti universitari. Pochi bolognesi. Sono tutti fuori sede. E, la maggior parte, e questo lo vediamo anche da noi, la maggior parte sono ragazze, che vanno dallo psicologo».

Perché?

«Le ragazze hanno una maggiore attenzione a determinate problematiche. Andare dallo psicologo è difficile, è sempre difficile: doversi mettere in gioco, dover parlare dei propri problemi. Vediamo che, chi chiede più aiuto, chi ha più confidenza con la parola, a voler parlare, sono le ragazze».

«Se sono fuori sede, noi gli spieghiamo proprio l’iter che devono fare per poter avere una richiesta di un colloquio psicologico con l’Asl (lAssistenza Sanitaria Locale, ndr). Devono fare riferimento a un medico: se non hanno il medico qua, possono fare quello con la domiciliazione di un anno. Gli spieghiamo tutto l’iter,in modo che poi possano andare a richiedere un appuntamento, per esempio, presso l’Asl, presso i centri di salute mentale. L’altra indicazione molto utile è quella del SAP, il Servizio di Aiuto Psicologico per i ragazzi del Dipartimento di Psicologia: lì, devi essere soltanto iscritto all’Università. È uguale, se sei residente a Bologna, o no: la terapia al SAP dura massimo un anno ed è completamente gratuita».

Al SAP, però, vista la grande richiesta, i tempi di attesa potrebbero essere lunghi?

«Io non ne ho la certezza. Però, alcuni ragazzi, che spesso vengono allo sportello, fanno così. Intanto, prendono appuntamento al SAP. Siccome c’è un tempo di attesa abbastanza lungo, abbiamo visto che, delle volte, hanno utilizzato lo sportello di ascolto del Comune come primo appoggio. Per cui i ragazzi fanno in questo modo: intanto, vengono. Aspettando l’appuntamento, per esempio, al SAP».

Cosa è emerso durante la pandemia? Parlo di ciò che può essere riferibile alle emergenze giovanili con cui avete avuto a che fare.

«Noi non siamo dell’idea che il Covid abbia, in qualche modo, “inventato” nuovi sintomi. Quello che abbiamo potuto vedere noi, in questi due anni, sono situazioni diverse in base alle persone che abbiamo incontrato. Ci sono stati dei ragazzi che, con il lockdown, non hanno più avuto la pressione dell’esterno, del mondo: del dover fidanzarsi, dover fare amicizia, trovare un lavoro, “stare sempre sul pezzo”, uscire tutte le sere. Per alcuni è stato un momento bellissimo. Per altri, questo ha creato molta più ansia: perché eri costretto a casa, sempre, con i tuoi problemi. Quindi non c’è stato il “sintomo Covid”. Ci sono state delle situazioni che sono state alimentate dalla chiusura. Io non posso dire che, ascoltando i miei pazienti, ho pensato: “questo è proprio un sintomo del Covid”».

Cioè non è esistito un sintomo comune” che è emerso dalla situazione legata al Covid?

«I miei pazienti, anche molto gravi, hanno avuto, con il Covid, un aggravarsi: una paura, ad esempio, di infettare gli altri. Ma su una problematica paranoica di un centro tipo, che era preesistente al Covid».

Come hanno vissuto, i giovani e le giovani, il ritorno alla socialità?

«Tante persone hanno detto “che bello, che bello, andiamo fuori!”. Invece, tanti hanno fatto fatica, una grande fatica, a tornare alla socialità. Io ho tanti pazienti che dicono: “ma si stava meglio in lockdown!” o, anche: “(si stava meglio, ndr) quando c’era il coprifuoco: le serate finivano prima, io sapevo che c’era un limite e stavo meglio”. La gestione dei limiti è stata complicata per tutti. C’erano, sicuramente, già delle situazioni pregresse. Però, la questione del limite è stata difficile per tutti».

Come si sente di rispondere alla domanda: sono giovane, sono fuori sede, sono magari ai primi anni di università, non mi sento bene, sono solo o sola…cosa posso fare?

«Vieni allo sportello! Il Comune dà questa possibilità: di avere almeno un primo spazio di ascolto, per tre volte. Intanto, puoi venire a dire a un esperto che non stai bene. E capire, insieme all’esperto, che cos’è questo “non stare bene”, come funziona».

Che cosa si potrebbe fare di più a livello economico, di servizi messi in campo, di attività, per i giovani?

«Quello che mi verrebbe da dire è che sarebbe bello che delle istituzioni, delle fondazioni o situazioni di questo genere potessero, in qualche modo, sovvenzionare le psicoterapie convenzionate: proprio per permettere a tanti ragazzi giovani di poter fare un lavoro serio di psicoterapia. Una psicoterapia costa tra i sessanta e gli ottanta euro: magari, uno non può permettersi questa cifra. Se ci fosse una fondazione, un’istituzione che, in qualche modo, coprisse almeno la metà (dei costi, ndr), questo permetterebbe di avere della psicoterapia convenzionata. Se dovessi chiedere qualcosa, chiederei questo: che qualcuno sovvenzioni questa parte, per i giovani, per i ragazzi».

FOTO CREDIT: Le immagini sono gentilmente concesse dalla dottoressa Doriana Di Dio. Non è possibile, in nessun modo, farne uso senza il di Lei consenso espresso.