Dialogo con due giovani obiettori di coscienza israeliani

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Dialogo con due giovani obiettori di coscienza israeliani


A Mirano (Venezia) abbiamo incontrato due giovani obiettori di coscienza israeliani della rete di Mesarvot che ci hanno spiegato cosa significa essere refuseniks.

«Siamo qui a Mirano, nella provincia di Venezia, per parlare della militarizzazione e della nostra esperienza come contestatori e obiettori di coscienza in Israele. La nostra sfida contro la militarizzazione, l’occupazione e il genocidio non è confinata in una parte di mondo, ma incrocia tutti i confini, per questo dobbiamo tutti e tutte lottare insieme per un futuro migliore. La guerra non potrà mai finire finché mancherà un dialogo tra palestinesi ed ebrei».

Questo riferiscono Iddo Elam ed Ella Keidar Greenberg, due giovani obiettori di coscienza di Tel Aviv durante l’incontro istituzionale avvenuto il 3 Dicembre presso il Municipio di Mirano (Venezia) e accolti dall’Amministrazione comunale, rappresentata dal Sindaco Tiziano Baggio e dall’Assessora alle Politiche per la pace Maria Francesca Di Raimondo. Un incontro reso possibile grazie al progetto Voci di pace in collaborazione con il circolo Acli di Mirano, il Liceo “Majorana-Corner”, il Centro per la Pace e la Legalità “Sonja Slavik” e il Comune.

Iddo di 19 anni ed Ella, di 18, sono attivisti appartenenti alla rete Mesarvot, che sostiene i refuseniks, ovvero coloro che rifiutano il servizio militare obbligatorio in Israele come scelta pubblica e politica per contribuire alla fine dell’occupazione e dell’oppressione del popolo palestinese.

Chi sono i refuseniks, qual è lo scopo di Mesarvot

Il termine refusenik era usato durante la guerra fredda per indicare gli ebrei sovietici che vivevano in URSS e ai quali veniva impedito di emigrare in Israele. Oggi è stato ripreso per indicare gli obiettori di coscienza israeliani. I refuseniks sono spesso giovani pacifisti che si oppongono all’occupazione dei territori palestinesi. Organizzazioni come Mesarvot (fondata nel 2015) supportano questi giovani, fornendo loro sostegno e assistenza legale durante il percorso di obiezione, aiutandoli anche a rendere pubblica la loro opposizione in quanto il loro esempio può avere un impatto notevole nella società israeliana. “Il rifiuto politico è di grande importanza nel promuovere una soluzione giusta per tutti i popoli tra il mare e il Giordano e nel rompere le convenzioni nel campo politico israeliano” si legge nella presentazione nel loro sito. L’obiezione ha inoltre lo scopo di creare un’eco mediatica pubblica, e fare in modo che le esperienze dei refuseniks siano da stimolo affinché altri giovani israeliani rifiutino il servizio militare e aderiscano a questi movimenti non violenti, basati sul dialogo e la pace.

La scelta del nome Mesarvot non è casuale, in ebraico infatti significa “Noi rifiutiamo”.

«Questa nostra obiezione» spiega Iddo «è un modo per non contribuire al genocidio, ma anche per fare pressione sul governo israeliano affinché interrompa l’occupazione nei territori palestinesi. Sono attivista da quando ho 14 anni, da quel periodo lotto insieme ad amici e compagni palestinesi per veder riconosciuti i loro diritti, perciò quando terminate le scuole superiori ho ricevuto la lettera di coscrizione per me è stato normale rifiutare e rendere pubblica questa mia scelta. Non voglio far parte di un sistema che opprime un popolo».

Quando Iddo ed Ella hanno deciso di rifiutare di fare la leva obbligatoria erano consapevoli della conseguenza a cui andavano incontro: la detenzione nel carcere militare. Entrambi sono stati incarcerati per un mese, Ella in particolare è stata in isolamento in quanto donna trans.

«Sono stato disposto ad andare in carcere piuttosto che tradire le mie idee e la mia morale» asserisce Iddo. «Siamo stati fortunati» continuano entrambi a ripetere «perché altri obiettori sono stati incarcerati più a lungo, alcuni 6 mesi, altri addirittura di più. Questo avviene perché anche dopo la prima detenzione si può essere reincarcerati». A proposito Ella ci tiene a ricordare che sabato 13 Dicembre è stata prevista una manifestazione di Mesarvot in sostegno per un obiettore che si trova da oltre 100 giorni in carcere.

L’obiettore si chiama Yuval Peleg è in carcere dal 10 Agosto 2025 e ha già scontato almeno tre condanne.

Regole del servizio di leva obbligatorio in Israele

Israele prevede un servizio militare obbligatorio per tutti i propri cittadini al compimento del 18° anno di età, dura 3 anni per gli uomini e 2 anni per le donne. La coscrizione obbligatoria prevede di servire nelle IDF – Israel Defense Forces, fondate nel 1948. Iddo ed Ella ci spiegano che la leva non è obbligatoria per tutti i cittadini, ci sono infatti delle eccezioni: gli ebrei ultraortodossi (haredim in ebraico), gli arabi e i drusi delle Alture del Golan sono esentati, al contrario dei drusi della Galilea che sono obbligati. Il sistema prevede esenzioni per motivi fisici e psicologici.

Il dibattito su queste esenzioni è acceso in Israele, specialmente per quanto riguarda quella degli ultraortodossi. Nel Giugno 2024 la Corte Suprema israeliana stabilì che lo Stato doveva arruolare gli uomini ultraortodossi, dichiarando che la loro esenzione era scaduta. A distanza di un anno il numero degli haredim che si sono arruolati appariva comunque inconsistente. Il 27 Novembre di quest’anno il governo ha presentato l’ultima revisione di una proposta di legge attualmente in discussione alla Knesset; una proposta che tuttavia obbligherebbe al servizio di leva solo alcuni uomini ultraortodossi, lasciando intatta l’esenzione per altri.

La situazione è in costante evoluzione, ma una cosa appare abbastanza evidente: se reperire informazioni su chi si arruola non sembra essere così difficile, ottenere un numero certo su quanti sono gli obiettori non è semplice.

«Non conosciamo il numero esatto dei refuseniks» spiega Iddo. «L’IDF rifiuta di fornire dati su quante persone si sono astenute dalla leva obbligatoria, e ogni richiesta di informazioni da parte di Mesarvot viene ignorata. Una cosa è certa: in questi ultimi 2 anni sono aumentati sempre di più i giovani israeliani che si sono opposti all’occupazione dei territori palestinesi». «Inoltre» prosegue Iddo «non tutti coloro che si rifiutano lo fanno pubblicamente, quindi dare cifre precise è complicato».

Il credo politico di Iddo e Ella, la nostra speranza è nel partito Hadash

«Ella ed io siamo affiliati al partito ebraico-palestinese di sinistra Hadash, perché è l’unico in cui fanno parte ebrei e palestinesi» spiega Iddo. «Non potrà mai esserci un cambiamento autentico nella società se non si lavora e dialoga con i palestinesi, solo uniti metteremo fine alla segregazione. Hadash è inoltre tra i partiti più grandi dell’opposizione che supportano noi refuseniks».

Hadash in ebraico è l’acronimo di Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza, è stato fondato nel 1977 e dalla sua nascita è sempre stato presente in Parlamento, nella Knesset. Fino ad ora Hadash ha sostenuto un solo governo dall’esterno, quello di Yitzhak Rabin (1992-1995) che riconobbe l’OLP.

L’obiettivo dei suoi fondatori è semplice: costruire un ponte di pace tra i cittadini palestinesi ed ebrei, unire la maggior parte dei sostenitori della pace, dell’uguaglianza, della democrazia e dei diritti dei lavoratori, ebrei e arabi, al fine di creare un’alternativa politica alla politica governativa di occupazione e sfruttamento; la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele è uno dei capisaldi del partito.

“Hadash fu il primo a candidarsi alle elezioni con lo slogan “Due stati per due popoli“; il primo ad avvertire che la politica di privatizzazione avrebbe aggravato povertà e la disuguaglianza; il primo e più coerente a opporsi agli insediamenti e all’aggressione militare, alle guerre e all’occupazione” si legge nella loro presentazione.

«Hadash ha in Parlamento deputati palestinesi e uno israeliano» dice Iddo, mentre ricorda come durante il discorso di Donald Trump alla Knesset in Ottobre due deputati di Hadash, Ofer Cassif e Ayman Odeh, sono stati scortati fuori dall’aula per il fatto di aver mostrato cartelli con la scritta “Riconoscere la Palestina“.

Durante l’incontro con gli obiettori ci si chiede cosa farebbero Iddo ed Ella se, un giorno, Hadash vincesse le elezioni: sorridono. «Di sicuro la prima cosa che faremo sarebbe quella di liberare i territori palestinesi e ridare loro voce» asserisce Iddo, e continua «ridare dignità e libertà ai palestinesi sarebbe la priorità senza però chiedere il supporto e l’intervento di attori esterni come Usa o Unione Europea». Ella concorda con quanto detto da Iddo, e aggiunge «La prima cosa che farei? Cessare immediatamente il blocco e l’apartheid. L’uguaglianza e la libertà del popolo palestinese sono per noi fondamentali».

Immagini gentilmente concesse dal Comune di Mirano.