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Il calvario di Marco Zennaro, l’imprenditore di Venezia sequestrato e dimenticato in Sudan

di Roberta Caiano

Dalla scorsa primavera accanto alle bellezze tipiche della città, su ogni palazzo di Venezia, navigando sulla laguna o passeggiando tra le sue vie, è possibile scorgere qualche striscione dedicato a Marco Zennaro. Sequestrato in Sudan dallo scorso 1 aprile, l’imprenditore veneto è un ingegnere elettrico e amministratore della società di famiglia che produce trasformatori elettrici, la Zennaro Electrical Constructions, con sede a Marghera. La sua storia inizia a metà marzo quando riceve una telefonata dal distributore sudanese, Ayman Gallabi, in seguito ad un problema sorto per la vendita di alcuni trasformatori elettrici. Raggiunta la città di Karthum, dove ha sede la società africana, il 47enne è stato accusato di frode per la vendita di una partita di trasformatori difettosi. Da qui un calvario lungo 9 mesi in cui, tra 18 udienze e altrettanti rinvii, attende ancora la sentenza che potrebbe riportarlo a casa. Fino a questo giugno, infatti, l’imprenditore ha vissuto l’esperienza drammatica di una detenzione disumana a Khartum, in una cella condivisa con altri 30 detenuti in condizioni igieniche estreme, con un solo bagno, che lo hanno sottoposto ad una ripresa fisica molto lenta.

L’ambasciata italiana in Sudan che, dopo il rilascio di Zennaro, lo sta ospitando fino a che non otterrà il permesso di lasciare il Paese, durante la sua prigionia ha fatto visita all’imprenditore oltre 60 volte sostenendolo con cibo, libri e vestiti. Così come le visite del padre, Cristiano Zennaro e della moglie che lo aspetta a casa con tre bambini. Ma è soltanto di pochi giorni fa la notizia che potrebbe ridare speranza a Marco e alla sua famiglia di rivederlo in Italia. E’ stata infatti fissata la data della sentenza per il 6 gennaio 2022, colpi di scena permettendo. Se, per l’appunto, dovessero nascere nuove complicazioni, come è già accaduto nei mesi precedenti – l’ultima messa in scena in tribunale ha visto come protagonisti i legali dell’accusatore che non si sono presentati in udienza -, la decisione del giudice slitterà ancora e verrà dato il via a nuove indagini. 

L’accusa di frode per aver consegnato del materiale elettrico non congeniale è stata mossa da Ayman Gallabi, il quale ottiene finanziamenti alla sua azienda da Abdallah Esa Yousif Ahamed, zio del generale Mohamed Hamdan Dagalo, che a fine ottobre aveva partecipato al golpe militare e alla caduta del governo di transizione. Infatti, ad aggravare la posizione precaria di Zennaro c’è anche la situazione politica del Paese che nel mese di ottobre ha subito un colpo di stato, cambiando così anche i vertici del ministero della giustizia e ritrovandosi in una situazione ingarbugliata con i miliziani locali. 

Una farsa che sembra non avere fine. Dalle precedenti udienze è rimasta solo un’accusa civile sulla testa dell’imprenditore veneziano, dopo che un altro processo civile e due processi penali sono stati vinti in quanto tre giudici diversi hanno riconosciuto l’assenza della truffa e la bontà dei trasformatori venduti dalla sua azienda alla Gallabi, la società sudanese che li aveva ordinati. Secondo fonti ufficiose, l’accusatore ha fatto pressing sulla famiglia dell’imprenditore per ricevere la cifra di 975 mila euro al fine di ritirare la denuncia. Fino a quando ci sarà un procedimento penale a suo carico, Zennaro ha il divieto di lasciare il Sudan e dunque la sentenza di gennaio potrebbe essere la sua più prossima e ultima occasione per ritornare a casa. La vicenda di Marco Zennaro è arrivata da mesi anche ai vertici della Farnesina, in particolare sul tavolo della viceministra Marina Sereni, che già in estate aveva avuto contatti con il ministro degli esteri sudanese, e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, a cui la famiglia di Marco ha fatto molti appelli nel corso dei mesi.