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Il mare nella rete dei rifiuti ittici. La lotta dell’attivismo cittadino

di Roberta Caiano

“Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”. Citazione calzante quella di Andy Warhol, soprattutto se consideriamo che viviamo in un periodo storico in cui le tonnellate di rifiuti che affollano le acque e i territori più belli di ogni parte del mondo stanno mettendo a dura prova l’ecosistema ambientale. Molto spesso dimentichiamo che il pianeta è la casa dove abitiamo, averne premura è il primo passo per prenderci cura di noi stessi. Dalle spiagge dell‘Indonesia passando per l’Australia alle più vicine acque che bagnano la nostra Penisola le fasce costiere più pure e spettacolari del mondo sono riempite quotidianamente da milioni di plastiche, microplastiche e rifiuti di ogni genere. 

L’inquinamento marino e ambientale è ormai uno dei temi più trattati, ma che ogni volta ci stupisce come se fossimo assuefatti a guardare le tonnellate di immondizia che popolano il nostro biosistema. Tra i milioni di sacchi di pattume che si riversano nell’ambiente in testa troviamo i rifiuti ittici, generati dalle attività connesse alla pesca, diporto e acquacoltura. Sebbene questo si sia verificato in particolar modo nelle acque degli oceani, anche quelle del Mediterraneo non sono da meno contribuendo in maniera notevole ad aumentare il numero di questo tipo di inquinamento. In proposito, è stato constatato attraverso report e dati sul campo che circa il 10% della plastica marina globale è rappresentata proprio dalle reti da pesca, che risultano raggiungere una percentuale di oltre l’86% su 42mila tonnellate di microplastica nella sola isola di rifiuti nel Pacifico settentrionale. Ciò rende così urgente e inevitabile una sensibilizzazione non soltanto tra i pescatori ma anche e soprattutto a livello istituzionale con regolamenti, norme e investimenti che possano rendere più agibile lo smaltimento di questi rifiuti. In questo senso l’attivismo cittadino e la coscienza collettiva possono senza dubbio contribuire ad essere una grande risorsa affinché non soltanto si argini attivamente la produzione eccessiva di immondizia, ma anche di fare in modo che le nostre coste vengano considerate e curate in ogni periodo dell’anno.

Come testimoniato anche dal report di Greenpeace rilasciato nell’anno 2019, i principali responsabili dell’inquinamento da plastica negli oceani sono proprio gli attrezzi da pesca. Secondo quanto riportato dall’organizzazione ambientalista, infatti, nelle acque oceaniche ogni anno vengono scaricate oltre 640 mila tonnellate di reti, lenze e altri strumenti relativi al mondo della pesca, oltre che ai rifiuti ittici. Il rapporto pone l’accento non soltanto sui rischi per la vita marina, ma estende l’attenzione più in generale sulla pericolosità che questo meccanismo di contaminazione può innescare per l’intero ecosistema con conseguenze irreversibili. La diffusione di questi tipi di rifiuti ittici e plastici derivati dalle attività di pesca, infatti, si deve sia alla pesca illegale che a quella industriale peraltro con normative e regolamentazioni che prevedono, tra le altre cose, l’utilizzo del polistirolo. Come si legge nella documentazione dell’Aipe (Associazione Italiana Polistirene Espanso) pubblicata sul sito del ministero della Salute in merito al recupero e riciclo di imballi per i prodotti della pesca, il ‘pacchetto igiene’ è costituito dalle ultime e più recenti disposizioni in materia di sicurezza e igiene alimentare le quali prevedono l’uso delle cassette isolanti, appunto, di polistirene espanso. In questa direzione Federpesca e l’Aipe puntano a responsabilizzare le imprese del settore degli imballi isotermici in Eps, ovvero in polistirene espanso sinterizzato, in modo che si favorisca la loro riciclabilità. L’Aipe, difatti, collabora con il Corepla (Consorzio Nazionale per la Raccolta, Riciclo e Recupero degli imballaggi in plastica) per promuovere questo processo per gli imballaggi in Eps post consumo, attraverso la creazione di piattaforme per la raccolta di questo polistirolo.

Di questo ne abbiamo parlato con il presidente Fabrizio Milone di Retake Bari, un movimento cittadino di lotta al degrado, al vandalismo e con l’intento di riappropriarsi del proprio territorio. Nato a Roma nel 2010, Retake si è poi esteso a livello nazionale innaffiando il seme dell’amore e della premura nei confronti della propria città. Le attività di volontariato di cui si fa carico sono diventate, nel corso del tempo, sempre più ampie fino ad affrontare di petto il problema rifiuti attraverso il clean up e raccolta attiva dei rifiuti. Nel capoluogo pugliese, ad esempio, da ormai cinque anni periodicamente Retake Bari si prodiga con una squadra di volontari per ripulire le principali spiagge del luogo spesso con risultati davvero impressionanti. Il primo incontro tenutosi il 24 gennaio ha segnato l’inizio di una serie di flashmob previsti per l’anno 2021, con una troupe di circa 50 volontari impegnati a ripulire la spiaggia di Torre Quetta. Questa prima raccolta dopo quattro mesi ha prodotto ben 330 chili di rifiuti di ogni genere. Un dato che lascia stupiti soprattutto se consideriamo che 10 chili erano di sole reti di cozze, dando manforte ai numeri disastrosi riferiti ai rifiuti ittici. La seconda raccolta di rifiuti effettuata il 31 gennaio nella zona di Pane e Pomodoro non ha fatto altro che ‘aggravare’ questi dati, raggiungendo nel totale una tonnellata di rifiuti e 17 chili di reti di cozze.

Come racconta Milone, “Per il primo incontro ci siamo concentrati su un tratto di spiaggia di circa 70 metri e profondo 7-8 metri, ciò significa che si arriva a concentrazioni pari ad una rete ogni tre passi. Il 30-40 % di ciò che ci siamo ritrovati a raccogliere era composto per la maggior parte da frammenti di plastiche e microplastiche derivati dal mondo dei pescherecci e da rifiuti ittici – spiega il Presidente –  Di certo l’imposizione normativa del polistirolo non aiuta, Gli stessi pescherecci ci spiegano che questo materiale è igienicamente adatto per la conservazione del calore e del freddo e adatto al trasporto del pesce: per questo è l’unica possibilità per permettere che venga esportato per la vendita”. Nonostante le associazioni riferite alle attività di pesca si stiano mobilitando affinchè ci sia più attenzione al riciclaggio e allo smaltimento di questo materiale, con i relativi rifiuti prodotti, così come il ministro dell’ambiente Sergio Costa sta monitorando le normative e le regolamentazioni in riferimento ai pescherecci, la situazione è comunque drammatica. “Il motopeschereccio barese Rio Bravo, ad esempio, è uno dei pochi sensibile alle tematiche di sostenibilità. Molto spesso ci hanno segnalato problematiche derivate dalle normative. Tra le altre cose, i rifiuti del mare dovrebbero essere gestiti come rifiuti speciali, ma una volta scaricati al molo non ci sono inceneritori o strumentazioni che possano aiutare a smaltirli correttamente –racconta Fabrizio –  Ci vogliono incentivi, investimenti con costi spesso elevati che non tutti possono permettersi. Questo porta alla formazione di rifiuti ittici di grosse quantità, che inevitabilmente finiscono in mare”.

Ed è proprio in mare che si concentrano milioni di pezzi di plastiche e microplastiche con una dispersione che va dall’1 al 10%. Contrariamente a ciò che si può pensare, il lockdown dettato dalla pandemia non ha migliorato di molto la situazione. “Il proliferare dell’usa e getta derivato anche e soprattutto dalla pratica dell’asporto e del take away, oltre all’apparizione dei nuovi rifiuti come guanti e mascherine, ha solo appesantito i dati già drammatici – conclude Fabrizio -. Anche il boom di consegne online con l’aumento esponenziale di imballaggi ha incrementato il numero di rifiuti urbani sommandosi ai milioni di pattume che ci troviamo a raccogliere e con cui fare i conti. Con la nostra attività cerchiamo di fare in modo che si arrivi ad un obiettivo zero, rendendo quanto più possibile libere e pulite le nostre coste”.