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L’altra Russia. Dissidenti e oppositori di Putin

Oltre 15 mila i manifestanti incarcerati solo nell’ultimo mese

Abbiamo intervistato Grigorij Arosev, scrittore e caporedattore di Redakzija Berlin

di Silvia Cegalin

La figura fragile di Elena Osipova, pacifista di 80 anni, trascinata via con la forza dalla polizia russa, e immediatamente incarcerata, è sicuramente una tra le immagini più impressionanti delle manifestazioni contro la guerra in Ucraina svolte in Russia.

Mentre l’irruzione improvvisa nello studio televisivo Channel one della giornalista Marina Ovsyannikova, accompagnata da cartelli contro l’invasione russa dell’Ucraina e la propaganda di Putin, sarà ricordato come tra i gesti mediatici più incisivi, perché espressione del dissenso che si sposta dalle piazze per giungere davanti ad una telecamera che, se fino a qualche istante prima, era veicolo di messaggi istituzionali si è trasformata, per un attimo, in luogo di rivolta.

Dissenso: una parola forte questa, soprattutto se inserita all’interno di un contesto, come quello russo, in cui la sua stessa manifestazione è vietata, talmente vietata da essere punita con l’incarcerazione, se non addirittura con la morte o sparizione stessa del dissidente.

L’energia del dissenso e della manifestazione di un pensiero in opposizione al regime a cui si va contro acquista, dunque, maggior valore in base a dove viene espresso; ed ecco perché Elena e Marina sono volti della libertà di espressione.

Diffusione del dissenso: il ruolo dellinformazione indipendente e dei social

Sono ben 151 le città russe divenute teatro delle manifestazioni contrarie a Putin e alla guerra in Ucraina e, ovviamente, vietate dal regime. Dai dati diffusi da OVD-info, progetto mediatico russo indipendente, si stima che dal 24 Febbraio ad oggi il numero totale di incarcerazioni di manifestanti si aggiri (nel momento in cui scrivo) attorno a 15095.

Come comunicato da OVD, sono stati molti i cittadini russi che fin da subito hanno espresso disaccordo con le azioni delle forze armate russe, disapprovazione sfociata in particolare attraverso lettere e post di denuncia.

Ciò che è evidente, infatti, è che in questa occasione, più di altre volte, il dissenso sia confluito nella rete in una maniera talmente incontrollabile che le autorità del Cremlino hanno dovuto oscurare i principali social network, in quanto si erano trasformati in canali anticensura considerati pericolosi per la stabilità del governo stesso.

Twitter, in particolare, ha fatto da eco per importanti siti informativi indipendenti quali: Activatica, OVD, Meduza, Doxa (giornale studentesco), Echo Moskvy e la bielorussa Nexta, senza le quali per i cittadini russi sarebbe stato complicato capire cosa stava realmente succedendo in Ucraina.

Il caso dell’arresto della manifestante Alexandra Kaluzhskih, ad esempio, è stato tra quelli a fare più rumore: condotta nella stazione di polizia di Brateevo viene offesa e torturata.

Violenze registrate dalla Kaluzhskih e diffuse dal canale, nato proprio a Febbraio, Feminist Anti War Resistance e da Doxa, per poi fare il giro del web.

Ma da inizio Marzo, a causa della legge approvata dalla Duma che prevede 15 anni di carcere per chi diffonde notizie considerate false, molte redazioni sono state chiuse, e i russi si sono trovati così via via sempre più isolati.

La legge sugli agenti stranieri che silenzia attivisti e media

L’isolamento sociale e il bombardamento propagandistico a cui i cittadini russi sono quotidianamente sottoposti non ha diminuito il dissenso. Ciò non sorprende: la Russia ha una lunga storia di dissidenza politica e attivismo, tuttavia parte dell’opinione pubblica europea si aspettava, oltre alle proteste di singoli individui, di assistere ad azioni di rivolta maggiormente organizzate, e l’emergere di collettivi in stile Pussy Riot, e invece questo ancora non si è visto.

Per farmi un’idea più chiara ho contattato Grigorij Arosev, russo di nascita, caporedattore di Redakzija Berlin, settimanale indipendente in lingua russa pubblicato in Germania, e autore di 6 libri.

Una tra le prime cose che mi dice è: «Per quanto riguarda la censura ho le previsioni più pessimistiche: temo che alla fine tutto sarà bloccato. Il dissenso è represso».

Effettivamente in questi ultimi anni il governo di Putin ha approvato misure sempre più oppressive. Tra queste ci sono senza dubbio la legge federale sulle organizzazioni indesiderabili (N 129-FZ) e l’introduzione dello statuto IRIS 2020-1/6 che prevede l’estensione dello status di “agente straniero” dai media agli individui, nonché a quei movimenti pubblici coinvolti nella politica e finanziati dall’estero.

Regola che autorizza l’agenzia governativa Roskomnadzor a punire, multare e sorvegliare tutte quelle persone che possono essere considerate una minaccia per la stabilità del regime. Non stupisce, di conseguenza, la scelta di molti attivisti e dissidenti di lasciare il paese.

Tra esodi e incarcerazioni: la dura vita di chi manifesta il dissenso

Conferma che mi giunge anche da Grigorij che alla mia domanda «chi sono gli attivisti più scomodi attualmente presenti in Russia?» risponde: «Se intendi esattamente quelli che vivono ancora in Russia, allora temo che tutti siano già emigrati. Il regime di Putin non introduce e non introdurrà una cortina di ferro, perché per loro è vantaggioso che le persone dissenzienti lascino il Paese. Pertanto, tra coloro che rimangono in Russia, e allo stesso tempo in generale, penso che non siano quasi rimasti leader».

Effettivamente la giornalista Olga Romanova (Russia Behind Bars) e Victor Shenderovich, figure storiche dell’attivismo russo, hanno deciso di vivere altrove. Victor Shenderovich, tra i primi promotori della campagna online Putin dimettiti, ha preso questa scelta proprio a Gennaio, a seguito della sua iscrizione nell’elenco degli agenti stranieri.

Chi è rimasto, specialmente a causa dell’etichettatura di agente straniero, è costretto a subire sanzioni e arresti talvolta pretestuosi. Lev Ponomarëv (anch’egli definito agente straniero) membro del Movimento Democratico Unito Solidarnost e fondatore di Memorial, organizzazione russa che opera da 80 anni per i diritti umani, è stato arrestato il 20 Febbraio a Mosca in una delle manifestazioni sorte prima del conflitto per rivendicare l’indipendenza ucraina.

La stessa sorte è toccata a molti altri cittadini russi, dal famoso Aleksej Naval’nyj, condannato pochi giorni fa a 9 anni, all’artista femminista Yulia Tsvetkova, accusata di “produzione e diffusione di materiale pornografico” a causa dei suoi disegni ritraenti corpi di donne. L’ennesimo caso di reclusione di attiviste vicino all’area femminista a ai diritti LGBT.

Espatriare è sinonimo di sicurezza?

Chiedo allora a Grigorij se, da espatriati, i russi si sentano più sicuri.

«Quanto alla diffusione delle minacce, in generale, attivisti e oppositori possono sentirsi incomparabilmente più tranquilli all’estero. Perché, francamente, gli attivisti dell’opposizione espatriati non rappresentano una grande minaccia per il Cremlino, soprattutto dopo che quest’ultimo ha censurato qualsiasi fonte informativa dell’opposizione».

«Tuttavia, non si può affermare ciò con assoluta certezza, basti pensare agli avvelenamenti di Sergej Skripal a Salisbury e di Alexander Litvinenko nel Regno Unito, o a quello del bulgaro Emelyan Gebrev. Tutto ciò suggerisce che volendo l’FSB (KGB) può raggiungere le persone ovunque».