Litio, tutti a caccia dell’“oro bianco”

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Litio, tutti a caccia dell’“oro bianco”

La corsa al più leggero dei metalli presenti in natura, con una densità pari a metà di quella dell’acqua, determinerà gli equilibri mondiali per i prossimi decenni.

Una nuova gold-rush è all’orizzonte.

Chi lo sa se fra un po’ di anni vi dedicheranno anche film, serie tv o romanzi come per le esplorazioni di metà Ottocento nelle viscere della California. La corsa a quello che gli esperti chiamano “oro bianco” determinerà gli equilibri mondiali per i prossimi decenni. Parliamo del litio, il più leggero dei metalli presenti in natura, con una densità pari a circa metà di quella dell’acqua. Il litio è tra le materie prime più ricercate, per le sue applicazioni innanzitutto nello sviluppo della mobilità elettrica, ma anche in una varietà di altri campi altrettanto strategici che spaziano dalla metallurgia alla ceramica, alla farmaceutica, sino all’ottica, la purificazione dell’aria, la chimica organica, la fusione nucleare e l’industria militare.

Si comprende allora perché il suo prezzo sia in crescita del 280% da gennaio 2021, sfondando la soglia dei 75mila dollari per tonnellata. Un documento dell’agenzia McKinsey ha messo nero su bianco le proiezioni del trend di mercato del litio, prevedendo una domanda di litio di 3,3 milioni di tonnellate, con un tasso di crescita del 25%.

Perché venga chiamato “oro bianco” immagino adesso sia più comprensibile.

La geopolitica del litio

Il litio, sta letteralmente riconfigurando la geopolitica delle miniere, come non è mai stato fatto per nessun altro minerale nella storia dell’umanità, come l’oro o l’argento, per intenderci.Il Messico ha persino votato per la sua nazionalizzazione, dichiarandone la “pubblica utilità” nell’esplorazione e nello sfruttamento. Neanche a dirlo la Cina, vuole imporsi come leader economico assoluto nel settore, battendo sul tempo gli Stati Uniti. I produttori maggiori a livello mondiale sono per distacco Australia, Cile e Cina.

Il litio e l’Ucraina

Agghiacciante, in questo senso, la chiave di lettura sull’invasione in Ucraina, del Direttore di Oikonova, think tank orientato verso l’economia e lo sviluppo sostenibile, Giuseppe Sabella. In una sua recente intervista, ha ricordato che: ‹‹L’Ucraina ha probabilmente il maggior potenziale di litio dell’intera regione europea, insieme alla Serbia, soprattutto attorno all’area di Mariupol, la città portuale del Donbas, oggi dilaniata dai bombardamenti russi. Inoltre, l’Ucraina orientale è la seconda più grande riserva d’Europa di gas naturale; in Luhansk e Donetsk vi sono enormi giacimenti di shale gas; in Crimea, già annessa dal 2014, vi sono rari giacimenti energetici offshore››.

Nel 2021, ricorda Sabella, che il Governo di Kiev aveva siglato con la Commissione Europea con un partenariato strategico sulle materie prime, fra le cui clausole vi erano i permessi per estrarre il litio dai due depositi nelle regioni di Donetsk e di Kirovograd, vincendo la concorrenza dell’azienda cinese Chengxin.

‹‹Solo tre mesi dopo, Putin scatenava la guerra in Ucraina››. Aggiunge Sabella, concludendo poi: ‹‹Putin ha coperto di retorica le vere ragioni di questa guerra: con la fine della globalizzazione, tutte le grandi potenze sono “a caccia” di materie prime. Da qui, anche, i problemi dell’inflazione. Putin vuole le materie prime dell’Ucraina, da una parte per mettere in difficoltà l’Europa, dall’altra per proporsi alla Cina come primo fornitore››.

Le auto elettriche

E proprio l’accusa all’Unione Europea, che arriva da più parti, di inseguire la transizione energetica, andando incontro a una cessione di sovranità tecnologica soprattutto nei confronti di Pechino, da cui dipendiamo per il litio, ma anche per le Terre Rare con un tasso di importazione pari al 98%, si spiega qui. Lo stesso Sabella ci consegna un’osservazione molto acuta anche in questo caso: ‹‹Se, tuttavia, i grandi costruttori dell’auto hanno così tanto investito per lo sviluppo della mobilità elettrica, non possiamo pensare che si siano condannati alla loro resa nei confronti dell’industria cinese: evidentemente sanno dove andare ad approvvigionarsi. Ed, evidentemente, sanno di poter fare i conti su litio e Terre Rare in quantità tali da non trovarsi in difficoltà con le loro produzioni››.

Ma è uno studio della società di ricerche londinese Benchmark Mineral Intelligence, specializzata negli studi della filiera delle batterie agli ioni di litio per la catena di fornitura dei veicoli elettrici a dirci che, per soddisfare la domanda crescente di batterie per veicoli, serviranno quasi 400 nuovi siti minerari.

Sì, ma dove questi nuovi siti minerari?

Il litio in Italia

In pochi sanno che un recentissimo report del Cnr ha evidenziato una massiccia presenza di litio nel sottosuolo italiano. Il Cnr ha individuato due aree principali ad alto potenziale: la fascia vulcanico-geotermica peritirrenica (Toscana-Lazio-Campania) e la fascia al fronte della catena appeninica (da Alessandria fino a Pescara) La stessa analisi non esclude, inoltre, la presenza di altre zone ricche di litio, essendoci regioni inesplorate come Sardegna e Calabria, oltre che la zona appenninica e adriatica dove ci sono i giacimenti di idrocarburi.

I livelli rilevati dal Cnr sono importanti e descrivono testualmente valori “doppi rispetto a quelli riscontrati nelle salamoie del campo geotermico californiano di Salton Sea, considerato dagli statunitensi come la fonte che permetterà agli Usa di raggiungere l’indipendenza dai mercati esteri del litio”.

I siti e le aziende del settore 

E, le grandi aziende del settore, naturalmente, non stanno a guardare. Una inchiesta di Roma Today ha fatto luce sul pozzo di Cesano 1, lì dove era stata trovata una concentrazione di litio fra le più alte al mondo. Per questo sito l’australiana Vulcan Energy Resources, a gennaio scorso ha ottenuto dalla Regione Lazio un permesso di ricerca nelle campagne romane. Negli ultimi mesi si è aggiunta anche Altamin che, scrive Il Sole 24 Ore, ha chiesto due licenze esplorative in Italia per estrarre il litio da salamoie geotermiche. Altamin è già presente in Italia nelle antiche miniere bergamasche di Gorno, cariche di zinco e piombo.

Il mercato del riciclo e del riuso

Il nostro Paese, si sa, non è mai stato ricco di materie prime ed è riuscito a diventare una potenza industriale planetaria, grazie alle sue maestranze ingegneristiche di trasformare quelle importate. Il litio italiano potrebbe forse, aprire un capitolo nuovo della nostra storia, rendendolo più autonomo ed esportatore di ciò gli inglesi chiamano “raw materials”?

E se sì, a quale prezzo per l’ambiente?

Basti rievocare quanto accaduto nel Sud della, frequentemente citata in questo articolo, California, nella Mojave National Preserve, dove si estende una delle principali miniere di terre rare degli Stati Uniti d’America. Lì, l’attività mineraria ha riversato oltre duemila litri di acque reflue radioattive e altri rifiuti pericolosi nel suolo desertico della regione, innescando una contaminazione da torio. La transizione energetica e l’industria automobilistica del futuro non potranno prescindere dal recupero di materiali rari e finiti. E l’Italia, fino a prova contraria, rimane uno dei leader mondiali nel campo del riciclo e del riuso.