Pink tax, quanto costa esser donna nel marketing e nel genere

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Pink tax, quanto costa esser donna nel marketing e nel genere

Con la nuova legge di bilancio è tornato alla ribalta il tema della tampon tax, ovvero l’aliquota ordinaria iva sugli assorbenti, nonché la pink tax, la tassa rosa riguardante la maggiorazione dei prezzi dei prodotti per le donne.

Dal lancio della bozza della prima manovra di bilancio varata dal nuovo governo targato Giorgia Meloni le polemiche non sono mancate. Il 21 novembre 2022, infatti, è stata la data X che ha messo alla prova la neo premier e il suo esecutivo con un disegno di legge accolto tra dubbi, perplessità e contrasti soprattutto a livello mediatico. I nuovi provvedimenti, infatti, sono ancora in via di discussione. Nello specifico, è tornato alla ribalta il tema della tampon tax, ovvero l’aliquota ordinaria iva sugli assorbenti per le mestruazioni, e la conseguente pink tax, o più semplicemente conosciuta come tassa rosa riguardante la maggiorazione dei prezzi dei prodotti destinati alle donne. Soltanto lo scorso anno sotto il governo Draghi l’iva sugli assorbenti è calata dal 22 al 10 %, ma il nuovo esecutivo vuole fare di più portandola al 5 % permettendo così un ulteriore ribasso nei costi di acquisto. In questo senso, sono molti i Paesi al mondo che hanno mosso i passi nella direzione di non considerare gli assorbenti per il ciclo mestruale un lusso e di abolire direttamente l’iva sul prodotto. 

Come funziona negli altri Paesi

Canada, Australia, Libano, India, Malesia, Irlanda, Giamaica, Tanzania, Nicaragua, Kenya, Malesia, Ruanda e il Regno Unito, che dopo averla abbassata nel 2000 dal 17,5 % al 5 % a gennaio dello scorso anno ha provveduto ad eliminarla del tutto, sono tra i capostipite di questa propaganda. In Europa anche Francia e Germania negli ultimi anni hanno intrapreso questa strada di riduzione dell’iva rispettivamente al 7 % e al 5 %, ma in testa troviamo senza dubbio la Scozia che non soltanto distribuisce gratis i prodotti igienici nelle scuole e nelle università, ma nel novembre del 2020 ha emanato un provvedimento che prevede l’accesso completamente gratuito agli assorbenti per chi ne ha bisogno. Per adesso è l’unico Paese in tutto il globo ad aver adottato un piano così radicale ma negli ultimi anni anche in Italia qualcosa sembra si stia smuovendo a livello culturale, sebbene siano sempre pochi passi rispetto alla strada da fare. A prescindere dalla riduzione dei costi, infatti, sono sempre di più i bar italiani in cui i servizi igienici dispongono di assorbenti da elargire gratuitamente alla propria clientela, anche se in ogni caso il gender gap sembra essere sempre più sostenuto. 

Cos’è la pink tax

Un esempio è dato dal fatto che molti prodotti anche pregiati, come il tartufo che ha ottenuto una riduzione dell’iva al 5 %, hanno un regime agevolato che va dal 10 al 4 % mentre fino a poco fa pannolini e assorbenti avevano un’iva del 22 %. Il punto focale, però, non riguarda soltanto gli assorbenti ma in generale il costo eccessivo dei prodotti femminili rispetto a quelli maschili. Ed è qui che entra in ballo la già citata pink tax, dove partendo dal packaging o dagli elementi che connotano la categoria appartenente si attua una discrepanza e differenziazione di genere e di prezzo con un surplus monetario spesso davvero consistente. Difatti, se consideriamo tutti i prodotti in commercio riservati ad un pubblico femminile, secondo una recente indagine di Federconsumatori, il sovrapprezzo della pink tax ha un valore medio che si aggira attorno al 7 %.

Perché deodorante e profumo femminile costano di più

Per snocciolare un po’ di dati, il deodorante femminile, dunque con la confezione “rosa”, costa il 51 % in più rispetto a quello “blu” indicato come maschile. Così come i profumi femminili costano il 27 % in più rispetto all’equivalente per uomo soltanto perché sono etichettati come indirizzati alle donne con un prezzo extra dettato dal genere. Questo viene spiegato bene dal presidente dell’associazione Michele Carrus il quale afferma che “si tratta di prezzi che aumentano più per esigenze di marketing che per reali caratteristiche”. Per l’appunto tutta la produzione commerciale gira intorno allo stereotipo per cui le donne spenderebbero di più attratte da confezioni particolari o da diciture specifiche dettate dalla moda o dall’apparenza soprattutto per quanto riguarda l’aspetto fisico ”giustificando” così il grande divario dei prezzi tra i prodotti femminili e quelli maschili con la conseguente pink tax. Un ulteriore esempio è dato dalle lamette depilatorie che per quanto siano identiche ai rasoi utilizzati dagli uomini per radersi la barba, facenti parte della stessa tipologia, costano almeno il 20 % in più soltanto per il packaging più elegante e ovviamente per il colore rosa. 

Pink tax e gender gap

Una domanda che nasce spontanea è se la pink tax sia sempre esistita o se la pratica tariffaria di discriminazione basata sul genere sia di recente acquisizione. La realtà è venuta a galla agli inizi degli anni ‘90 quando uno studio dell’ufficio di ricerca dell’Assemblea della California ha rilevato che nelle grandi città statunitensi il 64 % delle attività commerciali applicava un prezzo più alto per lavare a secco una camicia da donna rispetto ad un pantalone da uomo. Nel corso del tempo non soltanto la pink tax non ha subito variazioni ma si è estesa in ogni settore in maniera sempre più preponderante, aumentando così gli sforzi politico-sociali per arginare il problema. Le stesse Nazioni Unite sono intervenute invitando i Paesi ad adottare misure drastiche che comportino la sua totale abolizione per permettere alle donne di entrare in un piano di equità attraverso una partecipazione economica e sociale imparziale. Infatti, un altro esempio simbolico della disparità tra uomini e donne è dato dal gender gap pay, ovvero la paga salariale. Secondo una ricerca effettuata dal Global Gender Gap Report 2022, resa nota dal World Economic Forum, sul punteggio massimo di 1.0 equivalente alla piena parità salariale su 146 paesi solo cinque di questi hanno rilevato un punteggio superiore a 0,80. Tradotto, significa che si naviga ancora in alto mare in questo aspetto e nei molti analizzati finora, nonostante si stiano cercando di attuare politiche sociali mirate. Ciò mette sotto i riflettori la grande discriminazione gender ma è solo parte di un processo di penalizzazione ancor più grande. Difatti, per quanto possa sembrare scontato o banale, la più grande disparità riguarda il sesso femminile nel suo senso intrinseco. La stessa pink tax si applica non soltanto in riferimento al genere, ma anche al sesso in senso stretto a partire dagli assorbenti o dai prezzi per nulla contenuti delle pillole anticoncezionali e altri farmaci simili. Nella mentalità comune, infatti, soprattutto le pillole contraccettive vengono associate soltanto ad utilizzo preventivo per un’eventuale gravidanza come descrive la parola stessa, ma c’è molto di più. 

Quanto costa essere donna
Secondo il Ministero della Salute in Italia tra il 5-20 % delle donne soffrono della sindrome dell’ovaio policistico, nota come Pcos(Polycystic Ovary Syndrome), ovvero una patologia che interessa il sistema endocrino con alterazioni ormonali, metaboliche e formazione di cisti ovariche. Tra i vari sintomi che caratterizzano questa patologia come pelle grassa e acneica, sovrappeso, mal di testa, ansia e sbalzi d’umore, quello più importante riguarda senza dubbio l’irregolarità del ciclo mestruale, oligomenorrea o amenorrea e la presenza appunto di cisti ovariche multiple le quali sono innocue per la maggiore, ma spesso possono anche rappresentare un campanello d’allarme per dei tumori dell’ovaio. Per tutto ciò non c’è una cura specifica, ma soltanto alcuni accorgimenti che la donna può attuare per mitigare le forme più lievi e arginare quelle più gravi come esercizio fisico, perdita di peso e alimentazione corretta. Ma è anche vero che, soprattutto per cercare di regolarizzare il ciclo mestruale ed incentivare l’ovulazione assente, la pillola anticoncezionale è la risposta per una terapia farmacologica mirata. I contraccettivi ormonali, infatti, aiutano nella regolarizzazione del ciclo mestruale e nella correzione delle anomalie ormonali così come in quella dei sintomi. Per le donne che invece intendono programmare una gravidanza, o anche per le donne che hanno problemi di amenorrea, l’assenza di ovulazione potrebbe essere stimolata attraverso dei farmaci. Tutto ciò, sia nel caso dei farmaci stimolanti che nel caso delle pillole anticoncezionali ha un costo. E per niente economico. Chi soffre di questa patologia, difatti, è in un certo senso obbligata a seguire questo tipo di cura e dovrebbe essere aiutata nel percorso di trattamento. Secondo i dati dell’AifaAgenzia italiana del farmaco, in Italia sono oltre 2,5 milioni le donne che assumono la pillola contraccettiva. Anche in questo caso le politiche sociali regionali negli ultimi anni hanno cercato di cambiare rotta e consegnare gratuitamente la pillola nei consultori ad alcune categorie di donne fino ai 25 anni, tra cui la Toscana, l’Emilia-Romagna, la Puglia e la Lombardia. Per quanto il cammino dell’agevolazione e dell’aiuto sia stato intrapreso, le strade da percorrere sono ancora tante e le problematiche da abbracciare anche.