Mattarella in Kazakistan e Azerbaigian, la Diplomazia dei Giusti 

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Mattarella in Kazakistan e Azerbaigian, la Diplomazia dei Giusti 

L’immagine è potente: Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica, in visita ufficiale in Kazakistan e Azerbaigian. Il Capo di Stato di una democrazia matura, al cospetto di due regimi che, con sfumature diverse, rappresentano il paradosso e la complessità dello spazio post-sovietico.

Questo viaggio non è un semplice atto di cortesia diplomatica, ma un preciso segnale di interesse strategico dell’Italia e, per estensione, dell’Occidente intero, verso un’area che ha smesso da tempo di essere la “periferia” per diventare un crocevia geopolitico vitale, una scacchiera su cui si gioca la partita del futuro energetico e dell’influenza regionale. Per comprendere la rilevanza di Astana e Baku, è necessario calarsi nel dramma storico e nella malattia autoritaria che affligge l’ex impero sovietico.

Il Kazakistan e l’Azerbaigian sono figli della dissoluzione dell’Unione Sovietica, due entità nazionali nate da confini tracciati a tavolino dalla burocrazia sovietica, che oggi cercano una propria identità tra spinte pan-turche, l’ombra lunga di Mosca e l’appetito occidentale. La transizione, in entrambi i casi, è stata gestita da élite cresciute all’interno del sistema comunista, che hanno prontamente trasformato la nomenclatura del Partito nel proprio clan familiare al potere, con la promessa di stabilità “solo” a costo di ogni libertà.

Kazakistan, petrolio e gas

Il Kazakistan, il Paese più grande del mondo senza sbocco sul mare, è un gigante dormiente in termini di risorse naturali. La sua importanza per l’Italia è legata indissolubilmente all’energia: è un fornitore chiave di petrolio e gas, essenziale per la nostra diversificazione e per affrancarci dalla dipendenza russa, un obiettivo strategico che accomuna l’intera Unione Europea.

A guidare il Paese, fino a poco tempo fa, c’era l’ex apparatchik Nursultan  Nazarbayev, che ha costruito una satrapia personale fondata su un culto della personalità degno dei peggiori regimi e su un autoritarismo velato. Nonostante una transizione formale, il nuovo presidente, Kassym-Jomart Tokayev, pur avendo promesso riforme, naviga nella stessa tradizione. L’autoritarismo in Kazakistan non si manifesta con l’eccessiva brutalità tipica di Mosca, ma attraverso un controllo capillare delle istituzioni, dell’economia e dei media, garantendo la stabilità in cambio della fedeltà. 

Il Paese si destreggia in un Grande Gioco contemporaneo, bilanciando la tradizionale influenza russa con i massicci investimenti cinesi (legati al progetto Belt and Road) e, ora, con l’interesse occidentale. Essere corteggiati da Mattarella è un modo per Astana di affermare la propria autonomia strategica e di ottenere una legittimazione internazionale che i regimi autocratici, come sappiamo bene, cercano avidamente.

Azerbaigian, tra autoritarismo e gasdotto TAP

Se il Kazakistan è un attore cruciale per le risorse, l’Azerbaigian è un attore aggressivo e determinante nello scacchiere del Caucaso, un’area ad altissima tensione di cui l’Italia è sempre più consapevole. Il Paese è guidato dalla dinastia Aliyev, un’altra famiglia di derivazione sovietica che ha trasformato la nazione in un regno petrolifero e in una potenza militare regionale. Anche qui, l’interesse italiano è pragmatico: l’Azerbaigian è il punto di partenza del gasdotto TAP, fondamentale per l’approvvigionamento del Sud Italia.

Il paradosso dell’Azerbaigian risiede nel suo autoritarismo più scoperto, mascherato da elezioni farsa, e nella sua politica estera che non teme ‘della forza. La vittoria schiacciante sulla rivale Armenia per il controllo del Nagorno-Karabakh è l’esempio più lampante di come Baku abbia riscritto i confini con la forza, in parte scommettendo correttamente sulla debolezza e sull’indifferenza russa (Mosca non ha mosso un dito per difendere il suo alleato armeno). Un ulteriore segnale della volontà azera di affermarsi come potenza autonoma si è manifestato con l’accordo di questa estate, mediato dal Presidente americano Donald Trump. Una iniziativa che, se da un lato ripropone la figura di Trump come mediatore globale e lo avvicina al suo sogno di ricevere il Nobel per la Pace, dall’altro conferma come le potenze regionali e i loro protettori (Turchia e Israele, in primis) stiano gestendo la risoluzione dei conflitti ignorando i tradizionali meccanismi di mediazione europei.

Pragmatismo economico e violazione diritti: qual è la moneta di scambio?

La visita di Mattarella in questi due Paesi solleva il solito, spinoso interrogativo che anima le menti di osservatori e analisti: fino a che punto il pragmatismo economico può spingere le democrazie occidentali a chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti e sull’autoritarismo?

L’Occidente cerca con foga una diversificazione strategica per sfuggire ai ricatti. In questa ricerca di alternative, Kazakistan e Azerbaigian appaiono come partner essenziali. L’Italia, in particolare, sta seguendo la sua vocazione di ponte tra le culture e i blocchi, cercando di garantire stabilità e affari in un’area in cui Russia e Cina sono attori primari.

Il rischio, tuttavia, è quello di cadere in una forma di legittimazione silenziosa di regimi che non condividono i nostri valori.

La visita di Mattarella, pur essendo un atto dovuto per garantire gli interessi nazionali, è quindi un gioco di equilibri delicatissimi e, soprattutto, un monito: nel nuovo Grande Gioco, la democrazia, pur essendo l’ideale dichiarato, rischia di essere la merce di scambio più volatile.