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Orto subacqueo, basilico e lattuga tra le prime piante a nascere

di Simone Cataldo

In Italia ormai da anni ha preso vita il primo orto subacqueo. Dopo alcuni test, basilico e lattuga piantati e “cresciuti” in mare, secondo alcuni esperti, sembrerebbero addirittura risultare migliori dal punto di vista organolettico?

Noli (Savona) – Era il 2012 quando Sergio Gamberini, di professione presidente dell’Ocean Reef Group (azienda a conduzione familiare specializzata in attrezzature e servizi per sub), decise di dare una svolta alla propria vita e al contempo a quella degli italiani. Come lo fece? Il soggetto in questione decide di sperimentare la coltivazione subacquea immergendo una sacca d’aria trasparente nel mare e ancora la stessa sul fondale. L’imprenditore, a seguito di alcuni studi personali e ricerche (lo stesso ammetterà in un’intervista al Gambero Rosso che era solo una prova perché periodo di crisi per la coltivazione del basilico), conclude che l’agricoltura non può esser applicata solamente su terra ferma, bensì anche a qualche metro di profondità nel mare ligure. Un’idea geniale che dà vita, nell’arco dello stesso anno, all’Orto di Nemo. Siamo a Noli, ed è il fondale del Mar Ligure ad ospitare il primo orto subacqueo in tutto il mondo.

Come ogni esperimento che si rispetti, anche quello di Gamberini vive una fase preliminare, giusto un paio d’anni in cui lo stesso è costretto a dire addio ad alcuni raccolti. C’era da aspettarselo, ma è nel 2015 che prende risalto il progetto che vede, a 6-8 metri di profondità del mare, la presenza di alcune biosfere ovvero strutture in plastica trasparente ancorate al fondale e contenenti aria, nelle quali crescono, come suggerisce la regione, basilico e lattuga. Prima l’esperimento dell’Ocean Reef Group viene presentato all’Expo e, da qui, l’attenzione si sposta Oltremanica, quando il famoso giornale Washington Post descrive le cinque biosfere come le serre più belle al mondo.

Da lì in poi il tutto è venuto a galla e sono stati rivelate anche le tecniche di produzione. 

Come nasce l’orto marino?

La scelta, tutt’altro che banale (per tale motivo si stenta a credere, che, come dichiarato dagli ideatori, questa sia solo opera di pura curiosità), vede il fondale marino come ambiente ottimale, se affiancato all’utilizzo di queste biosfere costruite con materiale vinilico. Quest’ultimo permette il filtraggio dei raggi del sole. All’interno di esse è presente una climatizzazione e un’umidità stabile, favorevole alla coltura di basilico e lattuga, e con una temperatura di circa 25° C, grazie anche all’assenza di escursioni termiche che si verificano normalmente con il passaggio dal giorno alla notte. L’acqua seppur ricca di sale non è affatto un ostacolo, dato che all’interno delle biosfere l’acqua marina evapora e si trasforma in dolce. Il tutto è stato reso possibile grazie all’ampio studio delle tecniche delle culture idroponiche subacquee.

In ultimo, anche l’ecosistema marino sembrerebbe giovare di tale invenzione, con i cavallucci marini che hanno trovato al di sotto delle biosfere un ambiente favorevole alla riproduzione e all’allevamento dei piccoli. Curiosi, ma forse con un pizzico di timore in più, granchi e polpi che hanno fino ad ora solamente “dato un’occhiata” all’orto di Nemo.

Tutto bello e affascinante, come mai allora questo progetto che cavalca l’onda della sostenibilità, non viene ancora applicato? Inoltre, perché se il prodotto seppur buono e apprezzato non viene commercializzato? Ci eravamo dimenticati di specificare che in questo caso viene a mancare, per fortuna, l’uso di pesticidi, dal momento in cui le piante non sono aggredibili da insetti o parassiti, permettendo una vera e propria produzione biologica. Insomma, progetto ineccepibile, apprezzato anche all’estero, ma che non prende quota in Italia.

Il totale contrario di quello che è avvenuto in Giappone con la lattuga hi-techt o le erbe selvatiche che a Londra crescono all’interno degli ex rifugi antiaerei. A questo punto, risulta naturale capire il perché non venga impiegato a pieno, tanto più che sembrerebbe poter rientrare tra i metodi in grado di ridurre lo sfruttamento delle risorse del pianeta.