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Tunisia, Bouazizi si diede fuoco 11 anni fa. Cosa è accaduto da allora

di Simone Cataldo

Da una rivoluzione a un’altra, a undici anni dalla Rivolta dei Gelsomini, la Tunisia continua a vivere periodi di profonda crisi. Un decennio di proteste e di processo democratico non sono serviti a spazzare via le paure dittatoriali e autoritarie.  

Da un corpo bruciato a un corpo bruciato; da manifestazioni e proteste popolari a manifestazioni e proteste popolari; dai comitati di difesa civica al movimento “Cittadini contro il colpo di Stato”; da una crisi umanitaria a una crisi umanitaria. Cos’è cambiato in Tunisia negli ultimi dieci anni? A cosa sono valse le morti di centinaia di cittadini a difesa dei loro diritti e di chi ha tentato di scappare via mare?  

Mohamed Bouazizi si diede fuoco 11 anni fa, ora la stessa sorte per Neji Hefiane

Sono passati undici anni da quel 17 dicembre che vide Mohamed Bouazizi darsi fuoco davanti alla sede del governatorato di Sidi Bouzid dopo l’ennesimo sequestro della propria merce ma, in particolar modo, del passaporto e della licenza di commerciante che gli permettevano di mandare avanti la propria famiglia. Della moglie e dei figli lasciati soli in una terra devastata dalla crisi politico-sociale non se ne è più saputo nulla, e nel frattempo lo scorso 6 settembre anche Neji Hefiane all’età di 26 anni si è dato fuoco, perché il governo non lo ha mai risarcito dei danni subiti nel 2011, durante le proteste. Il primo con il suo “sacrificio” ha segnato la storia del Paese, perché proprio undici anni fa ebbe inizio il processo di democratizzazione tunisino che, ancora oggi, non si è concluso. Anzi, quanto sta accadendo nel paese africano ci riconduce per alcuni tratti a un nuovo conflitto interno tra popolo e governo. La Tunisia è stata messa in ginocchio dalla pandemia da covid-19, con la disoccupazione oltre il 20 per cento, una crisi sanitaria in corso e continue manifestazioni di protesta contro l’attuale governo guidato da Kais Saied che hanno portato a nuove prove di forza da parte delle forze dell’ordine che, sotto comando del governo, reprimono le proteste con migliaia di arresti senza processo e torture. In tutto questo, Luigi Di Maio e Luciana Lamorgese hanno deciso di finanziare le autorità locali per il ripristino dei voli di rimpatrio e le procedure di espulsione semplificata, in quanto “i tunisini non scappano da una guerra e la Tunisia rientra tra i Paesi sicuri e in cui vige una democrazia”.  

Cosa succede in Tunisia dal 2011 in poi

Poco più di un decennio fa, in questo periodo, il popolo tunisino aveva deciso di alzarsi in piedi e denunciare le ingiustizie come la corruzione, l’assenza delle libertà individuali, la violazione dei diritti umani e la mancanza di interesse per le condizioni di vita dei più poveri. I generi alimentari scarseggiavano, i prezzi delle materie prime erano sempre più alti e vaste fasce di popolazioni vivevano una condizione riconducibile alla crisi alimentare del 2006. In questo contesto Mohamed Bouazizi si dà fuoco, scatenando nel giro di poche ore la rivolta dei cittadini più giovani che denunciavano l’alto tasso di disoccupazione.  

Si susseguono mesi di guerriglia e confusione, con il 2011 che apre nel peggiore dei modi: il weekend dell’8 e 9 gennaio verrà ricordato come il fine settimana nero, moriranno 25 manifestanti in seguito all’uso di armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine. Lo stato di emergenza, la salita al potere del primo ministro Mohamed Ghannouchi che sostituisce Ben Ali e la nomina di presidente supplente di Fouad Mebazaa non serviranno a placare le rivolte sociali. L’esercito, al contrario della polizia, si rifiuta di sparare sui manifestanti, così Ali dall’Arabia Saudita comanda alle sue milizie private di reprimere le proteste, mossa che porta a un’unione tra gruppi di volontari (comitati di difesa civica) ed esercito che creano sbarramenti improvvisati per controllare le vie d’accesso dei quartieri di Tunisi e non solo. Ciò porta a uno scontro sanguinoso tra esercito e le milizie di Ben Ali il 16 gennaio che conta 78 morti e 94 feriti, oltre al fallimento dell’ormai ex dittatore che desiderava sondare il terreno per un colpo controrivoluzionario che consentisse il suo ritorno in Tunisia. Serviranno altri cinque morti per far dimettere Ghannouchi sostituito dall’ex ministro degli esteri Beji Caid Essebsi, che condurrà il Paese fino alle elezioni dell’Assemblea costituente del 23 ottobre 2011. Si insediano così i maggiori partiti d’opposizione ovvero: il partito islamico moderato Ennahda con il 37 per cento dei voti e 89 seggi, Congresso per la Repubblica con l’8,7 per cento dei voti e 29 seggi e infine Forum democratico per il lavoro e la libertà. Questi porteranno il 26 gennaio del 2014 all’entrata in vigore della nuova Costituzione che, almeno allora si credeva, avrebbe offerto maggiori garanzie di libertà e uguaglianza.  

La Tunisia oggi

Dal gennaio 2011 al gennaio 2021: in Tunisia la gente scende nuovamente in piazza per protestare contro una crisi acuita dal fenomeno pandemico e che porta sempre più giovani a fuggire dal Paese pur di sperare in una nuova vita in Europa. A maggio sono le donne a tenere manifestazioni a Tunisi per rivendicare i diritti e le tutele nel lavoro e all’interno delle famiglie. Ma il 25 giugno gli scontri tra polizia e manifestanti danno vita a una spaccatura tutt’oggi irreparabile che porta alla morte del giovane Ahmadi deceduto dopo l’arresto e all’oltraggiosa aggressione a Fadi in piazza, con calci e pugni, dopo esser stato denudato. Il disordine è anche politico, così il primo ministro Mechichi il 21 luglio licenzia il ministro della sanità Faouzi Mehdi perché accusato del crollo del Paese durante la pandemia, ormai devastato dalla quarta ondata. Quattro giorni dopo, in occasione del 64esimo anniversario dalla proclamazione della Repubblica tunisina, Kais Saied destituisce Mechichi e sospende il parlamento per trenta giorni, appellandosi all’articolo 80 della Costituzione che prevede tali provvedimenti in occasione di emergenze che mettono a rischio la Repubblica. Un mese dopo Saied proroga fino a nuovo ordine le misure adottate e, nonostante le critiche e il richiamo al golpe da parte dell’opposizione politica, chiama Najla Bouden a formare un nuovo governo, con questa che diventa la prima donna a ricoprire tale incarico nella storia del Paese.  

Nonostante ciò, non sono placate le proteste negli ultimi tempi, con la popolazione tunisina che continua a temere la deriva autoritaria e dittatoriale in quanto nessun decreto di Saied è impugnabile – fondamentale in questo discorso è l’assenza della Corte costituzionale, organo presente in ogni democrazia ma non ancora in Tunisia – e perché i limiti annunciati lo scorso 25 luglio non sembrano essere più delle misure eccezionali limitate nel tempo. Pertanto, lo scorso 9 novembre è nato il movimento “Cittadini contro il colpo di Stato”, intento, come i gruppi civici del 2011, a riunire le forze partigiane per opporsi al tentativo di golpe. La risposta del presidente della Repubblica è arrivata puntuale poche ore fa. Saied ha esteso la sospensione del Parlamento fino alle elezioni legislative del 17 dicembre 2022. Allo stesso tempo ha annunciato l’avvio dal 1° gennaio di una serie di consultazioni popolari riguardo le riforme costituzionali ed elettorali che, dopo un’attenta osservanza da parte dei membri di una commissione interna, verranno sottoposte a referendum il prossimo 25 luglio – ad un anno dalla presa di potere dello stesso.  

Gli sbarchi tunisini in Italia

Nel frattempo, dal 2020 a oggi, sono aumentati gli sbarchi a Lampedusa dei tunisini, a causa di un Paese che è sempre più in crisi. Come abbiamo visto in dieci anni nulla è cambiato, anzi, forse la pandemia ha fatto compiere altri passi all’indietro. Un uomo ha assunto il potere assoluto, nominando un governo provvisorio pur di accontentare le piazze, ma continua a prendere a calci il concetto di democrazia e, come mostra il video-inchiesta della Rai “La via del ritorno” pubblicato poche ore fa, il Paese è al collasso e la gente è disposta a morire tra le acque gelide degli oceani pur di non continuare a vivere in Tunisia.