I working poor. Quando il lavoro (non) nobilita l’uomo

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I working poor. Quando il lavoro (non) nobilita l’uomo

working poor

di Marco Bellinzona e Simone Zanotti

Se un tempo si diceva che il lavoro nobiliti l’uomo, oggi il proverbio sarebbe da rivedere. In Italia infatti non è più scontato che sia così, visto che più di un lavoratore su dieci non guadagna abbastanza per vivere dignitosamente.
In altre parole, il lavoro non nobilita quasi 3 milioni di lavoratori italiani.

I working poor, una nobiltà senza titoli

In Italia rappresentano una percentuale considerevole sul totale della forza lavoro, anche se il termine che li descrive è inglese: working poor. Secondo la definizione dell’Eurostat, un lavoratore povero ha un impiego per la maggior parte dell’anno (almeno sette mesi), ma il reddito complessivo del suo nucleo familiare è inferiore alla soglia di povertà – fissata al 60% del reddito mediano nazionale. Praticamente le famiglie dei working poor italiani vivono con meno di 19mila euro l’anno.

Gli indicatori dell’Eurostat considerano i redditi della famiglia, ma facendo i conti sul singolo lavoratore risulta uno stipendio netto inferiore agli 11,5mila euro.

In-work poverty: la situazione italiana

Stando ai dati dell’Eurostat (aggiornati al 2021), il fenomeno della in-work poverty riguarda l’11.7% della forza lavoro italiana. È una percentuale che ci piazza parecchio sopra la media europea, ferma all’8.9% (dati aggiornati al 2021).

Percentuale working poors sul totale della forza lavoro.

Come si distribuiscono in Italia?

Anche se il fenomeno della in-work poverty è diffuso in tutto il paese, si registra una concentrazione più alta di working poors al Sud e nelle Isole.

È un fenomeno che riflette pienamente la questione del gender pay gap, visto che in proporzione sono più donne che uomini a rientrare nella categoria dei working poors.

Ultimo dato significativo (ma non certo meno importante) riguarda la fascia d’età: i lavoratori poveri sono principalmente giovani under30, con una concentrazione maggiore fra i 15 e i 19 anni.

Working poors in Italia (Tortuga).

Perché il lavoro non nobilita?

Anche se si tratta principalmente di una questione monetaria, la in-work poverty non ha una causa univoca. Certo, sicuramente incide la contrazione dei salari, un problema tutto italiano visto che siamo l’unico paese dell’area OCSE in cui la retribuzione media è addirittura diminuita negli ultimi trent’anni (-2.9% rispetto al 1990) – contrazione a cui non corrisponde una diminuzione dei prezzi, che invece sono aumentati.

Crescita dei salari in area europea (Openpolis).

L’altro corno del problema è la questione della precarietà lavorativa: la in-work poverty non è solo una questione monetaria, ma anche di stabilità del contratto. È anche questo un problema peculiarmente italiano, visto che ad aprile di quest’anno abbiamo raggiunto il picco di precari. In Italia, tre milioni e 116mila lavoratori sono assunti con un contratto a tempo determinato.

Il vero problema della povertà lavorativa

La condizione di povertà lavorativa è ovviamente un problema di natura economica, ma sulla popolazione italiana pesa anche come questione psico-sociale. Secondo gli ultimi studi dell’UE, la in-work poverty sarebbe causa di disturbi sulla salute mentale, correlati ovviamente a una minor qualità di vita e motivo di difficoltà sull’inclusione sociale.

Sotto questo punto di vista, il “lavoro che non nobilita” non incide solo sulla finanza, ma ha ripercussioni anche sulla dignità della persona. Per questo, il vero problema dei working poor è di non riuscire a raggiungere i requisiti economici per accedere alla vita sociale, rimanendo inevitabilmente emarginati ed esclusi.

È una questione che riguarda più del 10% della forza lavoro italiana, con una concentrazione particolarmente elevata fra i giovani – cioè quella parte di popolazione che più avrebbe bisogno di sentirsi socialmente inclusa.

Allora non possiamo limitarci a considerare la in-work poverty come un problema individuale del lavoratore, che dovrebbe risolvere autonomamente con i propri mezzi: in gioco c’è una questione di salute e di inclusività sociale.

Quando il lavoro non nobilita, lede la dignità delle persona. Allora non è più solo una questione economica, ma anche umanitaria.