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Case di riposo, da mestiere a rischio a mestiere del rischio: una novantina gli operatori non vaccinati nelle prime 500 strutture controllate

di Simone Cataldo

Nel pieno di una campagna vaccinale c’è chi, seppur a contatto con “soggetti a rischio” delle Rsa, decide di non rispettare le regole. In questo caso, l’irregolarità commessa è la mancata copertura vaccinale di diverse persone operanti all’interno delle strutture ricettive per anziani, le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa). Sono 87 le persone che, seppur prive di vaccinazione anti-Covid, operavano nel pieno della propria professione, incuranti delle possibili conseguenze di un gesto di una portata negativa enorme. Il tutto è venuto alla luce da un’operazione della sezione Nas dei Carabinieri i quali, d’intesa con il Ministero della Salute, hanno realizzato una serie di controlli in questo mese di maggio per poter capire meglio quale sia la situazione nelle Rsa, all’indomani dell’apertura alle visite da parte dei familiari e visitatori proventi dall’esterno,

I controlli hanno coinvolto 572 strutture sanitarie e socio-assistenziali e in 141 di esse sono state constatate delle irregolarità. Si tratta del 25% delle strutture controllate, una su quattro, e all’interno di esse sono state contestate 197 violazioni penali e amministrative per un totale di 43mila euro; inoltre sono state deferite 36 persone all’Autorità giudiziaria e segnalate altre 136 alle Autorità amministrative. Ma ciò che emerge è il fenomeno della mancata copertura vaccinale da parte di operatori delle strutture, seppure da aprile scorso sia diventata obbligatoria per il personale delle Rsa. Sono 42 le strutture in cui è stato rilevato questo problema che ha visto coinvolte, nelle varie province, 87 persone tra cui infermieri, fisioterapisti, operatori socio-assistenziali e, per il resto, altre figure del personale a contatto diretto con i soggetti anziani. Insomma un numero di certo non esiguo.

Si tratta di una serie di controlli effettuati solo in piccola parte, con la prima decade che verrà seguita da ulteriori accertamenti e controlli, azioni che potrebbero portare a galla altre irregolarità e defezioni. Nello specifico caso è evidente come la conseguenza principale sia quella di contagi, non tanto in relazione ai soggetti ospitati che, essendo “soggetti a rischio” avranno quasi tutti già una parziale copertura vaccinale, bensì per coloro che si apprestano a fare visita agli anziani, i quali nel caso in cui dovessero contrarre il Covid-19 avvierebbero una catena di contagio che andrebbe a influire negativamente sulla campagna vaccinale che ha preso piede nel nostro Paese nel corso delle ultime settimane.

Le criticità presenti tra sistema e Rsa

Il mancato rispetto delle ottemperanze non viene soltanto però dai semplici lavoratori, ebbene sì perché, se un semplice cittadino volesse mai affrontare o venire a conoscenza delle morti all’interno delle strutture per anziani, andrebbe in affanno. A raccontarlo è stata nel mese di marzo la dottoressa del Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale della Bocconi, Sara Berloto, la quale ha tenuto a specificare come l’Italia sia «l’unico grande Paese europeo che ancora non dispone di dati certi e ufficiali circa l’andamento di contagi e dei decessi nelle strutture per anziani, poiché i dati ufficiali della Protezione Civile e del Ministero della Salute continuano a non offrire il dettaglio su quanto accade all’interno delle strutture, lasciando un grave vulnus nel sistema conoscitivo circa la diffusione del virus nelle strutture socio-sanitarie nel corso della seconda ondata». Frasi dure e al contempo chiare, che aprono dunque a una certezza ovvero l’implicazione che molte scelte che hanno riguardato la gestione nelle Rsa sono state prese senza dati a supporto.

Di contro a partire dalla seconda ondata e soprattutto negli ultimi mesi nelle Rsa si è fatto un grosso passo in avanti grazie alla garanzia del fornimento di dispositivi di protezione individuale, oltre che offrire a dipendenti e soggetti ospitanti la possibilità di fare un tampone assicurando dunque il monitoraggio degli ospiti e l’inclusione nel bollettino nazionale dei casi rilevati. Una situazione differente da quanto accadeva nelle primissime settimane dell’anno quando a farla da padrone erano i continui focolai che si venivano a creare all’interno delle strutture.

Gli ultimi dati certi ai quali si è data anche importanza a livello statistico risalgono a giugno 2020, quando l’Istituto Superiore di Sanità ha deciso di lanciare una Survey nazionale sul contagio da Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie, grazie al quale si aveva contezza a livello numerico dell’impatto della pandemia su tali strutture, fino a quel momento. Su oltre 1300 Rsa si registrava un tasso di mortalità pari al 9,1%, con la percentuale maggiore di decessi che ha visto in vetta alla classifica relativa ai decessi la Lombardia (41,4%) e il Veneto (18,1%). I dati parlavano di 9.154 decessi totali da inizio pandemia fino al momento citato, con soli 680 di essi che erano risultati positivi al tampone poche ore prima del decesso. Sempre secondo ISS gran parte dei decessi possono essere correlati a positività o sintomi simili da quelli causati dal Covid-19, con il tasso di mortalità che in questo momento è pari al 3,1% all’interno di una Rsa italiana.

A livello più generale, invece, le criticità che spesso si presentano nella gestione in RSA si possono individuare in tre ambiti principali. Il primo riguarda l’isolamento dei pazienti per gran parte del tempo e la mancanza di coordinamento con le autorità sanitarie. Il secondo punto critico prende in considerazione le difficoltà nello screening degli operatori, a cui si affianca, appunto, l’assenza di dati per capire quali soluzioni adottare e le scarsità iniziali di dispositivi di protezione. Infine è venuta meno la sostenibilità finanziaria delle strutture, fortemente compromessa dall’assenza di misura nazionale o regionali per sostenere le spese e l’assunzione di nuovo personale.