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Donne e arte. Quell’invisibile linea di colore rosa

di Lorenza Cianci

Uninvisibile linea di colore rosa attraversa la crisi del comparto culturale durante la pandemia da Covid-19. Se il virus non ha guardato in faccia nessuno, non possiamo dimenticare che le ricadute sociali della pandemia non possono essere neutre in una società ancora caratterizzata da disparità di genere. Soprattutto quando, per le donne impegnate nel settore artistico, si affronta il tema dellaccesso ai ruoli leadership.

Essere o non essere direttrice? È il nodo gordiano su cui il popolo del social web nelle ultime ora si sta scatenando, dopo che, al Festival di Sanremo, Beatrice Venezi ha corretto il direttore artistico e conduttore Amadeus che l’ha presentata come “direttrice” d’orchestra, dicendo di trovarsi più a suo agio nel ruolo di “direttore”. Siamo di fronte a un libero rifiuto di un binarismo nella definizione di se stesse, oppure il tema è legato, in modo problematico, alla rappresentazione della donna nella leadership artistica? E quale dimensione prende questo tema, durante la crisi occupazionale causata dalla pandemia da Covid -19?

Sulla rappresentatività delle donne in luoghi leadership si era espressa Elena di Gioia, direttrice artistica e per quattro anni curatrice della rassegna bolognese Bè bolognaestate, curata dal Comune. Così, infatti, ha risposto, sulla testata “Teatro e Critica”: «le donne abitano generosamente i teatri, ma non ancora le direzioni. D’altro canto, è un problema che investe ogni ambito dirigenziale nel nostro Paese. E il linguaggio, come sempre, ne è specchio». Il commento era al bando per la selezione pubblica al ruolo di “direttore” del Teatro Fondazione Emilia-Romagna, scaduto lo scorso 8 febbraio. Il collettivo di artiste Amleta, sulla stessa linea, aveva ideato una contro-selezione al bando di Teatro Fondazione, declinata questa volta anche al femminile, per incoraggiare le donne a partecipare. E, soprattutto, per riflettere sull’assenza di figure apicali nel mondo artistico. Che testimonia, secondo le attiviste, una grave stereotipia strutturale.

Il problema sembra, infatti, provenire da lontano. E, leggendo le interviste che annose sono su tanti web journal che se ne sono occupati, ci sembra quasi scontato giungere alla conclusione che non possa esistere democrazia negli effetti di una crisi se il mondo della cultura, di base, è disuguale, nel rappresentare donne e uomini.

Andando ancora indietro nel tempo e spostando la lente sul quadro internazionale, possiamo citare, sulla questione, le parole della curatrice artistica londinese Kate Deepwell: «Quando io e un altro relatore abbiamo presentato i livelli di rappresentazione delle donne artista, abbiamo scatenato una reazione negativa nell’audience, e in particolar modo di molti giovani curatori presenti. L’argomento della loro critica era che le cifre sulle proporzioni tra artisti uomini e donne nelle mostre e nella società non sono pertinenti e che citarle o usarle non solo era inadeguato, ma nemmeno permissibile»

Prendendo spunto dall’invito a guardare le cifre di Kate Deepwell, prima di esprimere un giudizio complessivo, ne citiamo alcune.

Secondo il report “Donne artiste in Italia. Presenza e rappresentazione” curato dal dipartimento di Arti Visive di NABA (Nuova Accademia delle Belle Arti di Milano) che raccoglie dati dal 2016 al 2018, le donne che intraprendono gli studi accademici in campo artistico sono più del doppio degli uomini: il 67%. Le donne non solo hanno una forte propensione agli indirizzi creativi ma, nei luoghi di formazione, il genere non rappresenta un elemento di marginalizzazione. Secondo l’indagine “Vite da artisti”, le donne sono circa il 45 % delle lavoratrici nel settore creativo a livello nazionale. Di questa percentuale, l’80% è impegnata nel settore della danza e delle arti performative .

Se invece il focus si sposta al grado di rappresentatività delle donne nel campo dell’arte successivo al periodo di formazione, il quadro cambia radicalmente. Nelle gallerie di arte contemporanea in azione dal 2000, le opere di artiste donna esposte sono solo il 27% rispetto a quelle dei colleghi uomini. Anche le mostre personali, curate da donne, all’interno di gallerie commerciali di arte contemporanea, sono in media la metà rispetto a quelle curate da uomini.    

Il dato più evidente, però, è quello che riguarda le mostre temporanee. Se l’uomo allestisce l’81% delle mostre personali temporanee, solo il 24% delle artiste donne espone proprie opere in mostre collettive, il cui 76% restante è rappresentato da opere di artisti uomini: «Questo dato acquisisce un particolare rilievo se si considera l’impatto che le mostre individuali in istituzioni culturali di rilievo nazionale rivestono per gli artisti, nei termini di una conferma e di un consolidamento dei percorsi individuali» conclude il Report del NABA.

È chiaro quindi che la mancanza di rappresentazione dal basso delle donne artista, attraverso se stesse e le proprie opere, determina una forte difficoltà a raggiungere i livelli più alti della leadership artistica. E, naturalmente, nell’abbattimento dello stereotipo che vede nel “genio artistico” un attributo ancora principalmente maschile.

I dati, infatti, si fanno ancora più evidenti andando a scavare nel mercato dellarte, prendendo in considerazione i lotti dei cataloghi delle case d’aste. Nel 2016, su 100 opere, solo 5 hanno firme al femminile. Ha fatto scalpore il confronto tra il prezzo di mercato di 76mila euro e 800 di “Oggetto ottico dinamico” di Dadamaino quotato, nel top lot – Arte Moderna e Contemporanea Milano, 2016 messo a confronto con “Sofa” dell’artista Domenico Gnoli, di quasi 2 milioni e 600 mila euro.

Sebbene negli ultimi anni si percepisca il sentore di una tendenza positiva, i dati del reparto audiovisivo non sono molto incoraggianti. Secondo il report Where are the women directors? Report on gender equality for directors in the European film industry, nel periodo tra il 2006 e il 2013, le donne che hanno studiato cinema e si sono diplomate sono il 44% nei Paesi europei. Ma, per converso, solo il 16% dei film a finanziamento pubblico è diretto da donne registe. I dati, secondo il seminario sulla “Gender equality”, nel contesto della Mostra del cinema di Venezia- 2019 sembrano segnalare un trend positivo (con un + 4 % negli ultimi anni), ma siamo ancora lontani dall’ideale quota del 50 a 50.

Sulla rappresentazione delle donne artiste in una prospettiva futura, post- pandemica, ancora si sono fatte solo previsioni. Ma i dati che sono precedenti la pandemia ci devono portare a riflettere se sia veramente lecito parlare di crisi democratica del comparto culturale, sulla base dei profondi squilibri di genere a monte del processo. Quando ancora, ad esempio, per un’indagine dell’Eurobarometro, il 51% degli uomini italiani ha dichiarato che sia naturale che le donne si prendano cura della famiglia e che il successo sia una prerogativa dell’uomo. Per un approfondimento sul tema, “In genere”, MICHELA APREA, Essere artiste durante la pandemia , 30 ottobre 2020

Da questi dati si dovrà partire per fare i conti con gli squilibri profondi che la crisi occupazionale da Covid-19 metterà in moto, appunto, su quell’invisibile linea di colore rosa che rischia di sparire nelle maglie dell’utopia di una crisi da Covid 19 del tutto democratica.