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Giornalismo d’inchiesta e omicidi: così muoiono nel mondo i cercatori di verità

Le statistiche sui cronisti assassinati si aggravano. Anche il 2021 annus horribilis 

di Paolo Trapani 

Giancarlo Siani (23 settembre), Jamal Khashoggi (2 ottobre), Anna Politkovskaja (7 ottobre), Daphne Caruana Galizia (16 ottobre): quattro giornalisti, quattro casi molto conosciuti, quattro cronisti uccisi perché cercavano e raccontavano la verità. Se le date sono importanti per la storia dell’uomo, il calendario tra fine settembre e metà ottobre è pieno di queste, alla voce “Cronisti assassinati“. E gli ultimi anni delineano un trend nerissimo per il giornalismo d’inchiesta. Questa tendenza si conferma negativa anche nel 2021.

Secondo le statistiche più aggiornate, che sono state elaborate da Reporter senza frontiere (Rsf), solo nel 2020 nel mondo sono stati uccisi 50 giornalisti. In un decennio le vittime sono state addirittura 937. In nove casi su dieci questi omicidi restano impuniti. La maggior parte dei reporter è stata assassinata perché indagava su temi come la corruzione, la criminalità organizzata o lo scempio ambientale. Molti sono anche i casi di cronisti uccisi mentre documentavano proteste e manifestazioni.

La lista nera delle aree più pericolose, sempre per quanto accertato a tutto il 2020, vede in testa alla classifica dei Paesi più a rischio l’Iraq, l’Afghanistan, l’India e il Pakistan. Primo per numeri assoluti di vittime, con 8 reporter assassinati in un solo anno, è invece il Messico: qui, da tempo, coraggiosi cronisti indagano sui cartelli dei narcos della droga e sulla corruzione politica. Se si confrontano i dati tra il quinquennio appena trascorso e quello immediatamente precedente, gli omicidi di giornalisti sono aumentati del 18%. Non si muore solo ed esclusivamente nei Paesi dove ci sono guerre e conflitti, ma anche nei Paesi ufficialmente “in pace”. 

Le statistiche sui crimini più efferati sono soltanto una parte, quella sicuramente più drammatica, di un fenomeno molto profondo e diffuso: migliaia nel mondo sono i cronisti sequestrati, minacciati o che vivono sotto scorta. E anche quello in corso è un anno nero per i reporter. Nei primi nove mesi del 2021 si sono già verificati diversi casi di cronisti vittime di agguati e imboscate. 

Ad inizio aprile ad Atene, Giorgos Karaivaz, giornalista della televisione greca Star Tv, è stato colpito da numerosi proiettili mentre tornava a casa. Il giornalista aveva lavorato con molti organi di stampa ed aveva fondato il blog di notizie bloko.gr. Secondo i media ellenici i mandanti dell’omicidio potrebbero essere esponenti dei clan criminali oggetto delle sue inchieste.

In Burkina Faso, a fine aprile, in seguito ad un attacco jihadista, sono morti David Beriain e Roberto Fraile, entrambi spagnoli. Il primo, giornalista e documentarista, era conosciuto perché autore di diversi reportage su temi come mafia e traffici illeciti (il suo lavoro più noto è il documentario “Il mondo dei Narcos”). Il secondo era un fotografo e cameraman, presente su tutti i principali fronti di guerra negli ultimi anni. Beriain e Fraile sono stati assassinati mentre lavoravano a un documentario sul governo del Burkina Faso e sul bracconaggio armato. 

A inizio luglio, in Afghanistan, è morto il reporter e fotografo della Reuters, Danish Siddiqui. È stato ucciso mentre seguiva gli scontri tra le forze di sicurezza afghane e i talebani vicino alla frontiera con il Pakistan. Siddiqui faceva parte del team Reuters che nel 2018 aveva vinto il premio Pulitzer per la fotografia. 

A metà luglio, ad Amsterdam, è stato assassinato Peter R. De Vries, noto per i suoi reportage sulla malavita olandese. Il cronista investigativo, subito dopo una apparizione in tv, era stato raggiunto da diversi colpi d’arma da fuoco alla testa.

A fine luglio a Guaymas, in Messico, il giornalista Ricardo Domínguez López è stato freddato con un colpo di pistola calibro 38. Secondo quanto ipotizzato dalla polizia dello Stato di Sonora, il movente dell’omicidio andrebbe attribuito ad alcune inchieste che il reporter aveva svolto proprio a Guaymas. A marzo scorso, inoltre, aveva denunciato sia la scomparsa di un collega sia di aver ricevuto minacce. 

La libertà di informazione è fortemente a rischio in molte aree del mondo, dovendo fare i conti non solo con gli scontri armati nelle zone a maggior incidenza di conflitti, ma anche con i numerosi regimi totalitari e repressivi. In molte circostanze poi, i cronisti indagano in aree molto pericolose, divenute “terra di nessuno“, dove imperversano le organizzazioni criminali.

Secondo le ricerche di Reporter Senza Frontiere, sulla libertà di stampa nel mondo, il 73% dei 180 Paesi che sono stati valutati è caratterizzato da situazioni ritenute ‘gravissime’, ‘difficili’ o ‘problematiche’ per la professione di giornalista. Il Paese migliore è la Norvegia, al primo posto per il quinto anno consecutivo nella classifica stilata da RSF. È davanti a Finlandia, Svezia e Danimarca, e l’Europa rimane in generale la zona del mondo meno a rischio. Qui la Germania è in 13esima posizione, la Francia al 34° posto e l’Italia 41esima.