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‘Io sono incinto’: la campagna di solidarietà maschile per Lara Lugli, la pallavolista denunciata perché incinta

di Coraline Gangai

L’8 marzo, la data in cui viene celebrata la Giornata Internazionale della Donna, è passato ormai da qualche giorno. Una ricorrenza in cui a fare da padrona sono, oltre alle mimose, post e belle frasi sul valore delle donne e dei loro diritti e sull’importanza del rispettarle tutto l’anno, non solo in occasione di quella data. In questi anni di lotte femministe alcuni passi in avanti sono stati fatti, ma la triste vicenda di cui Lara Lugli è stata protagonista fa pensare il contrario e sembra riportarci indietro nel tempo.

La storia di Lara Lugli: dalla gravidanza alla denuncia

Classe 1980, la pallavolista è stata denunciata per danni dalla società sportiva per cui lavorava perché incinta. Lo ha raccontato in un lungo post su Facebook, pubblicato proprio in occasione della giornata dedicata alle donne.
Nel campionato 2018/2019 Lara giocava per la squadra Volley Pordenone quando è rimasta incinta e il 10 marzo lo ha comunicato alla Società. A quel punto il suo contratto con la società viene risolto (non essendo considerate professioniste, ma dilettanti, per le atlete del volley femminile non esiste alcuna forma di garanzia che tuteli la maternità).

Lascia quindi la squadra, ma in seguito a un aborto spontaneo perde il bambino. L’8 aprile lo comunica alla società e chiede che le venga corrisposto lo stipendio di febbraio, avendo lavorato tutto il mese.
Passano due anni e la risposta dalla società arriva, ma non è quella che Lara si aspetta: il 26 febbraio 2021 riceve una mail del suo avvocato che le comunica che la società non solo l’aveva citata per danni, in risposta al decreto ingiuntivo da lei presentato e in cui chiedeva di essere pagata per il mese di febbraio, ma l’accusava anche di “aver violato i vincoli contrattuali in quanto al momento dell’ingaggio non aveva dichiarato di voler avere figli”.

Come ha spiegato l’atleta nel suo sfogo social: “Le accuse sono che al momento della stipula del contratto avevo 38 anni. Data la veneranda età dovevo in primis informare la società di un eventuale mio desiderio di gravidanza, che la mia richiesta contrattuale era esorbitante in termini di mercato e che dalla mia dipartita il campionato è andato in scatafascio. Non ero a conoscenza del fatto che il mio procuratore usasse puntare un arma da fuoco alle tempie dei presidenti per firmare un qualsiasi contratto, stupida io che credevo che inviasse semplicemente una mail con le condizioni e qualora venissero ACCETTATE seguisse una firma. Poi, viene contestato l’ammontare del mio ingaggio troppo elevato ma accusi che dopo il mio stop la posizione in classifica è precipitata e gli sponsor non hanno più assolto i loro impegni. Ordunque il mio valore contrattuale era forse giusto? Inoltre…chi dice che una donna a 38 anni, o dopo una certa età stabilita da non so chi, debba avere il desiderio o il progetto di avere un figlio? Che mi prenda un colpo…non è che per non adempiere ai vincoli contrattuali stiano calpestando i Diritti delle donne, l’etica e la moralità?

Scusate l’ironia su un fatto GRAVISSIMO come questo, ma non so in quale altro modo affrontare la cosa. Ammetto che alla lettura di quanto orridamente scritto, tra l’altro da un’avvocatessa, sia stata pervasa da un profondo senso di sdegno e volgare incazzatura, ma il Signore ha voluto che la stessa sera avessi allenamento e dopo 5 minuti che ero in palestra con la mia squadra, complice il bagherone del giovedì, il sorriso tornasse sulla mia faccia. Ah perché se non lo sapete gioco ancora a 41 anni suonati e nessuno mi ha ancora trascinata per i capelli su un rogo.

Il fatto grave comunque rimane perché anche se non sono una giocatrice di fama mondiale questo non può essere un precedente per le atlete future che si troveranno in questa situazione, perché una donna se rimane incinta non può conferire un DANNO a nessuno e non deve risarcire nessuno per questo. L’unico danno lo abbiamo avuto io e il mio compagno per la nostra perdita e tutto il resto è noia e bassezza d’animo”.

La campagna di solidarietà ‘Io sono incinto’ e il potere della condivisione sui social

La notizia è stata ripresa da tv e testate nazionali e alla Lugli sono arrivati tantissimi di messaggi di sostegno dell’opinione pubblica non solo femminile, da parte di atlete del volley e non, ma anche maschile.
A innescare la miccia della solidarietà della seconda categoria è stato Stefano Massini, scrittore e autore teatrale, che nella puntata di Piazza Pulita del 12 marzo scorso, durante il monologo dedicato alla Lugli, ha lanciato l’iniziativa ‘Io sono incinto’, invitando la controparte maschile a farsi un selfie con un cuscino sotto i vestiti, facendo sembrare di avere il pancione, per supportare la causa della pallavolista e a pubblicarlo sui social in segno di solidarietà.

Grazie ai social network si è innescata una vera e propria reazione a catena. Per la prima volta ci troviamo di fronte a un invito all’azione fatto da un uomo che chiede ad altri uomini di rispondere attivamente, in segno di solidarietà. E così è accaduto.
L’idea di Massini è stata infatti ripresa non solo da volti noti come l’attore Alessio Boni e il giornalista di Fanpage.it Saverio Tommasi, ma anche da Claudio, Vincenzo, Sandro, Max, Giovanni, Antonio e tanti altri uomini comuni che hanno aderito alla campagna ‘uomo incinto’ e invitato altri a fare lo stesso.

Oggi i social media rappresentano uno dei mezzi di comunicazione di massa più importanti, quando ne viene fatto un buon uso, in quanto grazie alla loro potenza permettono di diffondere velocemente una notizia, oppure di dare maggiore eco a un’iniziativa.
La campagna ‘Io sono incinto’ è la dimostrazione del potere che ha la condivisione sui social e rappresenta un segnale importante, soprattutto in una società come la nostra caratterizzata sempre di più da disuguaglianze e stereotipi di genere fortemente radicati nel modo di pensare e difficili da sradicare, perché pone l’accento sul fatto che la vicenda di Lara non debba essere considerata come una battaglia femminile perché riguarda solo le donne, ma di tutti, e come tale vada ‘combattuta’ da entrambe le parti.