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L’acqua a Natale. Dove si soffre la sete

di Simone Cataldo

Il Natale visto con un’altra prospettiva, quella di coloro che ogni giorno si trovano a sacrificare ore e pezzi di vita pur di bere, farsi una doccia o nutrirsi un minimo per superare la giornata.

Dalla provincia di Petorca (Cile) all’Afghanistan, passando da Minsk all’altopiano di Mahafaly (Madagascar), concludendo con la crisi algerina. Un viaggio, purtroppo virtuale, che vuole ricordare chi anche nel periodo più bello dell’anno, sarà perseguitato per le proprie battaglie oppure dalla vita, perché questo accade quando sei costretto a bere acqua contaminata o, nel peggiore dei casi (quasi sempre), rinunciare ad acqua e cibo semplicemente perché nel tuo Paese non sono disponibili.

Le cilene di Mujeres Modatima e le radici dei baobab: tra battaglie sociali e lingegno indigeno”

“Corri! Corri via” immagino abbia urlato in cileno qualcosa di simile a suo figlio di 12 anni Carolina Vilches Fuenzalida, quando ha sentito il forte rombo del motore di quel furgone, la sua figura avvicinarsi sempre più in maniera irruenta e quegli pneumatici mangiare l’asfalto come mai successo prima. Almeno credo sia andato così il tentativo di investimento all’attivista di Mujeres Modatima (Le donne di Modatima), l’organizzazione che opera nella provincia di Petorca, regione di Valparaiso in Cile, a difesa dellacqua, della terra e dell’ambiente. Lei che da anni viene perseguitata e minacciata perché, assieme a Lorena Donaire Cataldo e Veronica Vilches, difendono il diritto alla risorsa fondamentale, dove la siccità per anni ha causato danni irreparabili alla vita delle persone. Una crisi che ha colpito duramente la fascia femminile del territorio e che ha portato Modatima a denunciare l’appropriazione illegale dell’acqua da parte delle grandi aziende agroindustriali e gli abusi socio-ambientali. Quello del libero accesso all’acqua è un tema importante in Cile, in particolar modo in questo periodo in cui sta avvenendo il processo di elaborazione di una nuova costituzione. Ed è per questa lotta che Lorena riceve visite notturne da sconosciuti, mentre dorme con al fianco i figli più piccoli, e gli stessi vengono pedinati da veicoli con vetri oscurati e privi di targa. E poi penso a Veronica che con il suo programma Agua Potable Rural aiuta le comunità e allo stesso tempo attira le attenzioni del “nemico”: a lei, oltre alle minacce e i tentativi di molestia, l’ha aspettata sul muro all’ingresso della sede della cooperativa una minaccia di morte.

Dal Cile al Madagascar, dove le persone più deboli soffrono la sete

Se da un lato la costa orientale dell’isola viene colpita incessantemente da violenti uragani, le regioni interne all’altopiano vivono periodi di siccità incessanti. La paura che la mancanza di acqua possa spazzare via migliaia di persone, come accadde non pochi secoli fa nella zona, flagella le menti degli abitanti del posto che, seguendo la tradizione, portano avanti un ingegno che consente loro di conservare per una serie di mesi l’acqua piovana. Immaginatevi di abitare in una zona in cui piove pochissime volte l’anno, ultimamente causa le continue variazioni climatiche i giorni di pioggia si contano sulle dita di una mano, e vedere l’acqua venir completamente assorbita dal terreno poroso e calcareo che vi circonda. Così, tempo fa, qualcuno vide dinanzi a lui un baobab tipico della zona, un albero che si distende in lunghezza per una decina di metri, e guardandolo meglio ha ben intuito le sue capacità. Nascono così delle cisterne di acqua naturali vere e proprie, consentite dal resistente legno dell’albero che, quando colpito da un fulmine, permette all’acqua di immagazzinarsi al suo interno filtrando nelle fenditure. A ciò si aggiunge il lavoro per una serie di giorni di alcune persone che riescono così a far immagazzinare almeno 14 mila litri di acqua. Un’idea che ha salvato e salva quotidianamente vite umane; ogni famiglia ne ha uno, scongiurando così le traversate di giorni lungo il Paese pur di acquistare una minima quantità d’acqua. Ovviamente non sempre questa basta per dissetare, sfamare e sostentare un intero nucleo famigliare; pertanto, la loro creazione aumenta di anno in anno pur di evitare che la sete possa nel 2022 essere ancora causa di morte prematura.

Algeria, uno stress idrico che va avanti da due decenni

Al contrario del Cile, in Algeria l’accesso pubblico all’acqua esiste, ma a lottare solo contro una serie di sistemi inadatti è il giornalista e scrittore Abed Charef. È proprio lui che ci fa notare come il programma di razionamento dell’acqua lanciato lo scorso 26 giugno nella grande capitale nordafricana (Algeri) non sia solo dovuto al periodo di siccità tra dicembre 2020 e aprile 2021, bensì affonda le proprie radici in un sistema di corruzione e sfruttamento inaudito delle risorse che han reso le dighe inutilizzabili. Queste ultime, una delle poche forme di sostentamento idrico del Paese, nel mese di giugno erano sotto il 15%. Gli esperti del settore avevano lanciato l’allarme già molti mesi prima venendo totalmente ignorati dalle autorità che erano concentrate sulle elezioni legislative del 15 giugno. Bisogna dunque fare un passo indietro di due decenni per tornare all’allarme di stress idrico del 2001, anno in cui poi il governo algerino decise di risolvere il problema avviando progetti di desalinizzazione dell’acqua che hanno comportato spese per oltre 50 miliardi di dollari – discutibile è la gestione di una tale cifra come denunciata dal giornalista algerino. In questo contesto le stazioni sono state affidate a società private estere con crediti di banche pubbliche algerine, fattore che ha acuito la corruzione. E così oggi, a distanza di vent’anni, vengono perseguiti ex ministri di Stato che sarebbero stati complici di tutto ciò, ma come denunciato da Charef ancora oggi il settore è gestito da società straniere che, pur di ottenere contratti pagano tangenti agli alti funzionari di Stato.

In Bielorussia, dove devi avere una tariffa per continuare a vivere

Da novembre (da fonti formali), almeno quaranta vittime al confine tra Bielorussia e Polonia. Quanto accade nelle foreste polacche e bielorusse sta riproponendo un esodo non nuovo alla storia, ma che assume dei tratti raccapriccianti per quanto ci viene raccontato da Minsk. Interessante è a tal proposito un reportage de “La Repubblica” che racconta di tariffe economiche assurde tra coloro che tentano di superare il filo spinato per farsi una vita migliore. Vi immaginate se un giorno, costretti a migrare in seguito a una crisi, fossimo costretti ad attendere mesi con la pioggia, la neve e temperature sotto lo zero, per poi essere respinti? In tutto questo sopravvive solo chi ha a disposizione una cifra di denaro con sé, e non di certo bassa, perché le persone che operano al confine offrono anche possibilità di “alloggiare” in condizioni più accettabili: dieci dollari per una bottiglietta d’acqua, venti per due tazze di acqua calda, venticinque per caricare a metà il telefono, cinquanta per la carica intera. Dieci dollari per accedere a una connessione internet per due minuti, venti dollari per tre panini, trenta per un pacchetto di sigarette, cento dollari per chiamare un taxi e settecento per corrompere un militare di frontiera e rientrare a Minsk. In questo contesto non mancano gli episodi di minacce alle poche Ong che operano sul posto e, ovviamente, agli operatori del mondo dell’informazione è impossibile visitare il confine per verificare con occhi propri quanto accade. Così muoiono giornalmente esseri umani poi dimenticati.