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Pskovo, il monastero ai margini d’Europa

di Dania Ceragioli

A Pecory, una piccola cittadina un po’ polverosa della Russia nord occidentale, sorge assieme a una statua di Lenin, il monastero ortodosso Pskovo-Pecorskij Svjato-Uspenskij. Uno dei monasteri più belli e meglio conservati dell’ex Unione Sovietica. É una struttura composta da più edifici, aggiunti nel tempo con l’arrivo dei monaci, quello più antico pare essere la chiesa, costruita su alcune grotte sottostanti. A causa della guerra di Livonia, a protezione furono erette anche delle mura lunghe 810 metri e puntellate da alcune torri. Cupole blu e oro finemente decorate fanno capolino, rendendosi visibili anche da lontano, una fonte di acqua freschissima zampilla all’interno del suo cortile inferiore. Ovunque alberi e fiori profumati ricordano il lavoro costante e paziente dei monaci residenti. Ogni anno in agosto sul piazzale superiore del complesso monastico, viene celebrata una festa religiosa molto importante per l’intera comunità: la Dormizione della Santissima Madre di Dio.

Migliaia di pellegrini giungono dai luoghi più sperduti, per presenziare alle celebrazioni e alla processione, che ha come percorso il perimetro esterno al monastero. L’icona della vergine adornata di fiori bianchi e sorretta da numerosi uomini, viene fatta sfilare fra i fedeli. Un cordone di sicurezza deve arginare la folla che cerca di sfiorarla e baciarla. Sono in molti a avere fra le proprie mani o appese al collo, immagini della santa. In un’atmosfera di devozione collettiva, il salmodiante corteo avanza fra canti e preghiere.

Lungo il tragitto sono previste solo tre soste, dove il Patriarca di San Pietroburgo, affiancato da diversi sacerdoti si sofferma solo pochi attimi per poi procedere spedito con i suoi sermoni. Ci sono uomini barbuti che stringono mazzi di fiori da lasciare in offerta, donne dal capo coperto e dalle lunghe gonne che si sorreggono a vicenda camminando con fatica. Tutto questo accade ai margini dell’Europa, dove un occidente sempre più smarrito, in cerca di una propria identità e in crisi di fede, vede le proprie religioni morire, le chiese svuotarsi per poi essere vendute, le messe dimezzarsi, i sacerdoti estinguersi. Il nostro continente sta perdendo la fede, che come una bassa marea piano piano si sta ritirando. La risposta sarà forse nel senso di appartenenza che abbiamo perduto, il nostro individualismo, la nostra incapacità di donare? In queste persone che non si conoscono, ma che hanno sulle spalle secoli di povertà, di divisioni e conflitti c’è un unico denominatore dato proprio dalla fede. Una fede assoluta e devota che riesce a lenire le ferite lasciate nel tempo, unendo gli intenti per far guardare al futuro.

Foto di Dania Ceragioli