
Ma perché il debito pubblico italiano è così alto? Tutto ebbe inizio nel 1981
9 Maggio 2025Ma il debito pubblico italiano si può azzerare?

Intervista ad Angelo Vaccariello, docente e giornalista che si occupa di economia
Dopo il nostro articolo (https://www.laredazione.net/ma-perche-il-debito-pubblico-italiano-e-cosi-alto-tutto-ebbe-inizio-nel-1981/) sul debito pubblico italiano, intervistiamo Angelo Vaccariello, giornalista, docente e divulgatore, seguitissimo sui social: i suoi video di analisi sull’attualità e sulla storia dell’economia sfiorano i 2 milioni di like complessivi (https://www.tiktok.com/@angelovaccariello?_t=ZN-8wEaUZ39R2c&_r=1). Con lui approfondiamo il caso italiano, con il debito tra i più alti al mondo, soprattutto se si considerano i Paesi più industrializzati.
Spesso, nell’immaginario collettivo, si pensa che, siccome il debito pubblico i cittadini italiani lo debbano a loro stessi, sia addirittura azzerabile. È davvero possibile?
Se l’Italia domani decidesse di non rimborsare il debito pubblico, andrebbe in default. Fallirebbe. Le conseguenze sarebbero catastrofiche. Anzitutto perché il debito è in mano per il 16 per cento alle famiglie italiane: quindi moltissimi ci rimetterebbero di tasca propria. Poi perché il Paese non potrebbe più finanziare la spesa pubblica: stipendi, ospedali, esercito, carabinieri. Tenga conto che ogni anno, in media, l’Italia chiede di farsi prestare dal mercato 300 miliardi di euro. Quindi, auguriamoci che non avvenga mai il mancato rimborso.
Vista la situazione, sarebbe possibile fare come avviene in Giappone ovvero che, in caso di necessità, Bankitalia intervenga sul mercato, acquistando titoli del debito per sottrarli alla speculazione?
Purtroppo le regole di Maastricht non lo consentono. Quando nel 1992 abbiamo firmato il trattato della Moneta Unica, quello che poi ha permesso l’ingresso nell’euro dieci anni più tardi, le funzioni di politica monetarie sono passate alla Banca Centrale Europea. Da Statuto, la Bce deve solo mantenere l’inflazione intorno al target del 2 per cento. Non potrebbe intervenire sul mercato aperto. Uso il condizionale perché, in realtà, è ampiamente intervenuta. Lo ha fatto grazie a Mario Draghi che nel 2011 con il famoso “whatever it takes” lanciò una serie di programmi che hanno salvato molte Nazioni dalla speculazione. Credo, però, sia arrivato il momento che a Bruxelles qualcuno si svegli e si decida di cambiare le regole. Perché, veda, alcune guerre si combattono sui mercati finanziari non con i carri armati.
Oggi la classe politica ed il management economico dell’Italia sono all’altezza dei loro compiti e ruoli?
Purtroppo dobbiamo registrare molte insufficienze. Noi abbiamo bisogni di statisti, non di politici che rincorrono i like sui social. Abbiamo alcuni imprenditori, ad esempio, che per competere a livello internazionale fanno “margini” sul lavoro. Per non parlare della politica che non si cura di un problema enorme: quelli che hanno meno di cinquant’anni non andranno in pensione. Servirebbe un patto sociale: parlare chiaramente agli italiani e prendere le decisioni. Basta slogan, serve azione.
Dopo 23 anni di moneta unica europea, l’euro per l’Italia cos’è stato finora? Un’occasione mancata, uno scudo protettivo dalla speculazione, un cappio al collo della crescita?
Con la sua domanda, lei centra tutti gli aspetti dell’Euro. E’ stato una enorme occasione mancata perché nei primi dieci anni del duemila, quando i tassi di interesse sono crollati, l’Italia avrebbe potuto rinnovare la propria industria come ha fatto la Germania e invece ha preferito speculare sui prezzi. L’Euro ci ha difeso dalle tre tempeste dei mercati finanziari, 2003, 2008 e 2012 ma le regole di bilancio, figlie di un eccessivo e mal compreso liberismo, hanno ampiamente bloccato la crescita. Le faccio un esempio: perché si può sforare il patto di stabilità per le armi e non si può fare per la sanità o i servizi sociali? La risposta è semplice: pura ideologia. Ma le famiglie non mettono ideologia nel piatto.