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Mani pulite, trent’anni dopo cosa resta

di Salvatore Baldari

Giovedì 17 febbraio, giornali e talk show hanno celebrato i Trent’anni dell’inchiesta Mani Pulite, che nel 1992 segnò uno spartiacque per la storia politica ed istituzionale italiana.

La stagione di Mani Pulite ha lasciato nella memoria immagini emblematiche come Bettino Craxi bersagliato di monetine dopo il no del Parlamento all’autorizzazione a procedere o i processi trasmessi in televisione come degli spettacoli d’intrattenimento. L’attività giudiziaria fu incitata da una stampa eccitata, che a sua volta rispecchiava l’indignazione dell’opinione pubblica disgustata da sprechi e corruzione. Tutto lasciava intendere che quel momento potesse rappresentare la riaffermazione della legalità nelle attività economiche e la moralizzazione della politica. Ma, il vero risultato della stagione delle grandi inchieste è stato condurre a ripensare l’immagine e il ruolo della magistratura.

Dal 1992 sino a questo 2022, pochi temi sono stati così divisivi nel Paese, come i progetti e gli interventi in materia di giustizia.

Se prima di allora i cittadini nutrivano fiducia e rispetto verso di essa, oggi la considerano amministrata da una casta infestata dalla correnti e incastonata in una intollerabile impunità.

Allo scandalo Palamara, hanno fatto seguito episodi altrettanto deprecabili: le dimissioni dei membri del Csm, l’insanabile conflitto fra il Cms e l’organo di giustizia amministrativa, il carrierismo esasperato, il collateralismo con alcuni rappresentanti politici. Elementi che hanno posto l’edificio della giustizia italiana in una condizione di precarietà.

Il prestigio e la credibilità della magistratura sono state compromesse al punto che, nel suo recente discorso di giuramento, il Presidente Mattarella, ha ritenuto necessario appellarsi ad ‹‹un recupero di rigore››.

Una parte, fortunatamente minoritaria, della magistratura, si è ritenuta investita da una missione purificatrice, che ha trovato sfogo nell’eccesso della carcerazione preventiva, nelle interferenze nella produzione legislativa, nell’uso convulso dell’informazione di garanzia e nella divulgazione di conversazioni intime e private, tanto irrilevanti per indagini, quanto sfregiante per la reputazione delle persone.

Nell’ultimo periodo si intravedono alcune riforme per provare ad intervenire su queste storture.

Riforma Cartabia e i referendum

La riforma Cartabia, da pochi giorni approvata dal Consiglio dei ministri, prova ad affrontare questi problemi. L’influenza delle correnti nella determinazione dei consiglieri, la trasparenza delle scelte sui capi degli uffici giudiziari, le valutazioni di professionalità, le cosiddette porte girevoli.

Per fa riacquisire alla magistratura l’onore perduto, tuttavia, nessuna legge potrà essere risolutiva. Dovranno essere i suoi stessi componenti, quelli non intaccati dalle presunzioni isteriche a cercare questa opera di riabilitazione, attraverso svolte etiche, nuove condotte, prassi cambiate.

E dovranno essere i cittadini a pretendere che i loro diritti costituzionali non vengano più mortificati da una minoranza di toghe.

L’occasione si presenta con i referendum, recentemente passati al vaglio della Corte Costituzionale. Separazione netta tra giudice e accusatore, senza alcuna contiguità magari condizionata da carriere o vanità; uso eccezionale e straordinario della custodia cautelare; decadenza dalle cariche pubbliche solo per condanne definitive e non per reati che in realtà andrebbero abrogati (l’abuso d’ufficio); limite all’esasperato correntismo nella magistratura; ampliamento di ruolo dell’avvocatura all’interno dei Consigli giudiziari.

La libertà e le garanzie sono valori fondamentali a cui occorre riconciliarsi.

La ricorrenza dei Trent’anni dall’operazione Mani Pulite non deve diventare il ring per un regolamento di conti fra politica e la magistratura, ma l’occasione di ripensare, insieme ai cittadini, un nuovo modello.