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Musica e meme sotto il regno di TikTok

TikTok

di Marcello Torre

I cambiamenti nei modi e mezzi di fruizione della musica dicono sempre molto sullo stato attuale dell’industria e sulla società in generale.

In molti casi sono anche in grado di spiegare i rapidi mutamenti nell’arte stessa dall’inizio del nuovo millennio: basti pensare alle fortune dell’hip hop in seguito alla rivoluzione del formato mp3, alla conseguente esplosione delle piattaforme di file sharing e alla definitiva consacrazione di iTunes e dell’iPod, arrivato nelle tasche di ogni ascoltatore. Ciononostante, affrontare la fruizione musicale oggi implica allontanarsi momentaneamente da qualsiasi discorso relativo a supporti o hardware, e focalizzarsi piuttosto sul concetto di musica liquida. Lo streaming è entrato nelle nostre vite facilitando l’approvvigionamento di prodotti culturali dei quali ci nutriamo e, soprattutto, uniformandone quasi completamente il mercato. Se però ciò è ormai appurato, ancora non si parla abbastanza del processo di memeificazione subito dalla musica tutta in quest’ultimo decennio grazie ai social network e, in particolare, a quelli propriamente musicali. Il meme[1] è diventato quasi unità di misura nell’internet odierno: i trend, ovvero le mode, e più in generale qualsiasi oggetto virale, nascono, crescono e muoiono a ondate nel giro di giorni (se non ore) per mezzo della partecipazione e delle reazioni sui vari feed che seguiamo. Che si tratti di espressioni ironiche, post-ironiche o prive di chissà quale senso, non fa differenza: com’è intuibile, la musica non è esente da tale logica. Se un tempo un brano poteva impiegare un’eternità a scalare le classifiche di gradimento, oppure dominarne i vertici per decenni, adesso che il conteggio degli stream (le riproduzioni) è parte attiva del processo che porta agli introiti, alla fama e ai premi, vediamo settimanalmente nuove hit frantumare record su record, raggiungere quelle che, neanche un ventennio fa, erano vette agognate come il disco di platino o il Grammy Award. Per capire come questo processo sia possibile, e la musica possa diventare – se non addirittura nascere – meme, dobbiamo innanzitutto guardare al successo dei social più popolari fra la Generazione Z[2]. Persino prima di formarsi attraverso i colossi dello streaming (Spotify, Apple Music, anche SoundCloud in misura minore), è dentro aggregatori adolescenziali come TikTok e Instagram che troviamo la formula per la viralità – e quindi della reinterpretabilità infinita, ergo il meme – che conduce al successo istantaneo, non tanto dell’artista, quanto della hit. Lasciando da parte la creatura di Facebook, certamente più abile negli ultimi anni a integrare format copiati da altri social (si vedano le stories, da Snapchat, oppure i reels che imitano TikTok), vale la pena concentrarsi sull’ultimo arrivato per avere chiari i meccanismi con cui sta lasciando un’impronta indelebile sui modi di creare, promuovere e ascoltare musica in questo nuovo decennio.

TikTok viene lanciato in Cina nel 2016 con il nome Musical.ly: nel 2017 l’azienda cinese ByteDance lo acquista cambiandone definitivamente il nome (in Cina è noto come “Douyin”). Esattamente come Musical.ly – e in maniera simile all’ormai defunto Vine – il social è finalizzato alla creazione di video brevi, della durata massima di 60 secondi, ma la feature più importante resta il contenuto audio: è possibile selezionare musica da un’ampia libreria o caricare il proprio materiale, che diventerà parte di essa e perciò utilizzabile da tutti gli utenti. La popolarità dei format più in voga ne è una conseguenza diretta: aprendo l’app è impossibile non imbattersi immediatamente in lip-sync[3], in challenge[4] con al centro balletti e coreografie o in svariati sketch comici. Questi contenuti hanno più di un aspetto in comune, ma è innegabile che a colpire l’utente sia in primis il marcato uso di brani musicali, nello specifico di quei 15-60 secondi più accattivanti, necessari a catturare l’attenzione di chi scrolla la sezione “For You” (equivalente a un “Esplora”) in cerca di video da ogni parte del mondo. Ad oggi, con quasi 700 milioni di utenti attivi al mese e 2 miliardi di download raggiunti (stando a quanto dichiarato da ByteDance lo scorso agosto[5]), TikTok è un fenomeno planetario dalla rilevanza inimmaginabile per le vecchie generazioni: secondo dati di Reuters del 2019, solo negli Stati Uniti il 60% degli utilizzatori appartiene alla fascia dei 16-24 anni[6]. Anche non conoscendo il totale di views di un singolo tiktok – tale dato non compare durante la visualizzazione del video altrui come invece accade su YouTube – non è così difficile giudicare l’impatto che un brano virale, diventato meme grazie alle mosse di danza di qualche influencer, può avere sull’industria discografica.

L’esempio più facile da fare è anche la dimostrazione che i meme sono ciò che muove oggi il mercato musicale: Lil Nas X, artista classe 1999 di Atlanta, ha totalmente fatto suo il 2019 grazie al singolo “Old Town Road” e ai successivi remix. Il brano vede la luce nel dicembre 2018 sulla piattaforma SoundCloud, particolarmente amata da rapper e trapper: comprato un banalissimo sample online per 30 dollari, ha pubblicato ciò che a un primo ascolto appare come una fusione ultra-ironica e altrettanto elementare fra rap e stereotipi country. Durata totale: 1 minuto e 53 secondi. Da quel momento inizia la scalata di Lil Nas: su TikTok parte la “Yeehaw Challenge”, manco a dirlo a tema cowboy, e la canzone è subito virale. In seguito, grazie all’azzeccatissimo featuring con la stella del country Billy Ray Cyrus, schizza in cima alle classifiche battendo i record di Mariah Carey e “Despacito”. Si inizia perfino a parlare di country-rap, genere musicale di nicchia già piuttosto bizzarro ma di fama pressocché inesistente. Ciò che fa di “Old Town Road” una hit eccezionale ed un meme dalle potenzialità illimitate – almeno nella patria del Far West – sono la disinvoltura con cui fa propri i luoghi comuni del genere country (cowboy, cavalli, saloon, banditi e, ovviamente, balletti) dissacrandoli con ironia e rendendoli nientemeno che una canzoncina buffa. Il fatto che si prenda così poco sul serio – dissacrando anche, come molta trap, la serietà dell’hip hop di una volta –  è il vero motivo per il quale ha spopolato su una piattaforma notoriamente improntata alla frivolezza e alla superficialità. Il trionfo di TikTok è in larga parte costituito da hit con queste caratteristiche; se non è per il brano in sé, un tiktok più riuscito di altri o la semplice riduzione a quei pochi secondi catchy del motivetto contribuiranno a dare ad esso nuova fortuna e significato. In ogni caso, lo humor resta un elemento imprescindibile per far breccia nell’algoritmo del social e, di conseguenza, nel cuore degli utenti. Ne è la prova un’altra artista spopolata, in termini di visibilità, come meme: la rapper californiana Doja Cat, altra star conclamata di TikTok, ha visto  crescere a dismisura la propria notorietà grazie alla coreografia pubblicata da una teenager dell’Alabama, accompagnata dal suo brano “Say So”.[7] Il seguito ottenuto si è manifestato nell’espansione a macchia d’olio del suo ultimo disco fra i tiktok degli e delle adolescenti, decretando di fatto una vittoria commerciale che è tutto fuorché di poco conto, nonostante l’artista fosse già conosciuta e sotto contratto da tempo.

Il ruolo e la forma dell’album sono cambiati decisamente con l’avvento dello streaming, e la riuscita dei format proposti da TikTok ne è in parte la dimostrazione: nel pop, inteso come mainstream (hip hop incluso), il numero di tracce per disco è aumentato notevolmente per far fronte alla necessità di produrre più stream, dunque guadagni,  e cercare di estendere il più a lungo possibile il ciclo di vita di un progetto in un’epoca in cui, come già anticipato, i trend si susseguono rapidamente scalzandosi l’un l’altro. L’ultimo album di Drake, “Scorpion” (2018), conteneva ben venticinque brani e ha suscitato diverse lamentele per essere stato spammato senza misura sulla home di Spotify di ogni utente, compreso chi non ha mai ascoltato o amato la popstar canadese: uno dei casi più evidenti di promozione mega-invasiva.[8] La prassi dei cosiddetti “riempitivi” ha permesso ad un social come TikTok di far propria la logica del “one-hit wonder”[9], stravolgendone funzione e significato: se un tempo cantanti e gruppi potevano finire nel dimenticatoio dopo quell’unica hit planetaria prodotta che ne assorbiva l’intera aura (sfido l’ascoltatore medio a ricordarsi gli autori di “The Final Countdown” o elencarne altre opere), oggi grazie ai tik toker un singolo come “Old Town Road” riesce a generare pubblicità incessante e ricavi mostruosi pur avendo l’arco di vita di un meme. Nel 2012 era stato segnale ante litteram “Gangnam Style”, del rapper sudcoreano Psy, il cui balletto imitato da milioni di persone ha di fatto preannunciato l’essenza di TikTok. Se è vero che il social è la vetrina perfetta per tutti coloro che sperano che una propria creazione diventi la “next big thing” di tendenza, è altrettanto prevedibile che le case discografiche stiano provando a entrare nel gioco a ogni costo: se una tattica proficua può essere quella di fare scouting sull’app, tentando di scovare in anticipo i prossimi Lil Nas X, fare promozione avendo già a disposizione un roster di star internazionali può rivelarsi ancor più lucrativo. L’esito di operazioni simili non è tuttavia scontato: nel 2020 sia il già citato Drake (con “Toosie Slide”) che Justin Bieber (con “Yummy”) hanno palesato l’intenzione di mirare agli adolescenti della piattaforma con canzoni ideate appositamente per TikTok. In particolare “Toosie Slide” è interamente basata su un balletto replicabile da chiunque in pochi passi, e perciò adattissimo a diffondersi ed essere messo in loop dai ragazzini. Drake stesso è maestro nell’arte di divenire meme vivente fin da quando, nel 2015, diffuse il video di “Hotline Bling”, che ad oggi conta quasi 2 miliardi di visualizzazioni: anch’esso antesignano di TikTok – e non a caso diffusosi principalmente sull’app Vine – conteneva infatti mosse di per sé abbastanza ridicole; combinato però con basi e melodie mezze sdolcinate, si prestava a rimaneggiamenti e fotomontaggi in chiave ironica che promossero istantaneamente l’operazione del rapper. Un’altra strategia commerciale rivelatasi vincente, che tra le altre cose ha reso il meme di Drake che rifiuta/accetta[10] un simbolo comprensibile da  qualunque fascia d’età.

Da un certo punto di vista, i tentativi di Drake e Bieber non hanno ottenuto l’effetto sperato su TikTok: sono stati infatti quasi subito smascherati dai più assidui utilizzatori per ciò che in fin dei conti sono, ovvero meri piani per infiltrarsi con produzioni risibili in un mercato che ancora non hanno conquistato del tutto. L’apparente frivolezza dei contenuti di TikTok non deve ingannarci: i nativi digitali sono perfettamente consci di chi o cosa sia realmente genuino sulla piattaforma, e quale contenuto sia invece la manifestazione di un’industria che tenta di avvicinarsi a  un mercato giovane con vecchi sistemi. Stando a quanto dichiarato in una recente intervista con lo youtuber Volksgeist[11] da Danny Rakow, manager di vari artisti sbocciati sul social come Stephen Sanchez e Jeremy Zucker, il concetto è semplice: «Non puoi “far accadere” un trend su TikTok». Frivolezza quindi, ma non senza spontaneità.

C’è da dire che, nel grande schema delle strategie musicali, la capacità di adattarsi a un mercato emergente e ai giovanissimi non sta certo sfuggendo di mano a coloro che detengono le chiavi dell’industria. È indubbio che le etichette siano sempre più abili nel reinventarsi e nel setacciare internet alla ricerca di talento: ad esempio Dixie D’Amelio, una delle influencer più famose e ricche di TikTok assieme alla sorella Charli (con la quale detiene un patrimonio complessivo di sette milioni di dollari[12]), che ha da poco lanciato la propria carriera musicale col suo primo singolo “Be Happy”, sorpassando all’uscita su YouTube persino titani quali Kanye West e Travis Scott. I trend su TikTok generano così tanto investimento in termini di marketing da arricchire sul breve periodo praticamente chiunque abbia il talento sufficiente a sfornare canzoncine orecchiabili (e coi mezzi per produrle che abbiamo oggi a disposizione la difficoltà si è ridotta notevolmente) o reinventarle attraverso il proprio estro di tik toker. Ciò che non viene detto a questi prodigiè con quanta velocità si troveranno a condividere le luci dei riflettori con centinaia di colleghi ugualmente abili, trovati e messi sotto contratto in tempo record al fine di alimentare il consumo di hit. Al che l’obiezione più immediata potrebbe essere: “Ma non ha forse funzionato sempre così?”. Sì e no: se è vero che la macchina consumistica mossa dalle label ha sempre fagocitato e rigurgitato ciclicamente le proprie scommesse, è fuori discussione che in questo decennio, con la soglia dell’attenzione abbassatasi di gran lunga per via del tempo speso sui social, la nostra fame di novità ha permesso all’ingranaggio di girare a ritmi ancora più folli. E i meme, assieme a TikTok, sono parte del motivo per cui ingeriamo musica come fast food. Se le “meteore” di oggi sembrano cavarsela meglio di quelle di quarant’anni fa grazie alla fluidità e accessibilità della musica, non è detto che questa dinamica non possa ritorcersi loro contro, rendendo squali del business come Drake & Co. sempre più ricchi e togliendo spazio agli emergenti. In poche parole, l’industria musicale e i social come TikTok sembrano suggerire col proprio funzionamento che sì, c’è spazio per tutti sul palcoscenico; allo stesso tempo, spinti dalla legge dei grandi numeri, fomentano un ricambio incessante di talento da spremere all’inverosimile, al fine di ottenere certezza sotto forma di stream.

A prescindere dal nuovo modello di star system che l’app contribuisce a diffondere e le relative conseguenze sul tornaconto degli artisti, queste considerazioni ci interessano poiché dipingono un quadro piuttosto grigio degli approcci alla musica che noi ascoltatori scegliamo di avere coi mezzi a disposizione. Stando a una recente indagine di Rolling Stone[13], le hit da centinaia di migliaia di dollari generatesi su TikTok, dopo il boom iniziale e la diffusione nei video, falliscono nel creare una connessione duratura tra artisti e consumatori. Ne deriva una difficoltà nel generare stream e follower là dove contano materialmente, cioè su servizi come Spotify (che già di per sé paga una miseria in royalties: all’incirca tra i 0.00331 e i 0.00437 dollari per stream ai detentori dei diritti[14]; il che significa che ai musicisti veri e propri è destinata un’ulteriore frazione). Ovviamente esistono le eccezioni come Lil Nas X, ma in generale sembra corretto presumere che questa tendenza a “comprare le canzoni” invece che gli artisti possa danneggiare le loro ambizioni sul lungo periodo. Lo stesso articolo descrive come questi siglino ora contratti distinti con le etichette per regolare separatamente il successo della hit e la musica rilasciata in seguito: trattasi di accordi-salvagente, con l’implicita ammissione che hit e carriera non sono risultati che vanno necessariamente a braccetto. In un panorama dominato dalle playlist, che per molti versi hanno già surclassato il formato album (il quale resiste su piattaforme artist friendly come Bandcamp), chi vuole fare numeri importanti è soggetto a una costante pressione dall’alto per produrre singoloni sulla falsariga di quelli amati dai tik toker: lo scopo è infatti inserirli in qualche playlist curata dal servizio streaming, dove avrà più chances di essere riprodotto in ripetizione. Va da sé che la competizione generatasi non può che essere delle più malsane.     

Visti i recenti screzi con l’amministrazione Trump per le controversie relative al controllo sui dati personali che il governo cinese esercita tramite l’app, il suo futuro appare quantomeno incerto negli Stati Uniti, dov’è in corso una battaglia legale di proporzioni gigantesche per evitare il ban del Presidente[15]. Nessuno può dire con certezza come si evolverà la situazione, tantomeno se e come si adatteranno ai cambiamenti all’orizzonte utenti e creatori, artisti compresi. Quel che è certo è che, a prescindere da quale app si usi, difficilmente rallenteranno i nostri ritmi di consumo. Su TikTok siamo tutti dei prosumer[16]: il ricambio di meme e contenuti è tanto rapido quanto essenziale alla sopravvivenza del social, non certo famoso per l’attenzione che mira a farci spendere per visionare un post. Le label e i servizi on demand, così attenti a rinnovarsi di continuo per non soccombere, non possono quindi che continuare a cavalcare il fenomeno, senza lasciarsi sfuggire ghiotte opportunità: d’altronde, con questa velocità, chi può sapere chi e cosa sarà il “nuovo” TikTok tra qualche anno?


Note e approfondimenti

[1] “Singolo elemento di una cultura o di un sistema di comportamento, replicabile e trasmissibile per imitazione da un individuo a un altro o da uno strumento di comunicazione ed espressione a un altro (giornale, libro, pellicola cinematografica, sito internet, ecc.).”, https://www.treccani.it/vocabolario/meme_(Neologismi)

[2] “Nel linguaggio giornalistico, la generazione dei nativi digitali, nati tra il 1997 e il 2012.”, https://www.treccani.it/vocabolario/generazione-z_(Neologismi)

[3] L’atto di recitare (o cantare) in sincronia labiale, N.d.A.

[4] Sfide social di vario genere, lanciate con l’obiettivo di diventare virali e coinvolgere quanti più conoscenti o utenti possibili, N.d.A.

[5] “TikTok, sull’app ci sono quasi 700 milioni di utenti attivi al mese”, https://tg24.sky.it/tecnologia/2020/08/26/tiktok-utenti-attivi-app

[6] “Exclusive: U.S. opens national security investigation into TikTok – sources”, https://www.reuters.com/article/us-tiktok-cfius-exclusive/exclusive-u-s-opens-national-security-investigation-into-tiktok-sources-idUSKBN1XB4IL

[7] “The Mystery of Doja Cat’s Unimpeachable TikTok Reign”, https://pitchfork.com/thepitch/the-mystery-of-doja-cats-unimpeachable-tiktok-reign/

[8] “Spotify users push back at the over-the-top Drake promotion”, https://techcrunch.com/2018/07/03/spotify-users-push-back-at-the-over-the-top-drake-promotion/

[9] In italiano si usa spesso il termine “meteora”, N.d.A.

[10] https://knowyourmeme.com/memes/hotline-bling/

[11] “How TikTok is Breaking the Music Industry”, https://www.youtube.com/watch?v=IXhBiDk6Cho

[12] “TikTok’s 7 Highest-Earning Stars: New Forbes List Led By Teen Queens Addison Rae And Charli D’Amelio”, https://www.forbes.com/sites/abrambrown/2020/08/06/tiktoks-highest-earning-stars-teen-queens-addison-rae-and-charli-damelio-rule/

[13] “TikTok Breaks Big Hits, But It’s Still Struggling to Break Big Stars”, https://www.rollingstone.com/pro/features/tiktok-one-hit-wonders-1028449/

[14] “What Is the Pay Rate for Spotify Streams?”, https://help.songtrust.com/knowledge/what-is-the-pay-rate-for-spotify-streams

[15] “TikTok Files Lawsuit Against Trump Administration”, https://pitchfork.com/news/tiktok-files-lawsuit-against-trump-administration/

[16] “Chi è allo stesso tempo produttore e consumatore di un bene.”, https://www.treccani.it/vocabolario/prosumer_(Neologismi)