Perù, il Rolex Gate colpisce la Presidente Boluarte

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Perù, il Rolex Gate colpisce la Presidente Boluarte

Quell’angolo di Sudamerica affacciato sul Pacifico, sferzato dalle onde fredde della Corrente di Humboldt ma scaldato dal fuoco sotterraneo delle Ande, che qui raggiungono alcune delle loro vette più imponenti, torna protagonista di un nostro approfondimento, dopo due anni e mezzo. E lo fa grazie ad una notizia di strettissima attualità, che riporta la data del 10 Ottobre 2025. La notizia in realtà non è una sorpresa, ma l’ennesima riedizione di un dramma che in Perù non trova mai il suo atto finale. Il voto del Parlamento di Lima, che ha approvato l’impeachment contro la Presidente Dina Boluarte con una maggioranza schiacciante, è l’ultimo sanguinoso capitolo di una caducità istituzionale che affligge la nazione andina da tre decenni, rendendola una sorta di lazzaretto politico dove ogni leader è destinato a essere esautorato, indagato o incarcerato.

Rolex Gate, che cos’è                                                                        

Boluarte, ascesa alla presidenza dal ruolo di vicepresidente dopo il fallito golpe del suo predecessore Pedro Castillo, è stata travolta non dal fuoco delle proteste popolari che aveva represso con violenza, ma dal Rolex Gate. Lo scandalo, scoppiato per una collezione di orologi di lusso e gioielli, ha rivelato ciò che il Paese già sapeva: anche lei, l’ex outsider che doveva rappresentare la rottura con l’élite, è caduta nel vizio capitale della corruzione e dell’arricchimento illecito. Un banale, crudele simbolo del cinismo di una nomenklatura che, al di là delle bandiere e delle ideologie, ha come unica vera fedeltà il proprio tornaconto personale. Per comprendere la ciclicità di questa malattia, bisogna risalire ad alcuni anni fa. Nel 2021, l’elezione del maestro rural Pedro Castillo, un campesino proveniente dalla sinistra radicale, fu un grido di riscatto delle zone rurali e indigene, stanche del dominio di un’élite limeña percepita come rapace e corrotta. 

Questa vicenda l’avevamo già raccontata la prima volta che ci siamo occupati di Perù, ma è opportuna una rinfrescata. 

https://www.laredazione.net/peru-cambiano-i-governi-come-fossero-noccioline/              
Il suo mandato fu un delirio di instabilità: cinque gabinetti e ben 78 ministri in soli sedici mesi. Il 7 dicembre 2022, per sfuggire all’ennesima mozione di vacancia(impeachment) promossa dal Parlamento, Castillo tentò l’atto estremo: lo scioglimento delle Camere e l’instaurazione di un “governo d’emergenza”. Un colpo di Stato fallito nel giro di poche ore, che portò al suo immediato arresto e all’insediamento di Boluarte. Quella mossa, pur folle, fu il riflesso di un’istituzione parlamentare altrettanto delegittimata, che aveva fatto della vacancia uno strumento di ricatto politico costante.

Il governo Boluarte                                                                                                            

L’era Boluarte si è aperta con un bagno di sangue. La nuova Presidente, tradendo le sue origini e il mandato popolare, si è schierata subito con le forze più conservatrici e reazionarie del Congresso. Il suo governo ha risposto alle proteste dei sostenitori di Castillo e della popolazione indigena, che chiedeva elezioni immediate e una nuova Costituzione, con una repressione brutale che ha evocato le pratiche delle dittature militari degli anni Ottanta, causando decine di morti e feriti. Invece di cogliere l’occasione per traghettare il Paese verso un rinnovamento politico, Boluarte ha cercato di perpetuare il potere, scambiando stabilità con autoritarismo e isolandosi dalla spinta popolare per un cambiamento reale. Ed è qui che si manifesta il grande, irrisolto Paradosso Peruviano. Il Paese è da decenni l’esempio di uno scollamento ossessivo tra la salute macroeconomica e la malattia della politica. Tutti i successori di Alberto Fujimori – da Alejandro Toledo a Alan García (suicidatosi prima dell’arresto), da Ollanta Humala a Pedro Pablo Kuczynski, fino a Martín Vizcarra e Pedro Castillo – sono stati travolti da accuse di corruzione. La politica peruviana è un gioco a somma zero dove l’unica vera ideologia è l’impunità. Nonostante ciò, il Perù resta una delle economie più solide del Sudamerica: il rapporto debito/PIL è invidiabile (il più basso del continente), l’inflazione è sotto controllo e lo spread stabile.

La ricchezza del sottosuolo, che fa del Perù il secondo produttore mondiale di rame, il primo fornitore di oro dell’America Latina, garantisce un afflusso di capitali e l’attenzione delle potenze estere. Il realismo cinico della geopolitica vuole che il flusso di minerali, essenziali per la competizione globale e la transizione energetica, non si fermi. Per questo, l’apparato finanziario e burocratico ha potuto operare in una sfera quasi autonoma dalla politica. Ma la fragilità è evidente: l’instabilità ha alimentato anche le tensioni regionali, come già a suo tempo accennammo in un altro focus.

https://www.laredazione.net/peru-sale-la-tensione-interna-e-con-gli-altri-Stati/                
Non è un caso che la crisi Boluarte-Castillo abbia messo in luce le divergenze tra il multilateralismo latinoamericano a trazione progressista. Mentre governi come quelli di Bolivia e Messico (con il solito, ingombrante Evo Morales a incitare le proteste) hanno solidarizzato con Castillo, il Cile e il Brasile hanno mantenuto un gelido distacco, sapendo bene che il rischio contagio istituzionale è reale.                                                           

La fine di Boluarte, dunque, non è un epilogo, ma un nuovo ciack nella stessa commedia amara. Il cinismo dell’élite e la corruzione endemica sono il vero pericolo, non l’economia. La sfiducia nelle istituzioni e la delegittimazione totale del Congresso rischiano di sgretolare lentamente anche questo ultimo baluardo economico. Il popolo, che per ora ha vinto unicamente il diritto a protestare, è l’unico soggetto che chiede, in modo radicale e non negoziabile, non un cambio di nome al potere, ma un totale rinnovamento della classe politica rivelatasi un fallimento morale prima che istituzionale. Altrimenti, l’ultimo dei baluardi andrà in frantumi e la ricchezza del Perù si rivelerà una maledizione.