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Putin non è la Russia, la Russia non è Putin

La cosa più curiosa del principale oppositore di Putin, in tutta la sua straordinaria vicenda politica, sono i suoi legami con gli ambienti di destra. Alexey Navalny è un fiero nazionalista: con toni decisi, si è dichiarato più volte contrario all’immigrazione in Russia. Tant’è che nel 2008 sostenne apertamente l’annessione militare della Georgia, poi della Crimea sei anni dopo. Nel 2005 fu anche fra gli esponenti della Marcia Russa, una manifestazione estremista nota per i suoi risvolti xenofobi e neonazisti – continuò a sostenerla fino al 2011.

Certo, con gli anni avrebbe mitigato le sue posizioni, ora più liberali e moderate. Ad ogni modo, al di là delle oscillazioni politiche, c’è un filo rosso che lega tutta l’attività politica di Navalny: denunciare la “cleptocrazia” russa, il governo corrotto della cerchia di Putin. Un’attività ostinata che gli valse sin da subito un ampio seguito, quando nel 2007 iniziò a pubblicare le prime indagini sul suo blog. Così fino all’ultima inchiesta, dove Navalny racconta degli illeciti dietro la costruzione della maxi tenuta di Putin, sulle rive del Mar Nero.

Insomma, nell’idolo di Navalny la Russia anti-putiniana vive un paradosso politico: il simbolo della libertà, della democrazia liberale e dell’europeismo pende a destra. Contemporaneamente icona del progressismo e nazionalista patriottico, le posizioni controverse di Navalny ne fanno un simbolo politico piuttosto atipico, ma assolutamente efficace. Atipico, perché non ci si aspetterebbe che l’oppositore di un autocrate come Putin abbia comunque posizioni così radicate. Efficace, perché il suo seguito testimonia che la Russia avesse realmente bisogno di un anti-Putin – di destra o sinistra, estremista o moderato, xenofobo o inclusivo.

Ma era chiaro già nel 2011 quando 80.000 manifestanti, sotto Navalny, si riunirono a Mosca in una protesta contro i brogli elettorali. Così attorno alla sua figura si è consolidata una coraggiosa opposizione, più forte del pugno duro del Cremlino. Ma ora che il controllo statale e il monopolio dell’informazione si sono resi più invasivi, pare che il dissenso in Russia sia stato domato.

Sappiamo che fine stiano facendo Alexey Navalny e la sua Fondazione Anticorruzione (FBK), il primo recentemente condannato a 9 anni di carcere mentre il movimento dichiarato illegale in tutta la Federazione russa. Ma cosa ne sia rimasto del suo seguito, invece, resta ancora una questione aperta.

La propaganda statale e le altre voci

Secondo il Ministero dell’interno russo, nello stadio olimpico Luzhniki erano presenti 200mila persone. Non c’era giorno migliore che il 18 marzo per celebrare l’unità nazionale, ottavo anniversario dell’annessione della Crimea. Durante l’evento, Putin ha tenuto un discorso patriottico, elogiando l’impegno dei soldati nella guerra ucraina. Alcuni hanno ipotizzato che in realtà si trattasse di una montatura; fatto sta che Putin ha voluto comunicare all’Occidente l’immagine di un popolo coeso, orgoglioso delle proprie origini e solidale con le decisioni del suo leader.


Questa la propaganda statale, che ovviamente diffonde la convinzione di una Russia unanime nella sua impresa militare. Tuttavia sono altre le fonti che dobbiamo consultare per avere un’immagine più veritiera dello stato del dissenso in Russia. Se pur minoritaria e repressa, l’opposizione esiste. Ne dà testimonianza OVD-Info, ad esempio, una testata autonoma per la tutela dei diritti umani che dall’inizio dell’invasione ucraina aggiorna una lista sul numero totale degli arresti. Attualmente ha contato più di 15.000 detenuti, tutti attivisti contro la guerra – un terzo dei quali arrestati nelle manifestazioni del 6 marzo.

Il seguito digitale

Più che nelle piazze, da anni gli oppositori russi si concentrano sulle piattaforme digitali, là dove il controllo statale è sempre stato meno stringente. Ne è esempio il canale YouTube di Navalny, coi suoi 6 milioni di iscritti. Un’istituzione per gli anti-putiniani, tant’è che l’ultimo video (presentato dai collaboratori di Alexey) ha raggiunto 4,4 milioni di visualizzazioni.

Sebbene i contenuti del canale siano tutti in russo, è impossibile stabilire la provenienza effettiva degli utenti, così come sarebbe azzardato pensare che nella community di YouTube siano tutti oppositori militanti. Sappiamo però che quei social su cui il governo ha alla fine posto restrizioni sono sempre stati la roccaforte degli oppositori, e del loro leader.

Proprio da qui possiamo partire per avere un quadro più concreto dei ribelli, attivisti o meno. Dall’account Twitter di Navalny, per esempio, che a marzo ha pubblicato una serie di sondaggi condotti su un campione di cittadini moscoviti, da cui emerge che, dall’inizio della guerra fino all’8 marzo, è aumentato il numero delle persone che ritengono la Russia colpevole dell’invasione ucraina, così come quelle che definiscono “catastrofiche” le conseguenze economiche delle sanzioni occidentali.

Chi sono gli oppositori

La caratteristica più significativa degli oppositori, soprattutto di quelli che hanno preso parte alle manifestazioni, è che sono per lo più giovani. Gli arrestati nelle ultime settimane hanno meno di 35 anni, ma non era un mistero che i seguaci più accaniti di Navalny fossero proprio i più giovani – tant’è che in Russia, ironicamente, li chiamano «figli di Navalny». Sono loro ad aver sostenuto le proteste fin dal 24 febbraio, ad aver raccolto l’invito del proprio leader (dal carcere) a scendere in piazza. Lo conferma anche uno studio del Levada Center (ultimo istituto demoscopico indipendente in Russia), dove si vede chiaramente che i sostenitori di Navalny sono principalmente under25.

Ma se è fra i millenials che si trovano i principali oppositori, bisogna ribadire però che i grandi numeri sono schierati dalla parte di Putin: da febbraio il suo consenso popolare è addirittura salito all’83%, come ha dichiarato Alexey Levinson, direttore del Levada. Ce lo si poteva aspettare: l’effetto collaterale delle grandi sanzioni è di aver rafforzato la narrazione di Putin, l’idea cioè che l’Occidente sia nemico e la guerra giusta. Ma fra gli intervistati dal Levada, sebbene la maggioranza (53%) fosse favorevole alla «Operazione militare speciale», c’è pure un 14% di contrari  oltre a una consistenza area di non schierati.

Per quanto contenuti, sono numeri come questo 14% che devono ricordarci che la Russia non è realmente unita. Che per quanto soffocata, la minoranza degli oppositori è viva e schierata. E che Putin, in definitiva, non rappresenta realmente tutta la Russia.

Il fronte internazionale e la russofobia

E quindi? Cosa si può fare da noi, sul versante occidentale? Si può prendere atto, per cominciare, che i dissidenti russi non combattono una questione privata: ora l’opposizione al regime è una faccenda internazionale. Lo ha spiegato anche Ruslan Shaveddinov, tra i membri principali della Fondazione Anti-corruzione, quando ha parlato di «internazionalizzare lo scontro» con il regime russo.
Un fronte internazionale che in realtà è stato aperto dallo stesso Putin, il 24 febbraio. Con l’invasione dell’Ucraina, il presidente ha tracciato una linea netta fra la dittatura di cui è vertice e le democrazie occidentali.

Ma con ciò, non si deve credere che il nemico dell’Occidente siano tutti i russi, e che siano tutti putiniani. Questa è l’immagine che il Cremlino vorrebbe affermare, un popolo unito sotto il suo leader. Ma “odiare i russi”, in generale, vuol dire unificarli. Se crediamo che tutti i russi siano putiniani, finiamo per confinarli in quella dittatura che invece soffrono. Ci dimenticheremmo così di Navalny e del seguito, facendo il gioco del Cremlino. Quindi la russofobia fa comodo a Putin, perché gli permette di alimentare il divario con l’Occidente.

Per combattere sul fronte internazionale, allora, ci si deve mettere in guardia da queste generalizzazioni. Odiare un popolo intero sarebbe come considerarlo unito – e così si ritorna alla propaganda. Se mai, per fare veramente opposizione, dobbiamo ricordarci che la Russia non è Putin, e che Putin non è la Russia. Gli oppositori spaccano l’unità della Russia.