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Spettacolo e pandemia: tra chiusure e lavoro non pagato

Il caso dell’Eurovision, si cercano 600 volontari invece di personale da retribuire

di Silvia Cegalin

In questo periodo in cui l’emergenza sanitaria sta pian piano scemando, dando la speranza che le attività performative riprenderanno, è opportuno comprendere ciò che nei due anni trascorsi è successo, perché le perdite sono state talmente ingenti che anche la più proficua ripresa economica non è in grado, attualmente, di risollevare un intero comparto di professionisti, produttori, maestranze ed artisti.

Le perdite dello spettacolo in cifre: una crisi che stiamo pagando ancora oggi

Partiamo da qualche dato: l’Annuario dello spettacolo 2020 conferma che tutto il 2020 è stato un anno da allarme rosso. Complessivamente gli eventi sono diminuiti del 69,29%, gli ingressi del 72,90%, mentre la spesa al botteghino è calata del 77,58%, come anche la spesa del pubblico che ha registrato un calo dell’82,24%.

Entrando nel dettaglio dei singoli settori tale andamento appare ancora più impressionante: l’attività concertistica, tra quelle che hanno sofferto di più, segnala ingressi ridotti dell’80% con spese al botteghino addirittura dell’89% in meno. Poco inferiore il teatro che si aggira su perdite superiori al 70%; se l’è cavata leggermente meglio il cinema che grazie all’uscita a Gennaio di “TOLO TOLO” è riuscito a contenere relativamente i danni nel primo semestre, per poi ripiombare in uno stato di crisi pari a quella delle arti performative.

In totale, dunque, lo spettacolo ha raccolto, a confronto con il 2019, 3,8 miliardi di euro in meno dal pubblico.

Un’altra considerazione che emerge dal report è che, nonostante nel 2020 fosse stata concessa un’alternanza di apertura e chiusura a diverse attività commerciali, i luoghi dello spettacolo sono rimasti indiscriminatamente chiusi provocando una crisi dei livelli occupazionali che si fa sentire ancora oggi.

Le maestranze lanciano lallarme: serve una maggiore stabilizzazione

Nel recente comunicato stampa pubblicato l’11 Febbraio 2022 dal Ministero dei Beni culturali, ammontano a 22,2 milioni di euro le risorse da destinare ad iniziative di spettacolo dal vivo presenti nelle aree periferiche di 14 città metropolitane, la finalità è quella di rilanciare quei territori che durante la pandemia hanno sofferto maggiormente con l’obiettivo di creare occupazione, valorizzare il patrimonio e generare inclusione.

A decorrere dal 1° Gennaio, come previsto dal decreto Sostegni bis, è stata inoltre introdotta l’indennità di Assicurazione dei Lavoratori Autonomi dello Spettacolo (ALAS) per la disoccupazione involontaria.

Non basta tuttavia questo per tranquillizzare i lavoratori di un settore che ha subito un duro colpo.

A farsi sentire sono le maestranze dello spettacolo che tramite Rete InterSindacale Professionist* Spettacolo e Cultura – Emergenza Continua, chiedono, da una parte, l’indennità di discontinuità, strumento fondamentale che garantisce una remunerazione durante i periodi di preparazione e studio all’evento performativo, e, dall’altra, una lotta al precariato e al lavoro nero. Con la pandemia, infatti, lo sfruttamento e l’instabilità lavorativa sono aumentate, rendendo i lavoratori dello spettacolo tra le categorie meno tutelate.

Il caso Eurovision: quando i grandi eventi non pagano

A metà Maggio a Torino si svolgerà l’Eurovision Song Contest, un evento di fama internazionale e un’importante occasione per rilanciare le economie locali e gli eventi concertistici e performativi in Italia.

L’entusiasmo iniziale è stato però smorzato quando nel sito del Comune della città di Torino è comparso l’annuncio in cui l’organizzazione cercava 600 volontari maggiorenni che dovrebbero svolgere un colloquio, un periodo di formazione obbligatoria e aderire a una disponibilità minima di almeno 3 turni.

Una scelta che ha generato non poche critiche, anche in considerazione della portata economica dell’evento stesso che gode di sostanziosi finanziamenti. Il fatto che non ci sia sforzati di assumere anche solo una parte del numero richiesto di volontari, procura amarezza e conferma la brutta abitudine, tutta italiana, di pensare che chi collabora ad un evento artistico e/o culturale può anche farlo gratis perché non si tratta di lavoro e non servono competenze.

Un’occasione di rilancio che dunque, in parte, è andata sprecata.